Guerre e Alleanze sullo scacchiere d’Europa

monti draghidi Filippo Violi

Riceviamo da Filippo Violi e volentieri pubblichiamo come contributo alla discussione sulle dinamiche in corso in Europa

“Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario. È chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale, possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto, visibile, conclamata.” Mario Monti, 22 febbraio 2011

Son passati più di cinque anni dalle dichiarazioni dell’allora futuro primo ministro Mario Monti che, a novembre dello stesso anno,  inaugurò il primo vero governo tecnico del Paese, voluto da Bruxelles dopo l’entrata dell’Italia nell’Euro. Il senatore nominato a vita e accusato di alto tradimento dello Stato, fu chiamato da Obama, Draghi e Napolitano a ricucire lo strappo atlantico con U.E/Usa e assolvere così ad un doppio compito o mandato: quello del rispetto pedissequo dei diktat europei imposti dal “bruxelles group” in materia di bilanci, attraverso politiche di austerity, di deflazione competitiva-salariale e di restrizione della spesa pubblica, e quello di riportare l’Italia sotto l’orbita Nato, dopo le fughe “clandestine” di Berlusconi dentro il core business di Gazprom che i media occidentali chiamarono a suo tempo, con dovuta malizia, “il lettone di Putin”.

Sarebbe utile partire da qui, esattamente da queste dichiarazioni, unendole magari alla famosa lettera inviata a Palazzo Chigi dal duo Trichet –Draghi, nell’agosto dello stesso anno,  fino ad arrivare ai consigli categorici della banca d’affari statunitense J.P Morgan, quando due anni più tardi invitava i popoli del sud Europa a sbarazzarsi delle Costituzioni antifasciste,  questo giusto per avere un’idea da dove nasce la demolizione controllata in atto oggi nel nostro Paese. Per questo tema e soprattutto in funzione della campagna del No del voto referendario del 4 dicembre, sarebbe utile leggere o rivisitare le pagine del saggio di Vladimiro Giacchè “Costituzione Italiana contro Trattati europei. Il conflitto inevitabile. Imprimatur Editore 2015, pp.68.

Diciamolo subito, senza mezzi termini, è l’urgenza dei tempi che ce lo richiede: la demolizione in atto nel Paese è uno stillicidio economico-finanziario ordinato e voluto dalla Germania sin dagli anni 40 del secolo scorso, seguendo una logica di sterminio e di darwinismo sociale che trova oggi attuazione e fondamento attraverso l’istituzione dell’Euro. Da cui ne consegue: indipendenza della banca centrale europea dai governi nazionali, cessione di sovranità economica nazionale per barattare il rientro dei parametri prefissati, concorrenza sleale come modello funzionale al mercantilismo tedesco, politiche-economiche basate sulla stabilità dei prezzi, lotta all’inflazione, asimmetrie nei rapporti di forza, tutti miranti ad indebolire e distruggere l’apparato manifatturiero italiano, giudicato altamente competitivo e pericoloso per l’imprimatur tedesco in Europa. Prima la Germania dell’est, ora l’Europa del sud, stesse modalità, stessa caratteristiche, stessa strategia,  la macchina infernale teutonica continua ad adoperarsi in un rastrellamento economico di risorse produttive e beni patrimoniali statali, come ad est così a sud del continente.

Per dare valore alla tesi, basterà spulciare i dati del rapporto annuale della Commissione Ue sulla competitività o, ancor di più, i dati del  rapporto Unctad – la conferenza dell’Onu su commercio e sviluppo – sull’andamento dell’economia mondiale, dove si afferma che dal 2007 al 2016 è andato distrutto in Italia  il 25% di produzione industriale. La batosta non ha eguali se si fa un raffronto rispetto a quanto avvenuto nelle altre economie europee con le quali il Belpaese compete; nel rapporto si legge: fatta 100 la produzione industriale nel 2010, nel primo trimestre del 2007 l’Italia registrava quota 118 e nel primo trimestre di quest’anno è precipitata a quota 92. Fissato ancora in 100 il dato della produzione nel 2010, la Germania si ritrovava a quota 104 nel primo trimestre del 2007 ma nel primo trimestre di quest’anno è riuscita a invertire la tendenza e a superare quel livello, portandosi a quota 109.

E’ inutile girarci attorno, nella guerra intestina tra capitali che si sta consumando oggi in Europa e che la Germania sta letteralmente vincendo, l’arma micidiale principale è essenzialmente una: la moneta. La cinghia di trasmissione che regola il tutto e fa funzionare la macchina infernale è rappresentata dai trattati europei (Maastricht e Lisbona su tutti). L’euro è insostenibile per il nostro Paese e la guerra tra capitali che dura ormai da oltre un ventennio lo sta dimostrando. La colonizzazione in Europa, come tutte le guerre keynesiani-militari avvenute nel corso della storia, ha radice lontane ed è stata accuratamente  preparata. Il piano Werner aveva come scopo ben preciso la distruzione del nostro Paese, diretto concorrente dell’apparato produttivo tedesco, già in quegli anni ci fu il tentativo di creare un’area europea di dominio tedesco  con l’istituzione del serpente monetario, che poi lo shock petrolifero  (1973) creato ad arte dagli americani fece saltare in aria. Per questo, prima di parlare di imperialismo americano e guerre per procura nel resto del mondo, sarebbe utile concentrare l’attenzione e capire gli effetti devastanti dell’imperialismo tedesco nei riguardi dei paesi del sud e i danni inferti, almeno nell’ultimo decennio, al proletariato in Europa.  D’altronde la norma del bail in (salvataggio bancario interno) imposta al Paese non è altro che la guerra economica monetaria continuata con altro mezzi. E’ la conseguenza dell’asfissia finanziaria indotta dai gerarchi d’Europa che ha come obiettivo l’attacco al sistema bancario e il saccheggio del risparmio italiano.

“Dopo aver distrutto l’apparato produttivo, concorrente diretto di quello tedesco, dopo aver demolito in cinque anni l’architettura giuridica a difesa della tutela del lavoro, della salute, dell’istruzione  (con l’art. 81 che approva il pareggio di bilancio in Costituzione), i governi collaborazionisti italiani (Monti-Letta -Renzi) stanno ora conducendo il Paese verso una crisi sistemica senza precedenti che sta causando la fuga del risparmio italiano, ben 4 mila miliardi di euro, verso Francoforte, New York e Londra. Si potrebbe parlare storicamente già di capitolazione totale (leggasi a proposito “L’Italia sta perdendo la guerra tra capitali” di Pasquale Cicalese http://www.marx21.it/index.php/italia/economia/25167-litalia-ha-perso-nella-guerra-tra-capitali), sarà di sicuro difficile leggerla in questi termini nei libri di testo dei licei o degli atenei italiani, nel frattempo il Piano Werner del 1972 avrà raggiunto il suo naturale compimento finale.

Certo, compito dello storico sarà sempre quello di adoperarsi per un rigoroso scavo sotto i piedi, seguendo passo per passo gli eventi, i risvolti economici,  le guerre finanziarie, valutarie e militari che ne conseguono e che di volta in volta si tramutano in sconvolgimenti, alleanze e repentini cambi di direzione.

Chi si accaparrerà il bottino europeo per intero? Quali saranno i giochi e le alleanze mutevoli che di volta in volta  si stabiliranno sul campo di battaglia? A chi gioverà quest’Europa che sempre di più sta diventando una polveriera? Ci sarà spazio nella contesa per la Cina, magari in accordo con gli Usa, in funzione antitedesca, nel tentativo di contenimento americano per rompere l’alleanza di ferro con la Russia? Oppure ognuno percorrerà la propria strada irta di insidia, mostrando i muscoli prepotentemente ad ogni occasione e sfruttando gli eventi che di volta in volta si consumeranno sullo scacchiere internazionale (Libia, Ucraina, Siria, Egitto, Yemen, Sudan, Turchia). Ad esempio,  dopo la Brexit e l’adesione all’Asian iinfrastructure Bank, la piazza finanziaria di Londra diventerà base d’atterraggio e d’ancoraggio per la Cina in Europa? E gli Usa tenteranno e come di frenare questo processo di avanzamento e di alleanza cinese con Londra? O magari continueranno a battere il tasto sul versante della guerra economico-commerciale alla Germania (Volkswagen, Deutsche Bank–mutui subprime e non ultimo l’affaire Airbus) per contendere il primato in Europa, obbligandola a ricredersi e accettare l’imposizione del trattato translatlantico sul commercio e gli investimenti? Come si nota, i temi sono caldi e gli scenari aperti ad ogni soluzione.

Nonostante la guerra economico-commerciale tra UE/Usa sia ormai all’ordine del giorno, la Germania nel prossimo futuro continuerà ancora indisturbata a giganteggiare nello suo spazio economico di dominio europeo, tenendo i Paesi al guinzaglio e inanellando, anno dopo anno, record su record fino a raggiungere oramai la spaventosa cifra di 200 miliardi di euro di surplus delle partite correnti, pari all 9% del Pil (l’80% complessivo dell’Eurozona). Statene certi, di sicuro non libereranno risorse, non daranno respiro al proletariato in Europa, non interverranno a modernizzare le loro vecchie e fatiscenti infrastrutture, niente di tutto questo. Sono e saranno sempre sul piede di guerra e, quindi, il risparmio come fonte assoluta d’accumulo di ricchezza, lo schiacciamento della domanda interna, uniti all’aumento dell’export saranno i capisaldi di un sentiero cieco, quale l’unico percorribile che conoscono. E non si pensi che saranno i pedoni americani sullo scacchiere europeo (Grecia, Spagna, Italia) a far cambiare loro idea, magari facendo notare che le regole stabilite nei trattati europei sono uguali per tutti e che la percentuale di riferimento dell’avanzo primario non può superare il 6%. La pena che si rischierà, in tal caso, andrà dalla semplice tiratine d’orecchie per opera dei gendarmi austromonetaristi del Reich, al ricatto per la mancata concessione di una manche di flessibilità, fino all’onta mediatica per l’esclusione dai vertici franco-tedeschi in Europa.

L’Europa prossima ventura sarà questa: epicentro di una guerra guerreggiata che si combatterà sul campo senza esclusioni di colpi. Non potendo dichiarare i nemici o adoperare armi convenzionali, i fendenti saranno veramente infimi, indiretti e sempre più bassi. Magari si continuerà ad utilizzare l’arma della guerra economico-commerciale o dell’immigrazione come ricatto o, ancor peggio, quella della manovalanza islamica (Charlie Hebdo, Nizza ecc..). Intanto si assisterà inermi sempre più all’esplosione dei nazionalismi che giustificheranno in Europa i movimenti razzisti e xenofobi, in risposta alle stagnazioni economiche di lungo corso. Il banchetto europeo si consumerà spolpando quel che resta degli Stati-Nazione, ridotti oramai a lumicino, con acquisizioni di asset strategici, concentrazioni di capitali e di agglomerati industriali e bancari. Una volta assestati, i grossi contendenti (Usa e Cina su tutti), se non saranno in grado di tirare fuori di volta in volta un gentlemen agreement, se li daranno di santa ragione, raggiungeranno l’apice in uno scontro a due finale, a quel punto inevitabile, per accaparrarsi tutto l’oro, il risparmio e il surplus accumulato e detenuto nei forzieri di Francoforte. E’ inutile aggiungere che il rischio è forte e pigiare il piede sull’acceleratore non converrà a nessuno. Certo lo scenario più probabile, arrivati a quel punto, sarà stato attraversato dapprima dallo scollamento totale dell’Euro e dalla libera fluttuazione dei cambi tra le monete nazionali, che intanto riacquisteranno la sovranità perduta e si daranno battaglia a colpi di svalutazioni monetarie. La morte definitiva dell’Euro, a fronte di un guadagno momentaneo, in termini di respiro economico, preparerà il terreno di lotta in Europa con il rischio di uno scontro frontale. Le alleanze verranno acquisite di volta in volta sul campo di battaglia A reggere le sorti saranno di volta in volta la tenuta o meno dei gentlemen agreement. Se ciò non avvenisse ci troveremo di fronte a gravi instabilità politiche e ripercussioni economiche tremende che si respireranno all’interno degli stati, con il rischio collaterale di combattere gli uni contro gli altri, utilizzando le armi del cannibalismo economico e generando scontri intestini e guerre tra poveri