Riceviamo con richiesta di pubblicazione
Lettera a Marx XXI
La scelta su come votare, o anche astenersi, nelle elezioni, per i comunisti non affetti da “elettoralismo” è sempre collegata all’obiettivo che si vuole raggiungere.
Siamo perciò rimasti sorpresi nel leggere su Marx XXI un intervento (“Il mio voto comunista contro il totalitarismo liberale”) di Alessandro Pascale – un compagno che stimiamo per il lavoro che sta facendo sulla storia e la teoria del movimento comunista e l’analisi della situazione attuale, e con cui come Associazione Stalin abbiamo avuto modo di avviare un interscambio positivo. In occasione delle elezioni del 26 maggio Pascale intende votare, seppure con qualche riserva, per la minuscola formazione politica che si fa chiamare Partito Comunista.
Dove sta la sorpresa?
Intanto, preliminarmente, bisogna notare che questo gruppo nasce con una posizione che definisce la Cina come paese imperialista e contemporaneamente è anche diretto da un ‘cattivo maestro’ che era parlamentare e uno dei massimi dirigenti del Partito dei Comunisti Italiani che partecipava, con 2 ministri e 3 sottosegretari, al governo D’Alema quando l’Italia contribuì con grande alacrità a bombardare assieme alla NATO la Jugoslavia. Vale la pena di farsi abbagliare dalla definizione ‘comunista’ e spendersi per un gruppo con queste caratteristiche?
La nostra sorpresa però non dipende solo da questo. La questione principale riguarda infatti la motivazione addotta. Dice in sostanza Pascale: se dobbiamo votare, ma come molti di noi in passato ci si poteva astenere e motivatamente, votiamo la bandiera rossa (“sarà un piacere sulla scheda elettorale barrare la falce e il martello”).
Ma su questo bisogna intendersi. Il compagno Pascale, che sta conducendo una ammirevole riscoperta del pensiero comunista del secolo scorso, si sarà reso ben conto che la ripresa dei comunisti non dipende dalle autoproclamazioni che, quando non sono un inganno deliberato, servono solo a ridicolizzarli. Di queste autoproclamazioni sono lastricate le strade di quelli che noi definiamo “livornisti”,i quali credono di poter risolvere la questione facendo il pellegrinaggio nella città in cui il Partito comunista italiano fu fondato e ricominciare come se nulla fosse successo.
Pascale sa bene invece, anche per esperienza diretta, che coloro che si sono messi sulla strada delle ‘rifondazioni’ comuniste senza una ricognizione storica concreta e una ridefinizione strategica basata sulla realtà della crisi del movimento comunista, hanno non solo prodotto fallimenti e trasformismi, ma anche contribuito ad alimentare l’anticomunismo, spacciando le innovazioni improvvisate per un pensiero scientifico comunista. Per non parlare del fatto che la rivendicazione dell’eredità comunista viene fatta anche strumentalmente, nella speranza di lucrare qualche voto sfruttando una tradizione che in Italia ha avuto il peso che sappiamo.
Questo ragionamento ci riporta al punto essenziale che noi contrapponiamo al livornismo. Vogliamo qui appena ricordare che la storia del Partito comunista italiano è stata una grande storia perchè ha saputo cogliere correttamente due esigenze fondamentali: la determinazione nella lotta delle classi sfruttate e l’analisi della fase storica, di cui Gramsci e Togliatti (quest’ultimo fino al momento della crisi del movimento comunista) si sono fatti interpreti. Il cialtronismo del radicalismo ideologico non ha nulla a che fare con tutto questo. Lavorando sulla storia del movimento comunista bisogna che di questo ci rendiamo ben conto se vogliamo evitare che la storia si riproduca come farsa.
Marx XXI ha aiutato finora i compagni, anche col contributo di Pascale, ad orientarsi in questo senso. Evitiamo che, con indicazioni di voto sbagliate, si ritorni indietro.
Paolo Pioppi
Roberto Gabriele