di Ezio Grosso, Comitato Federale PdCI Torino
Riceviamo e volentieri pubblichiamo come contributo alla discussione
Il documento “Italia Bene Comune”, espressione “ufficiale” del PD a firma del segretario Bersani, rappresenta un buon punto di partenza per proporre ragionamenti e spunti d’analisi politica alla variegata realtà dei Comunisti ed alla scomposta compagine delle “sinistre anticapitaliste” e spontanee.
Questo documento, per certi versi, rappresenta un’anomalia nel panorama ampio e spesso contraddittorio delle affermazioni ascrivibili al PD enunciando, in modo chiaro e netto, scelte e posizioni politiche che superano ampiamente i confini dell’interlocutorio: “Il nostro posto è in Europa…Lo faremo assieme a quelle forze progressiste che cercano…di non tradire il sogno di un’Europa unita…” e già nella parte da introduttiva.
In ogni caso, pur nell’incertezza di un’analisi influenzata dal caos tattico ed ideologico interno al PD, esso indica alcuni punti fermi che lasciano intendere, se non proprio la volontà d’abbandonare le ormai consuete posizioni liberaldemocratiche, almeno l’intenzione di metterle in discussione e/o stemperarle con una robusta iniezione d’anticorpi socialdemocratici. Il fatto che esprima un attacco al “…liberismo finanziario che ha lasciato i ceti meno abbienti in balia di un mercato senza regole” e continui in punti successivi con: “esiste…un problema enorme di redistribuzione che investe il rapporto tra rendita e lavoro…e “…la ricchezza finanziaria e immobiliare è diventata sempre più inafferrabile, capace com’è di sfuggire a ogni vincolo fiscale e solidale. E però non si esce dalla crisi se chi ha di più non è chiamato a dare di più” rappresenta un fatto nuovo, strumentale forse, ma che, in ogni caso, potrebbe consentire maggiori possibilità di confronto e dialogo con i comunisti e le forze di sinistra.
La novità di quest’apertura, però, viene proposta in una sorta di formula “blindata” di coerenza progettuale il cui centro è dominato dall’Europa (la linea dichiarata dal PD ora, e dai suoi antesignani nell’Ulivo, è sempre stata coerente a tale impostazione), o per lo meno da un suo feticcio formale che ne maschera il Moloch liberistico e tecnocratico.
Dal documento in questione potremmo estrarre esempi tanto espliciti quanto eloquenti in merito, valga uno per tutti: “…noi siamo l’Europa, nel senso che da lì viene la sola possibilità di affrancare l’Italia dai guasti del collasso liberista, e quindi le sorti dell’integrazione politica coincidono largamente col nostro destino. Insomma non c’è futuro per l’Italia se non dentro la ripresa e il rilancio del progetto europeo. La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l’Europa.”
Non possiamo però esimerci dall’evidenziare grossolane incongruenze e contraddittorietà a distanza di poche righe, se non addirittura nello stesso periodo grammaticale, nel volenteroso e patetico tentativo di accontentare tutte le tendenze politiche presenti nel PD, ennesima dimostrazione di quanto, la sua classe dirigente, sia incapace di proporre e perseguire una strategia a lungo termine.
D’altra parte, tanto per far qualche banalissimo esempio, il fatto di sostenere che politiche economiche liberiste (peraltro imposte da organismi terzi), che il precariato diffuso e la compressione salariale, che la progressiva privatizzazione della scuola e del sistema sanitario si possano coerentemente accompagnare a politiche economiche espansive e redistributive, alla difesa del lavoro ed ai relativi diritti, all’universalismo della cultura e dei beni comuni diventa un mero, se non ipocrita, esercizio dialettico.
Qualunque quadro o militante di Partito, leggendo questa Carta d’Intenti, non può non notare tali incongruenze, però un merito deve ad essa essere riconosciuto e sottolineato: il coraggio di affrontare, almeno formalmente, tutta una serie di problematiche finora sottaciute e, forse, anche il coraggio di accettare lo scontro politico e la deriva delle conseguenze.
A questo punto e giustamente, qualche compagno potrebbe far notare che, pur considerando in generale l’importanza di un riavvicinamento politico del PD ad una lettura della società più in sintonia con le nostre categorie di pensiero, quanto, a tale evento si debba concedere la possibilità d’influenzare, se non addirittura dirimere e/o predeterminare, la naturale dialettica interna al Partito?
Dovrebbe apparire assolutamente ovvia e naturale, specie alla luce della deliberazioni congressuali relative alla politica delle alleanze, la scelta, per lo meno tattica, di apertura al dialogo ed al confronto, pur nella consapevolezza delle enormi e reciproche divergenze. Ma l’ovvietà tattica dell’assumere quest’atteggiamento, non deve allontanare il dubbio che i temi centrali dei nostri ultimi due, se non tre Congressi, siano stati un po’ troppo incentrati sulle peculiarità comuniste, perdendo parzialmente di vista processi evolutivi (o involutivi) in atto in Italia e nel continente europeo.
Una breve parentesi storica: anche ad una lettura non particolarmente attenta delle Tesi di Lione, l’accuratezza e la maturità dell’analisi storica e geopolitica (da considerare ovviamente nel contesto di quegli anni ed evitando di farsi tentare da fantasiose estrapolazioni) risalta in modo spiccato e, tanto più ciò è significativo se consideriamo la condizione del PCd’I in quegli anni. Le proposte e le conclusioni di quel Congresso, che hanno individuato le direttrici di una strategia a lungo termine, per certi versi si potrebbero addirittura considerare la base progettuale e costitutiva del PCI.
Tornando all’oggi, anzi a ieri ed all’altro ieri, quali sono state le premesse, le proposte e le conclusioni dei nostri ultimi due Congressi?
Nell’emergenza del disastro del 2008, considerando ormai superati dalla prova dei fatti i precedenti e reiterati appelli (peraltro inascoltati o considerati da “altri” alla stregua di loro possibilità egemoniche) a forme d’unità a sinistra, abbiamo proposto l’Unità dei Comunisti, senza però, nonostante la scissione del PRC, riuscire a raggiungere l’obiettivo prefissato.
Nel Congresso scorso, partendo da un’analisi certo ampia ad accurata, ma in alcuni punti sapientemente sfuggente e/o superficiale, la proposta di Ricostruire il Partito Comunista.
In mezzo, oltre ad una serie d’insuccessi elettorali, la costituzione del cartello elettorale (o poco più) della Federazione della Sinistra.
Ora, giunti a questo punto, pur continuando per necessità a perseguire comprensibili tattiche d’attesa e d’alleanza, pur considerando la FdS un irrinunciabile giogo più che un punto di rilancio politico, sarebbe doveroso, almeno all’interno del PdCI, avanzare ufficialmente la proposta di aprire un confronto per sviluppare un’analisi che vada veramente a toccare la realtà geopolitica e che poi, solo in un secondo tempo, si ponga l’obiettivo d’individuare il ruolo di un Partito Comunista.
Per ragioni di spazio e per non deviare dal solco tematico, non è il caso, almeno in questa sede, di ampliare il discorso andando ad analizzare ragioni, tempi e dinamiche per cui, una bozza progettuale di unione politica europea si sia progressivamente trasformata e concretizzata in un’entità di governo sopranazionale guidata da un’oligarchia finanziaria e tecnocratica che, pur non essendo (ancora) una vera e propria dittatura, senza dubbio non soddisfa più i requisiti fondamentali delle democrazie elettive. Quest’ultima affermazione non è una boutade con intenti provocatori, ma la razionale constatazione di un’evidente e triste realtà, della quale dobbiamo essere tutti consapevoli.
Bersani è stato chiarissimo ed incontestabilmente coerente nel delimitare gli spazi di posizionamento politico concessi agli ipotetici alleati di coalizione indicando, quale confine invalicabile, la condivisione (almeno parziale) dell’impostazione ultra-europeista del PD.
Tenendo conto del quadro politico generale e considerando che la scontata campagna populistica e demagogica antieuropea, portata avanti da destre più o meno xenofobe e dall’antipolitica militante (Grillo e similari), non potrà che accentuarsi nei prossimi mesi e farà sicuramente presa (pur nell’attuale impossibilità di valutazioni quantitative attendibili) su un certo tipo d’elettorato, il problema di aver relegato il tema Europa in un limbo di genericità dialettica, per la Sinistra ed i Comunisti in particolar modo, rischia d’avere, in un futuro non poi così lontano, effetti devastanti.
Nel corso delle assise congressuali abbiamo quasi rimosso questo tema, trattandolo in modo generico (e/o volutamente superficiale) evitando di affrontare un confronto serio ed esaustivo, eppure le conseguenze politiche delle scelte economiche e delle intromissioni (imposizioni) europee in tale ambito ai governi nazionali erano già evidenti agli occhi di tutti.
Se di tali intromissioni, la proposta di un referendum in merito alle politiche di risanamento, avanzata in Grecia dal suo governo legittimo, e costretto quasi subito a ritirarla in seguito all’ostracismo dell’UE ne rappresenta l’esempio estremo, le altrettanto pesanti, anche se più mediate ed occulte manovre che hanno portato a nuove elezioni in Spagna e nella stessa Grecia e ad un governo di garanzia in Italia, ne rappresentano l’ormai scontata arroganza.
D’altra parte, se ci concediamo una breve parentesi storica e sprechiamo un attimo per riesaminare alla luce delle vicende attuali il periodo (sottolineato nel documento “Bersani” quale unico esempio di guerra recente in Europa “La conquista faticosa di un continente che, con la tragica eccezione dei Balcani, ha conosciuto nella seconda metà del secolo la sua riconciliazione”) della dissoluzione jugoslava e dei conflitti balcanici, non risulta difficile collocare in questo lasso temporale il momento in cui (pur tralasciando le evidenti “e occulte dietrologie” USA-NATO volte ad ostacolare la naturale e possibile evoluzione europea verso una politica estera comune ed autonoma se non addirittura all’unione politica) cominciò la progressiva emarginazione del progetto dell’Europa politica a favore d’una sua controfigura prettamente economica e finanziaria.
Non è certo da ieri che i Comunisti ed i Comunisti Italiani in particolare, anche ora, in una condizione d’estrema esiguità di mezzi, si oppongono, peraltro in misura superiore a quanto sarebbe normalmente considerato possibile, alla comune accettazione della deriva liberista, appoggiata in pratica da tutti gli schieramenti di governo.
Il problema da affrontare in tempi brevi però, non dipende dall’aver formulato una linea politica incerta o poco chiara, e nemmeno da un’interpretazione apparentemente contraddittoria della politica delle alleanze (una scelta diversa peccherebbe del più classico infantilismo massimalista), ma dal fatto di non aver analizzato a fondo tutte le implicazioni internazionali delle scelte di campo.
Tanto per esemplificare, in questi ultimi tempi i giornali si sono divertiti ad etichettare le forze politiche nazionali assegnando loro, appoggiandosi a sondaggi rivolti a militanti e simpatizzanti, “punteggi” d’europeismo: agli storici euro-scettici di destra PDL e Lega Nord hanno ovviamente accostato il Mov5Stelle di Grillo (che dell’ostilità all’UE ne ha fatto una bandiera) e, seppur in modo parziale e rilevando le importanti differenze motivazionali, tutte le forze politiche di sinistra e l’IdV, identificando nel PD l’unica forza entusiasticamente filo-europea affiancata in modo dubbio dall’UDC.
Certo questa non sarà la sede più consona per avviare una discussione tematica, ma quella per un richiamo ai Compagni, dirigenti e non, affinché la smettano di sottovalutare l’importanza di questa problematica invitandoli ad inserirlo in un OdG non troppo lontano nel tempo, sì.
Consapevoli che le forze della sinistra presenti in Europa esprimono visioni poco omogenee sull’UE e sull’Euro, dovremmo prendere atto della necessità di procedere ad un confronto interno a Partito (o ai partiti) in modo da giungere a formulare una risoluzione ufficiale che espliciti una posizione chiara e definitiva, almeno a livello nazionale.
Qualora, tale risoluzione si esprimesse a favore dell’UE considerandola una realtà consolidata e da sostenere, anche se suscettibile di sostanziali miglioramenti, allora, pur senza tralasciare il naturale impegno politico in Italia, diventerebbe fondamentale promuovere un confronto, possibilmente risolutivo, con le formazioni politiche gemelle e/o vicine in ambito europeo.
Non possiamo certo illuderci di riuscire a promuovere la formazione di un nuovo Comintern, ma uno sforzo in questa direzione sarebbe doveroso operarlo, naturalmente per gradi, a piccoli passi, magari partendo da un coordinamento per temi (lavoro, sindacato, economia…) in modo da stabilire, se non proprio una linea politica comune almeno una consonanza ufficiale e rigorosamente praticata sui temi principali in tutti gli stati nazionali.
Questa strada non possiamo prefigurarla che lunga e tortuosa, piena d’ostacoli che potrebbero costringerci a continue deviazioni e rimandi (immaginiamo anche solo un confronto tra Syriza e KKE), ma resta anche l’unica che possa portarci ad ipotizzare la prospettiva di un orizzonte storico e politico comune.
Qualora invece, la risoluzione esprimesse una posizione contraria al percorso d’unificazione europea e, di conseguenza, prospettasse la necessità di perseguire una via sostanzialmente nazionale tendente a limitare con forza e/o respingere i vincoli dell’UE e della moneta unica (tanto per intendere approssimativamente la posizione del KKE) si aprirebbero scenari nuovi ed inesplorati.
Le possibilità d’azione politica, in questo caso, potrebbero essere numerose, ma per lo più limitate a poche variazioni tattiche volte a costruire proposte velleitarie di governo alternativo, a meno di riuscire a trascinare su queste posizioni anche forze quali IdV e/o SEL, ipotesi questa, oggettivamente da considerare, più che suscettibile di verifica nell’ambito del reale, puro esercizio di letteratura fantastica.
La più ovvia e unica veramente praticabile (sogni di simboliche azioni d’innesco per rivolte/rivoluzioni lasciamoli a Ferrando), potrebbe essere quella di “andare a rubare” lo spazio politico, prospettando una chiave di lettura della società in netta contrapposizione alla demagogia nazi-lepenista/leghista/xenofoba, al manifesto qualunquismo di Grillo e di formazioni sul tipo dei “pirati” nordeuropei, ma accettando il rischio intrinseco o la consapevole certezza di poter finire, per scelta o destino conseguente, arroccati in posizioni identitarie escludenti ogni residua possibilità d’interazione e dialogo con forze politiche più moderate.
Un rischio intrinseco a questa scelta, assolutamente da non trascurare o sottovalutare, è quello di non riuscire comunicare in modo efficace le nostre proposte (ipotesi piuttosto probabile se consideriamo i mezzi finanziari e mediatici di cui possiamo disporre) finendo per essere paradossalmente accomunati, nell’immaginario collettivo, all’antipolitica di destra.
Di conseguenza, in uno scenario politico con così tante variabili, probabilmente l’unica costante resterebbe quella di rifiutare, a priori, qualunque ipotesi di dialogo con il “centro-sinistra” ed il PD in particolare, magari riportando in vita lontani e dimenticati fantasmi social-fascisti, o scivolando in antistoriche derive trotzkiste.
In conclusione, seguendo una razionale metodologia storica di pensiero, possiamo permetterci di affermare che, opportunità diverse, se non addirittura contrapposte, potrebbero essere perseguite con una maggiore o minore libertà d’azione in base alla platea ed agli sbocchi elettorali. In parole povere: i presupposti, gli obiettivi, le strategie e la percezione delle responsabilità oggettive possono variare enormemente in base al tipo di consultazione.
Per cui, se scelte di forte contrapposizione ideologica, magari non premianti dal punto di vista elettorale, ma simbolico veicolo di visibilità per proposte alternative, possano e debbano essere perseguite, qualora particolari condizioni locali (TAV, Dal Molin ecc.) le rendano particolarmente significative e percepibili, analoghe scelte a livello nazionale, invece, dovranno necessariamente corrispondere alla logica più complessa e generale del “ruolo guida”, con tutte le sue implicazioni, da una parte, ma anche a quella, certo non meno importante, dall’altra, del confronto con responsabilità generali ed assolute.