I paradossi della sovranità europea

euro grungedi Francesco Galofaro, Università di Torino

In un recente articolo per Limes, Carlo Galli ha indicato un paradosso: gli europeisti di centrodestra e di centrosinistra che combattono la sovranità statale nel nome dell’Europa sono in realtà degli iper-sovranisti. Gli ‘Stati Uniti d’Europa’, che perfino alcuni esponenti della sinistra radicale invocano, configurano in realtà una sorta di mega-macchina statale, onnipresente e onnipervasiva, sul modello degli USA [1]. L’arguto paradosso vuol far comprendere che l’Europa non ha reso obsoleta la nozione di sovranità, né l’ha relegata nel campo della mitologia delle destre. Al contrario, quella di sovranità è una nozione scientifica, sia pure confinata alla regione delle scienze sociali; va discussa scientificamente per comprendere i limiti dell’attuale UE in vista delle elezioni e disegnare scenari futuri.

Come definire la sovranità?

Sovranità: è un fenomeno storico o una chiave di lettura? E’ un fenomeno con una data di nascita che possiamo datare, e che può scomparire come è apparso, o è un attrezzo che serve allo scienziato sociale per interpretare la storia – se non addirittura a costruira? Come nozione teorica, la sovranità è il principio sulla base del quale un potere organizza un popolo e un territorio. Da un punto di vista storico, tuttavia, la nozione di sovranità è soggetta a mutamenti. Ne vediamo alcuni, che sembrano molto attuali per comprendere l’Unione Europea e il suo fondamento.

Sovranità e popolazioni

Secondo la ricostruzione di Foucault [2], nel XVII secolo si assiste a una crisi che segna il passaggio dalla sovranità medioevale a quella moderna. La sovranità medioevale coincideva con una funzione di controllo del territorio; nello Stato moderno si avverte l’esigenza di una nuova funzione, parzialmente in conflitto con la prima: permettere la circolazione delle persone e delle merci. Su scala più vasta, è quella stessa funzione che è la ragion d’essere della Unione Europea attuale. Segno che il processo avviato quattrocento anni fa non si è ancora compiuto, ma è tutt’ora in atto.

Permettere la circolazione di persone e merci non è un problema da poco. Per esempio, nel 1600 si abbattevano le mura medioevali delle città; oggi si aboliscono le frontiere tra Stati. La circolazione delle persone senza controllo, inoltre, ha come conseguenza un maggior rischio di malattie e di diffusione della criminalità su scala pluriregionale. Per questo motivo, lo Stato moderno istituiva misure sanitarie e di polizia; similmente, l’attuale UE ha tentato – per la verità in maniera non del tutto soddisfacente – di garantire l’assistenza sanitaria transfrontaliera con un sistema di rimborsi, e di intervenire tempestivamente sulle gravi minacce sanitarie transfrontaliere [3]. Anche sul versante della criminalità la UE è attiva: nel 1999 ha istituito ad esempio Europol, un’agenzia cha ha sede nei Paesi bassi e conta oltre 900 dipendenti. Soprattutto, la drammatica insufficienza delle politiche europee in fatto di libera circolazione delle persone si vede sul fronte dei migranti: l’impossibilità degli Stati membri di addivenire a un accordo fa comprendere che il problema è la debolezza, per non dire l’inesistenza, di una sovranità europea vera e propria.

Sovranità e proletariato

Sia per quel che riguarda gli Stati del XVII secolo, sia per quel che riguarda la UE attuale, l’oggetto delle politiche di governo è in primo luogo la nozione, biologica, di popolazione. Con l’avvento dello stato liberale, a questa nozione si affianca, nel discorso politico, quella, storica, di classe sociale. L’obiettivo delle politiche di governo si articola meglio: lo Stato assicura il dominio della classe che detiene la proprietà su quella che non la detiene. L’evidente conflitto tra l’ideale della democrazia, dell’uguaglianza degli esseri umani, e la necessità di escludere dal potere larghe fasce della popolazione è risolta de-umanizzando le seconde [4]: i poveri sono un po’ meno umani dei ricchi. La miseria e la disoccupazione appaiono come il frutto di scarsa intelligenza, quando non di una manifesta tara psichica, del proletariato, che non è in grado di procurarsi un’istruzione e mette al mondo più figli di quanti non possa mantenerne. I poveri sono bestie preda di istinti ferini, e proni alla rivolta. Al giorno d’oggi, invece, le sedicenti élite spiegano la diffusa opposizione popolare alle politiche europee come frutto di ignoranza e disinformazione. I disoccupati sono una maggioranza di babbei inclini a farsi manipolare dal demagogo di turno.

Sovranità e borghesie nazionali

La relazione tra Stato e sovranità conosce altri mutamenti: ad esempio, ancora in Machiavelli il sovrano proviene da uno spazio esterno: lo Stato è ereditato o conquistato dal principe. La nozione moderna di sovranità è invece interna allo spazio Statale, e risiede nel popolo in senso lato o – meno ideologicamente – in quella classe che, detenendo il potere, pensa di sapere quel che è meglio per il popolo. Nel caso dell’Unione Europea contemporanea, invece, la classe al potere non coincide con una mera sommatoria delle borghesie nazionali, ma con la loro intersezione costituita dalla borghesia cosmopolita, che controlla grandi multinazionali, banche di investimenti, fondi di rischio: una borghesia omogenea per educazione, stile di vita, valori. Una borghesia che ha il potere di spacciato ideologicamente per universale il proprio interesse particolare, e che non conosce altra patria. E’ dunque difficile attribuirle un luogo proprio. Al contrario, la borghesia cosmopolita neutralizza la categoria delle opposizioni spaziali, perché essa non è né interna né esterna allo Stato. Essa entra così in conflitto con le borghesie nazionali dei diversi Stati della UE, ridotte al rango di governate e subalterne.

Sovranità e Informazione

Come abbiamo visto, la crisi della sovranità del XVII secolo, che segna la transizione tra feudalesimo e stati nazionali, assomiglia a quella che attraversa la UE attuale: l’abbattimento dei confini è funzionale alla circolazione di merci e persone.

Esiste tuttavia un problema ulteriore, che senz’altro caratterizza la nostra contemporaneità, ovvero la libera circolazione dell’informazione. Se da un lato la democrazia e il pluralismo necessitano una certa articolazione dei mezzi di comunicazione, dall’altro le posizioni che esprimono critiche radicali devono essere accuratamente emarginate per mantenere il sistema in funzione. A questo problema ha sempre posto rimedio la struttura stessa dell’economia di mercato: i mezzi di comunicazione tradizionali sono costosi, e le testate poco integrate si sono spesso trovate escluse dalla raccolta pubblicitaria: gli attori che possono liberamente esprimere un proprio punto di vista sono pochi: gli editori, e – in epoca recente – i partiti politici.

Informazione e fronte interno

L’avvento delle reti comporta nuovi rischi, interni ed esterni. Il principale rischio interno è costituito dal carattere reticolare della diffusione dell’informazione. La radio, la televisione, presuppongono una asimmetria fondamentale tra emittente e ricevente: il secondo svolge un ruolo del tutto passivo. Nel caso dei nuovi media, anche quando non è in grado di scrivere nuovi testi, il ricevente ha tuttavia un ruolo attivo nel ricercare, selezionare e ritrasmettere il discorso politico in cui si autorappresenta. Nei media tradizionali troviamo il ruolo del guardiano, il gatekeeper, in grado di stabilire una gerarchia di notizie – ad esempio, il direttore; con la rete, ciascun ricevente svolge almeno in parte questa funzione, nella misura in cui fa da ripetitore a un insieme di messaggi.

Informazione e fronte esterno

Per quanto riguarda il rischio esterno, poiché l’intera geografia del globo è interconnessa, ogni Stato finisce per somigliare a una repubblica marinara che confina immediatamente col mondo, senza, per così dire, difese naturali come montagne o fiumi. La lotta sull’informazione ha sempre coinvolto attori come Stati stranieri, associazioni politiche internazionali di destra e di sinistra, attori economici di peso, che oggi si trovano ad avere un canale onnipervasivo e gratuito. Come ho già scritto su Marx XXI [5], anche in questo caso l’Unione Europea ha adottato scelte piuttosto interessanti: il mercato e la nozione di diritto d’autore – che in realtà tutela le aziende del settore – sono stati utilizzati per proporre un freno alla libertà dell’utente di ritrasmettere decine, se non centinaia di messaggi ogni giorno, fungendo da cassa di risonanza per posizioni politicamente eterodosse. L’UE tenta dunque di perimetrare e difendere la propria sovranità algoritmica.

In entrambi i casi è il discorso liberale, in quanto tecnica che assicura la governance del sistema, a legittimare la gerarchia tra emittente e ricevente, sul modello delle classi sociali, e la necessità di limitare la democrazia – si pensi alla presenza del tema anti-referendario nel discorso politico in seguito alla Brexit.

Sovranità e lobby

Il liberalismo contemporaneo cerca di smantellare lo Stato. Ha prodotto filosofie che si sono battute per lo Stato minimo, la cui funzione è esclusivamente quella di guardiano notturno della proprietà privata, o addirittura per la sostituzione dello Stato con una privatopia, in cui ogni aspetto organizzativo della società è demandato ad un consorzio di privati. Nella pratica, la sovranità liberale si esercita attraverso la governance: la composizione in sede politica degli interessi privati detenuti dagli stakeholders, o portatori di interessi. Il lobbismo non è un fenomeno marginale della democrazia liberale: al contrario, ne costituisce il cuore battente. Così, a Bruxelles si stima vivano oltre 15.000 lobbisti la cui ragion d’essere è incontrare commissari e parlamentari europei [6].

Il paradosso della UE è dunque quello di lavorare per lo smantellamento della sovranità statale – anche se sarebbe più preciso dire “sovranità di alcuni Stati”. Al contempo, occorre evitare di sostituire allo Stato sconfitto un Super-Stato, un nuovo mostruoso leviatano che restringa i margini di arbitrio delle multinazionali, delle lobby, del potere finanziario e di alcune nazioni che per capacità economica sono state sin qui più in grado di altre di imprimere un indirizzo all’Unione stessa. Ad esempio, nessuno vuole davvero un super-sovrano in grado di intralciare le politiche neo-colonialiste portate avanti dalla Francia nel nord Africa, o di imporre alla Germania limitazioni all’attivo della sua bilancia commerciale, che sta fratturando l’Europa. Nessuno vuole un super-sovrano in grado di propalare eresie come il protezionismo, la re-distribuzione del reddito, gli investimenti pubblici [7].

Riformabilità della UE?

Immaginiamo che le prossime elezioni europee segnino un cambiamento politico maggioritario nelle idee della popolazione. Potrà il nuovo Parlamento riformare l’Unione? Il Parlamento non ha iniziativa legislativa. Discute proposte decise dalla Commissione Europea. Questa non è una “sorta di governo europeo” per la buona ragione che i suoi componenti sono nominati dagli Stati membri. Inoltre, il Parlamento non decide da solo sulle proposte di legge, ma è affiancato dal Consiglio dell’Unione europea, anch’esso composto da un rappresentante di ciascuno Stato individuato a livello ministeriale.

Può il Consiglio riformare l’Unione? Il Consiglio decide a doppia maggioranza qualificata: se la proposta non proviene dalla Commissione, la maggioranza deve essere dei 2/3 dei membri; inoltre, a ciascuno Stato sono attribuiti un certo numero di voti a seconda della sua popolazione; la proposta deve incontrare almeno 260 voti favorevoli su 352.

L’Unione europea è sostanzialmente irriformabile. Essendo frutto di un trattato, gli Stati fondatori si sono tutelati contro la possibilità che le regole decise potessero cambiare loro malgrado. L’Unione non è uno Stato, né ci sono le premesse perché possa diventarlo, con buona pace dei sostenitori degli Stati Uniti d’Europa.

Sovranità e autodeterminazione

La parziale limitazione della sovranità dello Stato coincide con una proporzionale limitazione del diritto di autodeterminazione delle popolazioni a favore della borghesia cosmopolita. Quel che le popolazioni hanno perduto al livello statale non viene loro restituito al livello della Comunità europea. La sovranità minata non è stata sostituita da forme di sovranità alternative, che tutelino la rappresentanza popolare. Né è possibile che queste forme si sviluppino da sé, in seguito a strategie riformiste. Le sue regole tutelano l’Unione dal cambiamento e le impediscono di adeguarsi al mutamento e alle contingenze. E’ proprio questo autoscacco a determinare il successo dei movimenti così detti sovranisti e di quella nuova destra che si erge a difesa della comunità locale. Si tratta certamente di Salvini e della Le Pen, ma anche di Orbán, autorevole esponente di quel Partito Popolare europeo che fin qui ha governato la UE. Dunque, la contraddizione non riguarda un pugno di partiti estremisti che si contrappongono a una solida maggioranza liberale, liberista ed europeista; attraversa e spacca proprio i Partiti principali responsabili della fisionomia della UE attuale. E’ riduttivo e senz’altro fuorviante dipingere ideologicamente questa lotta come quella tra chi guarda al futuro e chi vuol riportare indietro l’orologio della storia al ‘39.

Sovranità e sinistra europea

La scelta che si pone all’elettore alle prossime europee è tra questa Europa (non un’altra Europa possibile, non la “costituente europea”, ma proprio questa Europa) e un’Europa “sovranista”. Tra i suoi grotteschi limiti, la sinistra liberale ha un piccolo pregio: la sua posizione è chiara. Perderà, perché non ha un profilo chiaramente distinto dai liberali di centrodestra, ma gli elettori europeisti di sinistra sanno per chi e per cosa votano.

Al contrario, la sinistra antiliberista si presenta alle elezioni priva di un profilo chiaro. Certamente, in Europa, comunisti e radicali hanno dibattuto sulle insufficienze, sul moderatismo e sull’inefficacia della Sinistra Europea a partire dalla sconfitta dei buoni propositi di Tsipras. Se non c’è una linea comune, dal dibattito sono per lo meno emerse alternative interessanti. L’Italia sconta un ritardo ancor più grave, perché la discussione non si è voluta fare.

Alle scorse elezioni che hanno visto l’affermazione della coalizione giallo-verde, le varie proposte di sinistra alternativa (PaP, LeU) sono state sconfitte. Gruppi dirigenti non abituati ad essere messi in discussione hanno aperto la caccia al rossobruno, ovvero a ogni posizione che mettesse in discussioni il fondamento dei vari progetti politici che tali gruppi hanno partorito negli ultimi dieci-quindici anni. Poi, si è proceduto alla costituzione di una lista di reduci: Sinistra italiana, che fino a ieri era in LeU; Rifondazione comunista, che aveva dato vita a PaP, Altra Europa, che cinque anni fa stava con Tsipras. Scrive Stefano Gallieni: “Una sinistra che prova a riunirsi, non per la sopravvivenza di ceti politici” – e chi ne dubitava? – “ma per un patrimonio di contenuti comuni”. Meglio non farsi troppe illusioni.

NOTE

[1] Carlo Galli, ‘Apologia della sovranità’, in: Una strategia per l’Italia, Limes, 2/19.
[2] Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione (1977-1978), Feltrinelli, Milano, 2005.
[3] Il trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede tre articoli in materia: l’articolo 168 (tutela della sanità pubblica), l’articolo 114 (ravvicinamento delle legislazioni) e l’articolo 153 (politica sociale). Cfr. https://ec.europa.eu/health/policies/overview_it .
[4] Cfr. Domenico Losurdo, Constrostoria del liberalismo, Laterza, Bari, 2006, in partic. pp. 68 – 94.
[5] http://www.marx21.it/index.php/internazionale/europa/29657-unione-europea-e-diritto-dautore
[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_di_pressione.
[7] Cfr. Sergio Cesaratto, Chi non rispetta le regole? Imprimatur, 2018.