Catalogna: quello che la crisi ci insegna sull’indipendentismo, lo Stato spagnolo e la costruzione europea

carlespuigdemontimarianorajoydi Marc Botenga (PTB – Belgio)

da solidaire.org

Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx21.it

Come contributo alla riflessione sulla “questione catalana”, proponiamo l’articolo di Marc Botenga, pubblicato in “Solidaire”, il giornale dei compagni del Partito del Lavoro del Belgio (PTB)

La crisi tra i dirigenti spagnoli e catalani non si arresta. Il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, rifiuta qualsiasi dialogo e minaccia di prendere il controllo diretto sulla regione. I dirigenti europei sostengono tacitamente la repressione. Il dirigente catalano Puigdemont, per parte sua, ha organizzato un referendum molto discutibile. In un gioco tattico, ha fatto una dichiarazione di indipendenza, che ha poi sospeso. Si deve scegliere tra l’autoritarismo dello Stato spagnolo e dell’Europa e l’indipendentismo?

La destra spagnola inasprisce le tensioni nazionaliste

Il primo responsabile dell’escalation nazionalista è Mariano Rajoy, primo ministro conservatore del governo spagnolo. La sua responsabilità non è limitata all’uso di manganelli e proiettili di gomma durante il referendum catalano. Dal 2010, Rajoy e il suo Partito popolare (PP) rifiutano di negoziare il futuro della Catalogna. Il conflitto si era acuito proprio dopo che la Corte costituzionale aveva annullato, su richiesta del PP, un accordo su una maggiore autonomia per la Catalogna. La polizia ha arrestato i funzionari catalani e ha perquisito le sedi dei giornali. Davanti a questo atteggiamento autoritario, gli indipendentisti catalani hanno guadagnato consensi.

Se Rajoy sembra aver fatto di tutto per aumentare le tensioni, è perché credeva di poter avvantaggiarsi da questo conflitto. Si trova infatti in una posizione precaria: il suo governo non ha la maggioranza nel parlamento spagnolo e dipende dal sostegno dei socialdemocratici del PSOE. Inoltre lo stesso Rajoy è fortemente coinvolto in scandali di corruzione. Alla fine di luglio è diventato il primo Primo Ministro spagnolo a testimoniare in tribunale. Mentre era vice-presidente del Partito popolare (PP), 37 persone sarebbero state coinvolte in pratiche corruttive in cambio di contratti importanti, con appropriazione indebita di fondi pubblici. Per il Partito popolare, questo è stato solo l’ennesimo scandalo di corruzione.

È stato quindi utile per Rajoy attizzare tensioni presentandosi come “il salvatore dell’unità della patria”. Pablo Iglesias (Podemos) sintetizza la contraddizione su Twitter:”I corrotti del PP liberi. Gli indipendentisti catalani in prigione. »

Puigdemont, il miglior nemico di Rajoy

Rajoy ha trovato il “migliore nemico” in Carles Puigdemont, Presidente della regione catalana. Mentre Rajoy si atteggia a garante dell’unità della Spagna, Puigdemont si presenta come valoroso campione dei catalani contro Madrid. Con la sua coalizione, ha presentato l’indipendenza catalana come la sola risposta al malcontento sociale e democratico in Catalogna.

In realtà, sostenuti tra gli altri dalle grandi banche catalane, Puigdemont e i suoi alleati non cercavano di ottenere a qualsiasi prezzo l’indipendenza. Volevano soprattutto utilizzarla come moneta di scambio per ottenere maggiori poteri fiscali. L’idea era di ridurre i contributi della ricca regione catalana per la solidarietà con le altre regioni spagnole, permettendo di aumentare i profitti delle banche e delle grandi imprese.

D’altro canto, il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori catalani è lungi dall’essere la loro priorità. Per esempio, in Catalogna, la situazione negli ospedali è terribile. Puigdemont si scagiona, puntando il dito contro Madrid, ma è stato il suo catalanissimo predecessore, Artur Mas, che ha diminuito del 20% in cinque anni la spesa pubblica in Catalogna. Mentre gli ospedali e le scuole perdevano migliaia di posti di lavoro, i ranghi della polizia catalana si ingrossavano. Puigdemont e i suoi compagni sono quindi direttamente responsabili della situazione sociale in Catalogna. Non fanno altro che strumentalizzare la questione nazionale per nascondere le conseguenze della loro politica.

La destra catalana tra scandali e austerità

I paralleli tra Rajoy e Puigdemont non si fermano qui. Altrettanto conservatore e di destra quanto Rajoy, Puigdemont senza dubbio spera di farsi promozione. Nemmeno il suo partito dispone di una maggioranza al Parlamento catalano. La destra nazionalista catalana è, d’altra parte, anch’essa implicata in numerosi scandali di corruzione, come ha rivelato il giornale francese l’Humanité. Le concessioni di lavori pubblici, come per il Palazzo della Musica di Barcellona, sarebbero stati scambiati con versamenti al partito della destra catalana.

Per non pagare le imposte, un predecessore di Puigdemont ha inoltre nascosto una parte del suo patrimonio all’estero. È stata aperta un’inchiesta sulle irregolarità e i sospetti di corruzione riguardo all’impresa Acque di Girona, di cui Puigdemont, quale sindaco, avrebbe potuto essere al corrente. Tra i possibili beneficiari delle somme? Il partito della destra catalana.

L’inasprimento delle tensioni nazionaliste permette in più alla destra di evitare il dibattito sull’austerità, che ha mobilitato milioni di cittadini in tutta la penisola iberica. Alle elezioni, la destra indipendentista ha utilizzato gli argomenti sociali al fine di convincere i catalani a votare per l’indipendenza. Né Rajoy, né Puigdemont rimettono in questione i programmi di austerità che hanno causato un’enorme crisi sociale in Spagna. Mentre il dibattito pubblico vira sull’avvenire della Catalogna, degli incendi criminali distruggono intere foreste, e l’aumento della disoccupazione a settembre passa completamente inosservato.

Dal crescendo nazionalista all’unità sociale?

La sinistra in Spagna e in Catalogna si trova di fronte a un dilemma. Né Rajoy né Puidgemont offrono la minima prospettiva. In più, invece di cercare un’ alternativa, il partito socialdemocratico spagnolo PSOE sostiene Rajoy. Come vincere in tali circostanze?

Non mancano proposte alternative. Alcuni parlano di repubblica federale. Altri vogliono offrire spazi di dialogo e garantire un referendum con garanzie democratiche. Tali soluzioni devono passare attraverso un vero e proprio dibattito nazionale. Un dibattito sulle questioni territoriali, dove le emergenze sociali siano al centro.

In tutta la Spagna, la sinistra si è mobilitata innanzitutto contro la repressione, dimostrando ai catalani che non sono soli:”Catalunya no está sola”, per loro la Spagna non è né Rajoy, né la monarchia, né gli eredi del dittatore Franco.

Per far uscire i cittadini dalla crisi e affrontare l’ Unione europea, sanno che dovranno unirsi per consentire ai cittadini di riappropriarsi della democrazia. Il sindaco progressista di Barcellona, Ada Colau, condanna duramente la repressione di Rajoy. Allo stesso tempo, pur lottando per aumentare la spesa sociale, sottolinea che una dichiarazione unilaterale di indipendenza non aiuterebbe nessuno.

Va detto che, fintantoché un paese accetterà i dogmi del mercato, sarà costretto ad entrare nella folle corsa della concorrenza e della competizione. Un’eventuale Catalogna indipendente dovrà quindi confrontarsi non solo con la Spagna, ma anche con l’ Unione europea, un potente blocco economico proprio ai suoi confini. Centinaia di imprese hanno già lasciato la Catalogna a titolo precauzionale. In tale contesto, la destra catalana richiederà senza dubbio una maggiore moderazione salariale in nome della competitività. Tanto più visto che la Catalogna è economicamente legata all’economia spagnola ed europea. Il paradosso è quindi che una maggiore indipendenza può implicare meno potere decisionale, come ha recentemente affermato l’ economista Paul de Grauwe.

Alcuni sperano che una Catalogna indipendente possa rompere con la logica del mercato e della concorrenza. Tuttavia, ciò richiederebbe un enorme cambiamento nell’attuale equilibrio di potere all’interno della Catalogna. La nuova repubblica si troverebbe poi isolata in mezzo a paesi ostili. Già oggi, la destra spagnola evoca la messa sotto tutela della Catalogna, con un possibile intervento militare. Rompere il potere delle multinazionali in una regione di 7 milioni di persone significherebbe entrare in conflitto non solo con lo Stato spagnolo, ma anche con la Francia, la Germania e l’ Unione europea. La crisi greca del 2015, quando gli Stati europei strangolarono il governo di Alexis Tsipras, ha anticipato le pressioni politiche che si sarebbero esercitate su questo esperimento. Senza l’ appoggio di un grande movimento popolare in Spagna, e anche in Europa, un esperimento del genere sembra semplicemente insostenibile.

La crisi catalana sta mettendo a nudo i limiti dell’attuale democrazia. La corruzione e l’ austerità spingono il diritto a promuovere il nazionalismo. La socialdemocrazia segue. Il rifiuto del dialogo è inaccettabile. Di fronte all’autoritarismo dello Stato spagnolo e dell’Unione europea, c’è la possibilità di un’ ampia mobilitazione. Lungi dall’essere un cattivo strumento, il futuro dell’Europa passerà da lì.

Il ruolo delle istituzioni europee

L’opportunismo e gli errori politici di calcolo dei due dirigenti della destra hanno quindi fortemente contribuito al crescendo attuale. Il Re di Spagna ha gettato altro olio sul fuoco. Non ha mostrato il minimo rispetto per le richieste democratiche della gente. Quanto ai dirigenti europei, non hanno fatto meglio: mentre la Guardia Civil manganellava i partecipanti catalani, essi tacevano, a Berlino come a Parigi. Emmanuel Macron si è in seguito allineato incondizionatamente dietro Rajoy. Frans Timmermans, Vice Presidente della Commissione Europea, ha addirittura parlato di uso proporzionato della forza. Per il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, si tratta di un affare interno spagnolo. Una considerazione che sembra non valere per tutti quei paesi dell’Africa, dell’America Latina o dell’Asia a cui l’Unione Europea ama dare lezioni…

La corrente maggioritaria delle istituzioni europee difende il modello degli Stati nazionali integrati in un superstato europeo. Questa corrente non vuole aprire il vaso di Pandora del separatismo, perché altre regioni vi si precipiterebbero. Questo potrebbe poi portare a lotte centrifughe interne in Europa. Allo stesso tempo, c’ è anche una corrente all’interno delle istituzioni europee che difende un’ Europa delle Regioni su una base “etnica” o linguistica. Un’ Europa di questo tipo indebolirebbe alcuni dei grandi Stati oggi esistenti, a vantaggio della Germania e dello Stato europeo.

Questo secondo progetto, tuttavia, è ancora considerato troppo destabilizzante, il che significa che le istituzioni stanno attualmente sostenendo Rajoy. Questo sostegno mostra il tipo di Europa che stanno costruendo. Dalla violenza economica contro i greci alla violenza politica contro i catalani, l’élite europea ha un grande problema di legittimità, come sintetizzato dal presidente del PTB Peter Mertens in un dibattito sul futuro dell’Europa. Sebbene Charles Michel sia stato l’ unico capo di governo a condannare la violenza, ha intenzione di continuare a costruire l’Unione europea con queste personaggi.