da solidnet.org
Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx21.it
Alle prese di posizione sugli sviluppi in Grecia di partiti comunisti europei e di altri continenti (di cui Marx21.it sta proponendo ampia documentazione) si aggiunge questa dichiarazione del Partito Comunista di Spagna.
Il Partito Comunista di Spagna ha mantenuto e mantiene il principio del rispetto per l’autonomia di azione delle organizzazioni operaie, di sinistra, progressiste degli altri paesi del mondo e la consapevolezza dell’esistenza di differenze di analisi; tuttavia, è evidente il legame tra i processi in atto in Grecia e in Spagna negli ultimi anni, e come i popoli di entrambi i paesi subiscano attacchi simili da parte delle grandi potenze capitaliste. Di conseguenza, è necessario, dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni, condividere una serie di considerazioni sul risultato dei negoziati tra la Grecia e l’Unione Europea (senza dimenticare la partecipazione del FMI) sulla questione del debito pubblico greco e l’attuazione del pacchetto complementare di misure economiche del paese ellenico.
Gli eventi delle ultime settimane servono a confermare, in maniera molto chiara, la natura dell’UE: secondo la definizione del nostro XIX Congresso, l’attuale Unione europea è, in questo momento, la più alta espressione politica-istituzionale della costituzione di un blocco imperialista specificamente europeo. Gli obiettivi e il funzionamento dell’Unione europea sono al servizio di un potere oligarchico finanziario, concentrato geograficamente nella regione dell’Europa centrale, ma in realtà include l’insieme delle potenze capitaliste degli altri paesi dell’UE (tra cui, naturalmente, la Spagna).
Al centro del progetto di integrazione regionale europea ci sono attualmente tre punti chiave: l’accelerazione dell’applicazione della soluzione neoliberale alla crisi capitalista nell’insieme dei paesi dell’Unione, cercando di sgomberare ogni obiezione, sia da parte dei poteri economici locali che dagli strati popolari; l’accentuazione del potere del suo nucleo dominante rispetto ai paesi europei (principalmente nella periferia geografica, ma anche di fronte al resto dei paesi); e, infine, l’applicazione di una strategia di confronto economico e politico verso il resto del pianeta e specialmente contro i paesi emergenti, specialmente attraverso il rafforzamento dell’alleanza con gli Stati Uniti attraverso il TTIP. Per il suo significato nazionale e globale, e per la sua urgenza, la lotta contro l’accordo transatlantico deve essere così una delle nostre priorità, insieme all’analisi degli avvenimenti in corso in Grecia e (sebbene in forma meno acuta) negli altri paesi dell’Unione.
Se rimanevano ancora dubbi circa la posizione dell’UE, il suo comportamento, specialmente negli ultimi anni, tanto nella sua propria periferia occidentale e meridionale (Cipro, Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo) come nella sua sfera di influenza orientale in costruzione (il caso dell’Ucraina) li cancella definitivamente: il supposto carattere gentile delle istituzioni dell’Unione si trasforma in una forza implacabile al servizio degli interessi del nucleo capitalista, rovinando popolazioni, torcendo le volontà democratiche e destabilizzando economicamente e politicamente ogni paese nel quale osservi qualunque resistenza. Così, l’Unione Europea ed i poteri regionali che la conformano si caratterizzano per l’applicazione di una politica implacabile di proiezione di potere, rivelando la falsità della retorica di integrazione equa dell’UE diffusa come supposto segno di identità del cosiddetto “processo di costruzione europea”.
Così, il 13 luglio, il governo greco ha accettato, sotto le forti pressioni di Germania e Francia, della Commissione Europea e dell’Eurogruppo, un patto leonino, dopo una dura lotta di circa sei mesi. La minaccia dell’espulsione della Grecia dalla zona euro è stata l’arma di ricatto che è stata usata per una capitolazione che avrà senza dubbio conseguenze difficili per la Grecia, negando alla radice l’idea di un’Europa unita e pacifica di solidarietà e parità per cui la maggioranza sociale del continente ha lottato per molti decenni.
L’accordo colpisce ancora l’economia ed il popolo greco, con la continuazione delle politiche di austericidio e la rinuncia pertanto ad essere un stato sovrano. E ciò avviene nonostante, secondo quanto affermato dal governo greco, si contempli con questo accordo la possibilità di evitare momentaneamente l’asfissia e il collasso finanziario, una ristrutturazione futura del debito o il mantenimento delle leggi approvate che interessano i lavoratori del settore pubblico. E con tutto, in forma terribilmente paradossale, la questione è che, a partire dall’applicazione dello stesso contenuto dell’accordo, si prevede che il debito greco aumenti e che la situazione economica del paese continui a peggiorare; allo stesso modo, il discorso ufficiale sul”salvataggio” dell’euro (di cui ha parlato anche il ministro Guindos, tra gli altri), è chiaramente come falso, data la possibilità che la situazione limite della Grecia si riproduca in altri paesi del sud dell’Europa.
Siamo convinti che l’attuazione del pacchetto di misure economiche concordata in Grecia (che non è altro che la continuazione e l’approfondimento del processo subito dal popolo greco dal 2010) ha conseguenze economiche, politiche e sociali profonde e negative per questo paese. Le riforme nelle pensioni (con l’orizzonte deficit zero) e nell’ambito lavorativo concordato con l’UE, così come l’aumento dell’IVA (per indicare alcune delle misure più significative), segnano chiaramente il completamento del processo di applicazione dell’uscita antisociale della Grecia dalla crisi, anche a beneficio dei poteri capitalisti greci, attraverso la garanzia della sottomissione dei lavoratori al capitale, con la piena effettività delle misure di pressione economica (ancora una volta, contro i salari).
Allo stesso modo, il danno contro quello che rimane di sovranità economica greca è decisivo, alla luce del pacchetto concordato, grazie all’imposizione di un massiccio programma di privatizzazioni che metterà settori economici chiave (trasporti di tutto il Paese, telecomunicazioni, energia, banche, etc.) ancora in mani pubbliche, nelle mani dei grandi capitali dell’UE: non deve essere sottovalutato il problema, dato che un settore pubblico capace e sviluppato è uno delle chiavi fondamentali per l’avanzamento di ogni politico di trasformazione che voglia avere un minimo significato. Inoltre, come parte di questa stessa strategia di “presa” del paese da parte dell’UE, si impone la deregolamentazione e l'”apertura” dei mercati all’esterno, accelerando il processo di concentrazione e centralizzazione di capitali. Il conseguimento di tutte questi misure implica, molto semplicemente, la trasformazione definitiva della Grecia in una semi-colonia economica dell’UE.
Allo stesso modo, non possiamo che notare la posizione collaborazionista del governo del Partito Popolare, con Rajoy alla testa, con la strategia e le azioni dell’Unione europea verso la Grecia, in una fedele correlazione con la politica di liquidazione dei diritti del lavoro e sociali della classe operaia portata avanti in Spagna. Questa posizione del governo spagnolo come lacchè del governo di Angela Merkel deve essere punita dai cittadini del nostro paese per le strade e alle urne, poiché, accettando la complicità nel nuovo tentativo di distruggere la Grecia e di attaccare la democrazia e schiacciare un popolo che è già in una situazione sociale terribile, mostra la sua vera posizione politica e morale.
Il problema fondamentale in questo momento è che, molto semplicemente, non è possibile “gestire” il rabbioso pacchetto neoliberista di misure concordate con l’Unione europea. Il carattere integrato, completo e comprensivo di questo pacchetto (non solo perché questo è richiesto dalle istituzioni dell’Unione, ma per sua stessa natura) rende impossibile limitare in un grado minimamente significativo la sua portata. Non è neanche possibile appellarsi alla possibilità di raggiungere nuovamente una “crescita” economica in Grecia attraverso il presunto arrivo di investimenti esteri addizionali, con l’attuazione del pacchetto; non è solo improbabile che ciò accada, ma, se succedesse, la nuova attività economica si svolgerà alle condizioni e secondo gli interessi degli investitori esteri, con un grado ancora maggiore di sfruttamento dei lavoratori e non secondo i bisogni del popolo greco. Ed è ancora meno vero presumere che l’uscita dalla zona euro, anche improvvisa, sia l’anticamera a una vera e propria apocalisse economica e sociale, senza che per ciò non smetta di essere un scenario sommamente complesso nel suo sviluppo. Il pacchetto applicativo può perpetuare solo il carattere periferico e dipendente dell’economia della Grecia rispetto al nucleo capitalista dell’UE.
La “gestione” della barbarie neoliberale è stata il proposito della socialdemocrazia europea nel recente passato, con un sviluppo incoerente dall’inizio e clamorosamente fallito nel suo risultato finale, che ha contribuito giustamente al suo declino politico e al consolidamento della sua posizione subordinata all’interno della sua alleanza con le forze conservatrici e liberali dell’UE. Lo sviluppo della crisi in Grecia porta ad assimilare una lezione fondamentale: si resiste al potere dell’Unione europea solo con il recupero di una vera sovranità popolare, che passa attraverso il controllo pubblico su leve economiche fondamentali (che sono, tra gli altri, i meccanismi per contrastare le azioni di guerra finanziaria contro il paese); allo stesso modo, non si può assumere la permanenza nell’Unione economica e monetaria o nella stessa Unione Europea come un principio dogmatico, senza che si associ con la tutela dei diritti, degli interessi e delle esigenze vitali del popolo.
Infine, non dobbiamo cadere nella trappola di accettare implicitamente che il rifiuto del pacchetto di misure concordate (che implica il rifiuto di quelli applicati precedentemente) sia una spinta per gli interessi delle varie potenze capitaliste nazionali. Anzi, è più che necessario nei paesi dell’Europa meridionale il progetto di una politica di profonda trasformazione economica, politica e sociale: ma il contenuto di questi cambiamenti non ha nulla a che fare con la retorica delle “riforme” così come è stata accettata come luogo comune in gran parte della UE, ma con prestazioni al servizio della maggioranza sociale europea. Così, l’impegno del PCE, in conformità con le politiche decise nelle Tesi del XIX Congresso, come programma urgente di misure economiche e politiche in Spagna contro l’euro, le politiche di aggiustamento ed il progetto neoliberale in Europa, è la seguente :
1. Condurre una verifica del debito attraverso l’attuazione di meccanismi di partecipazione sociale.
2. Rifiutare il pagamento del debito illegittimo, inteso come il disavanzo che non viene generato per il finanziamento dei servizi pubblici e delle politiche di protezione sociale.
3. A partire da questa decisione sovrana di rifiuto del pagamento del debito, avviare un processo di rinegoziazione del debito, sulla base del rifiuto del patto di austerità europea, con l’obiettivo di evitare che il pagamento del debito comporti un peggioramento della condizioni di vita e di lavoro dei settori popolari e le persone che lavorano.
4. L’opposizione all’intervento nel nostro Paese da parte degli europei e dei poteri economici e rifiuto di qualsiasi “memorandum”, sia che venga imposto da un presunto “governo di salvezza nazionale” sia attraverso un “governo tecnico”.
5. Promuovere la creazione di un blocco regionale di paesi debitori per creare uno spazio unitario di forza contro i creditori finanziari.
Ciò comporta la necessità di progredire verso una grande alleanza europea per affrontare in forma unitaria contro un’Unione europea che è diventata chiara. Forti proteste sono stati effettuate in molte parti d’Europa, mobilitazioni che non esistevano da molti anni, a cui molte persone hanno partecipato, non solo per solidarietà, ma per il pericolo nei loro stessi paesi, dimostrano che questo spirito comincia ad affiorare.
Di fronte a questa situazione, il PCE non può fare a meno di contemplare il mirabile esempio mostrato dai popoli dell’America Latina nello sviluppare un modello di integrazione regionale di carattere solidale e e un’architettura istituzionale orizzontale, basata sull’unità popolare, lo slancio dei processi costituenti e il recupero della sovranità popolare, contro oligarchie locali, la strategia neoliberista e la potenza imperialista.
É arrivato il momento per i popoli di tutta l’Europa di essere anche costruttori del futuro; questo processo avanza rapidamente nel continente con il rafforzamento dei legami di solidarietà, in particolare (ma non solo) nel sud. Non c’è dubbio che si tratta di un sentiero difficile e, naturalmente, incerto; tuttavia, la certezza di quello che procura ai paesi il nuovo ordine di Bruxelles deve servire per sgombrare i dubbi e cominciare a camminare.
Madrid, 16 luglio 2015