di Pietro Lunetto
Introduzione
Negli ultimi mesi è tornata alla ribalta, grazie ad alcune proposte di intervento della Commissione Europea, la questione del lavoro per le giovani generazioni. Come spesso accade, soprattutto in Italia, le informazioni provenienti dall’estero e dalle istituzioni europee vengono trattate o con estrema superficialità o piegate ad “interessi di bottega” , focalizzando l’attenzione dei cittadini solo su alcuni punti e non sui provvedimenti nel loro complesso.
Questo breve articolo vuole mettere in luce alcuni punti dei provvedimenti proposti dalla Commissione Europea, passati quasi del tutto inosservati e, contemporaneamente, cercare di aprire un dibattito che coinvolga tutti i soggetti interessati sui dettagli della proposta e sul significato di alcuni passaggi della stessa. L’ambiguità – voluta?- di alcuni passaggi potrebbe prestarsi ad interpretazioni molto diverse.
Rilievi generali
Per una maggiore comprensione di alcune osservazioni credo che sia il caso di spendere alcune righe sulla descrizione, molto grossolana, della situazione economica attuale. Oggi ci troviamo in una tipica fase di sovrapproduzione economica . La capacità produttiva viene ridotta (chiudono fabbriche e servizi associati) o perchè i prodotti non si vendono o perchè dalla loro vendita non si ricava abbastanza profitto. Ovviamente diminuendo la capacita produttiva anche gli addetti che vi lavorano diminuiscono di numero (licenziati). Addetti che spesso non sono più classificabili come giovani, cosi come definiti nella proposta della Commissione. In una situazione economica come quella citata, quale è il senso di garantire ai giovani una buona offerta di lavoro o tirocinio formativo entro 4 mesi dall’uscita dal percorso di studi? (magari curandosi poco se questi giovani hanno accesso ad un percorso di studi…)
Capisco che possa fungere da (poco robusto) ammortizzatore sociale, vista la platea di persone che ne potrebbe usufruire, ma se non è inserito in un ragionamento di come “rilanciare” in generale l’apparato industriale italiano, non sortirà nessun effetto concreto.
Senza un approccio complessivo, si intravede il rischio di mettere in competizione i disoccupati di ritorno – chi ha perso il lavoro a causa della crisi – con gli inoccupati, in una gara a chi garantisce alle imprese un costo del lavoro piu’ basso pur di ottenere un lavoro.
Per avere un effettivo impatto sull’ inoccupazione giovanile l’ ILO (International Labour Organization) stima che servirebbero risorse per circa 21 miliardi di euro. “Al momento, con il Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020 non ancora approvato, di miliardi ne sono stati stanziati 6, di cui 3 presi da fondi di coesione tipo il FSE. Il tutto concentrato nel 2014. Così temporalmente concentrato da fare venire il dubbio che questa sia una manovra per consentire una florida campagna elettorale di propaganda per il rinnovo del Parlamento Europeo agli schieramenti politici maggiori (socialisti e popolari).
A questo si aggiunge un altro paradosso: da un lato, nel documento, si chiede ai governi degli Stati europei di applicare molto rapidamente le misure della garanzia giovani ma con una postilla: gli stati con una situazione di deficit fuori controllo – quindi quelli più in ’crisi – possono differire le misure o diluirle nel tempo. Per la serie: dove si avrebbe più bisogno di questa garanzia giovani meglio non farla subito per non rischiare di peggiorare i conti. Invece nei paesi piu ricchi, dove non ci sarebbe necessità di queste misure, si possono attuare velocemente. Tornerò su questo punto al paragrafo dove affrontiamo una possibile applicazione della garanzia giovani in Italia.
In alcuni passaggi del documento si propone una maggiore mobilità dei giovani in cerca di lavoro all’interno della UE. Anche qui si crea un pericoloso paradosso per i Paesi più in difficolta’.
Uno Stato spende una certa quantita’ di risorse per la formazione dei propri giovani. Risorse sempre più limitate a causa delle misure di austerity. Quando la formazione e’ realizzata per l’80% aiutiamo questi giovani a migrare in un altro Paese. Quindi a creare ricchezza nei Paesi che non hanno pagato la loro formazione. Se la permanenza è esclusivamente temporanea per fare esperienza e per acquisire know – how, per poi ritornare in Italia sarebbe pure accettabile, e cionondimeno andrebbe richiamato nel documento. Se per la maggior parte dei casi questo non avverrebbe, non sarebbe solo un problema di costi non compensati dai benefici per l’Italia, ma si rischierebbe di far scomparire la futura classe dirigente del nostro Paese. Qui non si invoca nessuna “barriera doganale” per i cervelli in fuga. Ma un provvedimento come la Garanzia Giovani dovrebbe essere valutato anche sulle conseguenze che potrebbe produrre nel medio-lungo periodo.
Un altro passo a dir poco controverso è quello che suggerisce delle misure di “workfare” da associare alle misure a sostegno del reddito. I sistemi di workfare subordinano l’erogazione dei sussidi sociali alla prestazione di opera da parte da parte del soggetto beneficiario. Potrebbe in parte essere accettabile se il lavoro prestato fosse per scopi di pubblica utilità e gestito dagli enti pubblici locali. Ma nella maggior parte dei Paesi che applicano questo sistema, Gran Bretagna in testa, i soggetti coinvolti possono essere utilizzati anche da imprese private praticamente in maniera gratuita. Si arriva al paradosso che alcune aziende licenziano dipendenti a tempo indeterminato per fruire dei disoccupati “vittime” del workfare (vedasi ad esempio alcune imprese che hanno operato durante le ultime Olimpiadi di Londra).
Torniamo purtroppo sempre allo stesso punto: il “cattivo” lavoro, superflessibile e a basso costo scaccia la buona occupazione. Questa è una delle contraddizioni, a mio parere, fondamentali del documento proposto dalla Commissione Europea.
Un ultimo punto su cui conviene soffermarsi è una tendenza osservata nel paese a capitalismo avanzato per eccellenza: gli USA. Si sta consolidando una riduzione delle posizioni lavorative di medio-alto profilo disponibili, dovuto all’innovazione tecnologica. L’informatizzazione ha prima svuotato le fabbriche, adesso sta svuotando gli uffici. Mi sembra estremamente chiaro che, in una situazione di contrazione economica e con queste tendenze che inevitabilmente si svoolgeranno anche nella UE, una delle ultime leve per creare posti di lavoro è una riduzione dell’orario di lavoro. Il piu’ possibile a parita’ di salario per non deprimere ancora di più il potere di acquisto dei lavoratori e delle loro famiglie.
La situazione italiana
Pur credendo che una “garanzia giovani “, cosi come è stata formulata, apporti più problemi che soluzioni, se valutata in maniera complessiva e nel medio periodo, entriamo ora nel merito di una sua possibile applicazione in Italia.
A mio avviso esistono due ordini di problemi legati entrambi all’organizzazione della macchina burocratica italiana.
Nel documento UE si fa riferimento all’ efficacia e all’ efficienza degli uffici per l’impiego e alle strutture pubbliche e private che si dovrebbero occupare sul campo a livello locale dell’applicazione della garanzia giovani; se ne chiede un forte e pieno coordinamento centrale. E’ di dominio pubblico però che la riforma che ha trasformato il collocamento pubblico italiano in uffici per l’impiego ha peggiorato in moltissimi casi la situazione. Quel minimo di controllo collettivo che veniva effettuato nel collocamento pubblico, che dava la possibilità di sottolineare storture e malfunzionamenti è sparito. Nella maggior parte degli uffici per l’impiego – non tutti, perche’ esistono delle eccellenze, come ne esistevano nel collocamento pubblico – non esiste quasi nessun orientamento al lavoro, solo burocrazia e cordate di “amici degli amici”. Lo stesso dicasi per gli uffci per l’impiego privati o agenzie di lavoro temporaneo. Ben altra situazione in paesi come il Belgio, dove esiste un articolato e capillare sistema di formazione e orientamento al lavoro. E su cui forse il legislatore italiano potrebbe prendere esempio per migliorare i servizi esistenti.
Questo problema si unisce alla cronica incapacità dell’ Italia, riconosciuta financo dalle forze politiche che appartengono al campo dei liberali europei, di utlizzare i fondi stanziati dall’Europa (il dato aggiornato a Giugno 2012 per quanto riguarda il quinquennio 2007-2013 si ferma ad un 25% circa di fondi utilizzati) (1)
Dunque, ammesso che questa garanzia venga ben strutturata a livello europeo, non ci sarebbero probabilmente le condizioni minime per una sua corretta applicazione.
Ma esiste una questione di portata ancora piu rilevante, che avrà un impatto sull’intera popolazione italiana.
Come accennato in precedenza le risorse stanziate a livello europeo dovranno essere aggiuntive rispetto a quelle che i singoli paesi potranno stanziare.
Qualche esperto di economia dovrebbe spiegare come potrà funzionare questo meccanismo una volta che entrerà in vigore il Fiscal Compact nel 2014. Lo stesso Fiscal Compact costringerà l’Italia a varare un piano per minori spese per circa 45 miliardi all’anno per i prossimi 20 anni, per garantire il pareggio di bilancio in un certo tempo. Siccome non si vede all’orizzonte nessuna ripresa economica e nessun ciclo espansivo dell’economia, da dove saranno prese le risorse necessarie?
Se si dovrà ridurre le spese di una quantità pari alle peggiori manovre finanziarie “lacrime e sangue” degli anni ’90, colpendo sicuramente scuola, università, sanità, quali risorse l’Italia potra’ dedicare a questa “garanzia giovani”? Ricordiamo inoltre che l’Italia spende già oggi per la spesa sociale molto meno che altri paesi europei paragonabili per numero di abitanti e numero di disocuupati. (2)
Rimanendo convinto che per sterilizzare il meccanisco del Fiscal Compact bisognerebbe avviare un movimento di disobbedienza che parta dagli Enti Locali, si potrebbe proporre di considerare questo provvedimento, insieme a tutte le spese di formazione, scuola e welfare, fuori dal calcolo del rapporto deficit/PIL, come già è possibile fare con alcuni investimenti infrastrutturali. Quale è il migliore investimento strutturale per il nostro paese se non quello che prevede scuola e formazione di buona qualità per i suoi cittadini?
Il documento della garanzia giovani è anche perfettamente allineato con le richieste delle associazioni datoriali quando continua a “suggerire” la riduzione dei versamenti a carico dei datori di lavoro per contributi previdenziali e assistenziali per favorire nuove assunzioni. Si chiede quindi che la previdenza e l’assistenza siano a carico della fiscalità generale e quindi a carico di tutti i cittadini. In parole semplici, il diritto alla pensione e all’assistenza di ogni lavoratore sancito nella Costituzione viene scaricato su tutti i cittadini, a tutto vantaggio delle imprese private che cosi aumentano i loro profitti attraverso il meccanismo di riduzione del costo del lavoro.
Non si capisce poi cosa voglia dire nelle intenzioni del legislatore “offerta qualitativamente valida di lavoro”: un salario piu alto della media? Una posizione lavorativa a tempo indeterminato? Un lavoro con una buona progressione di carriera? Ritengo che un dibattito su questo tema, che sgombri il campo dalle ambiguità interpretative presenti nel testo della proposta, sia oltremodo necessario, per evidenziare le contraddizioni di fondo tra i vari “paladini” della garanzia giovani.
E’ previsto anche che al posto di un’ “offerta qualitativamente valida di lavoro” possano essere proposti tirocini formativi e apprendistato: anche su questo punto non è per nulla chiaro quali sarebbero le condizioni a cui i giovani dovrebbero sottostare, e non si capisce il motivo per cui le aziende private debbano poter scaricare i costi di formazione finale della propria forza lavoro sull’intera collettività, quindi sostazialmente in maniera gratuita per loro? Non faceva (fa?) parte del rischio di impresa formare i propri dipendenti? Anche perchè la piaga degli stages grautuiti non si riesce ad arginare e potrebbe magari allargarsi ulteriormente se non si inseriscono dei paletti chieri ed invalicabili alla proposta.
E’ ovvio per chi abbia una anche minima conoscenza della situazione italiana, che anche il limite di età di 25 anni a cui limitare questi benefici e’ irrealistico. In italia a 25 anni solo una piccola percentuale di giovani ha finito l’università. Se non si innalza il tetto ad almeno a 30 anni o 35 il bacino di utenza resterebbe veramente insignificante.
Stessa cosa dicasi delle opportunità di autoimpiego: è un’ altra soluzione per mascherare un lavoro dipendente a basso costo?
Se non si farà chiarezza su questi punti, alle buone intenzioni – ove ce ne fossero – non seguirebbe nessun atto concreto di miglioramento per l’insieme dei cittadini.
Ma non sarebbe più utile utilizzare i fondi proposti per una introduzione a tappeto del reddito minimo garantito e per la riduzione della tassazione sui salari medio bassi? Si farebbe un primo passo per uscire dalla gabbia del “welfare familiare “ italiano su cui si scarica buona parte delle tensioni e dei costi sociali, allineandolo alle migliori esperienze del nord Europa; si darebbe la possibilità di ridurre indirettamente “l’esercito di riserva” dei disoccupati, che non fa altro che abbassare ulteriormente il livello delle retribuzioni e si aumenterebbe la capacita’ di spesa dei cittadini. Ma i legislatori europei vittime (o carnefici?) dell’ideologia liberista-finanziaria ne avranno la lungimiranza?
(1) Corriere della Sera del 12 Giugno 2012
www.corriere.it/economia/12_giugno_12/45-miliardi-fondi-europei-mai-usati-salvia_f35dd092-b454-11e1-8aac-289273c95a39.shtml
(2) Dal redattore sociale
http://www.dirittiglobali.it/home/categorie/46-studi-rapporti-a-statistiche/39085-ue-spesa-sociale-in-calo-italia-agli-ultimi-posti.html