di Joseph Halevi | da il Manifesto del 3 ottobre 2012
Nel suo articolo del 29 settembre, Anna Maria Merlo ha puntualmente colto il diavolo nascosto nelle pieghe del più duro bilancio mai varato da un governo francese nella storia postbellica. In Francia il 47% dei foyers fiscaux (famiglie) sono esenti, per motivi economici, dall’imposta sul reddito. Nella finanziaria formulata dal governo di François Hollande il parametro che tiene conto dell’inflazione nel calcolo delle tasse è stato congelato. Ne consegue che 16 milioni di persone il cui reddito oggi non è tassabile vengono catapultate nel novero dei foyers imponibili in base agli aumenti nominali degli stipendi anche se inferiori all’inflazione effettiva. Si tratta di redditi assai ridotti il cui livello lambisce la soglia minima di imposizione.
Pertanto, è errato affermare che la manovra varata dai socialisti non colpirà le persone a basso reddito. Anche considerando i 7,4 milioni che beneficeranno di una riduzione delle tasse del 9%, abbiamo oltre 8,6 milioni di persone a reddito da classi popolari che, per il congelamento del parametro di aggiustamento, perderanno l’esenzione fiscale.
Sui normali redditi da lavoro dipendente graverà inoltre l’inclusione nell’imponibile delle ore di straordinario, che prima ne erano escluse.
La «sinistra» italiana, soprattutto quella di opposizione, ha ammirato le dichiarazioni di Hollande circa la tassa del 75% su chi percepisce oltre il milione di euro all’anno. Ma anche questa è una manovra demagogica di scarso contenuto, che serve solo a mascherare l’estensione della versione francese del «socialiberismo»; un tema su cui esistono oltralpe dei notevoli studi, che convergono nel farne risalire l’istituzionalizzazione alla presidenza di François Mitterrand.
Una nota della Reuters, pubblicata sull’International Herald Tribune del 28 settembre, osserva che i contribuenti ricchi dovrebbero smetterla di lamentarsi della supertassa. L’aliquota del 75% durerà solo due anni ed è soggetta alle molteplici detrazioni permesse dalla legge francese. Inoltre si applica solo ai redditi da stipendi (manageriali e simili) e non da capitale.
Concentriamoci quindi sulle ricadute della manovra socialista verso le classi popolari e sulla crescente precarizzazione del lavoro. I tagli alle spese ministeriali colpiranno in maniera cospicua contratti interinali, a progetto e via dicendo. In tal modo decine di migliaia di giovani verranno ricacciati nelle selve oscure dell’esclusione, dato che non si sa quanti potranno usufruire delle indennità di disoccupazione.
La traiettoria di François Hollande, che iniziò la sua campagna elettorale promettendo la revisione del patto fiscale europeo, assomiglia molto a quella del fallimentare Lionel Jospin. Nel 1997 Jospin costruì la gauche plurielle sulla base della revisione dei parametri del patto di stabilità, firmato a Dublino nel dicembre del 1996. Pochi mesi dopo la vittoria elettorale socialista, Jospin abbandonò il progetto di revisione ed accettò che i patti di Dublino venissero inclusi senza modifiche nel Trattato di Amsterdam dell’estate del 1997. Allora ad aiutare la Francia fu la dinamica Usa e lo stallo temporaneo della Germania. Oggi la finanziaria di Hollande immette la Francia nel circolo vizioso in cui ai tagli di bilancio segue il calo del reddito nazionale, maggiore disoccupazione e il conseguente aumento del debito pubblico.