
di Maria Morigi
la Francia è chiamata a rinnovare i 577 deputati dell’Assemblée Nationale. In base al sistema elettorale francese al primo turno vince chi ottiene la maggioranza assoluta(289 seggi) o almeno il 25% degli elettori registrati. Nessuno ci è riuscito domenica 12 e così si andrà domenica 19 giugno al secondo turno che sarà un testa a testa fra la maggioranza presidenziale ‘Ensemble!’ e la “Nuova Unione popolare ecologista e sociale” (Nupes), guidata da Jean Luc Melenchon. La destra di Le Pen è ormai esclusa dai giochi.
Non raggiungere la maggioranza assoluta rappresenterebbe una battuta d’arresto per Macron e per il suo programma di riforme che – dalle pensioni, all’università, alla scuola, alla sicurezza, all’immigrazione, ai finanziamenti militari ecc.- non piacciono affatto a varie categorie sociali e di lavoratori.
Non raggiungere la maggioranza assoluta costringerebbe Macron ad ampliare la sua alleanza di governo e a ripiegare su un governo di coalizione, cosa cui i francesi non sono abituati. Addirittura dovrebbe nominare il primo ministro del campo vincente, provocando uno scenario impensabile perché il sistema elettorale vigente è stato progettato proprio per evitare coalizioni.
La Francia infatti non ha una maggioranza parlamentare formata da diversi partiti dal quinquennio 1997-2002, quando il presidente Jacques Chirac (di destra) convisse con il premier socialista Lionel Jospin. La modifica costituzionale introdotta nel 2000 ebbe la funzione di prevenire e impedire tali “convivenze” disponendo che le elezioni parlamentari avvenissero poco dopo quelle presidenziali. In tal modo dal 2002 i presidenti francesi hanno avuto sempre anche la maggioranza in parlamento.
In questi ultimi 20 anni ho seguito epocali scioperi generali, ho visto il sangue scorrere per le strade di Parigi e all’ingresso delle università (temendo per l’incolumità dei miei ragazzi), ho odiato (si può dire?) Sarkozy con le sue irricevibili misure poliziesche a suon di manganelli nelle banlieues e i suoi atteggiamenti “riformisti” all’americana, ma faziosi e sprezzanti nei confronti di studenti, sindacati e minoranze etniche; ho disprezzato (si può dire?) la debolezza del “socialista” Hollande nel mantenere il minimo di dignità morale e istituzionale; sono rimasta sconvolta dalle reazioni governative agli episodi di terrorismo cui si è risposto insistendo nella provocazione; ho assistito anche all’ascesa e al declino di movimenti come i Gilet Jaunes che in qualche modo giustificavo e comprendevo…
Nello stesso tempo ero colpita dal fatto che, nonostante i presidenti esibizionisti e nevrotici e nonostante gli sconvolgimenti sociali, i francesi abbiano un sicuro “senso dello Stato” per cui in realtà il cittadino si sente tutelato e le istituzioni, il fisco, la giustizia, la sanità, la scuola, le agenzie del lavoro (e dico poco) funzionano e soddisfano le esigenze. Purtroppo in questo quadro si osservava anche la progressiva e continua disgregazione della Sinistra che si diversificava in molti rami e appartenenze.
Oggi, che Melenchon vinca o sfiori la vittoria il prossimo 19/6, a me sembra che la Nouvelle Union Populaire Ecologique et Social (Nupes) porti ad un cambiamento di passo. Finalmente c’è un’opposizione. Sicurezza, potere d’acquisto, figli, pensioni ed ecologia sono stati i temi dominanti in campagna elettorale. Il programma presentato è sociale ed economico da sinistra classica (spesa sociale, salario minimo e nazionalizzazioni), ma si è anche puntato su ambiente, lotta al riscaldamento globale e pianificazione, facendo dell’ecologia una priorità pari a quelle sociali ed economiche.
Tema ancora caldo e non unificante nel nuovo fronte di sinistra è quello dell’Europa: l’alternativa è tra la netta disobbedienza o la sospensione dell’applicazione di regole e trattati. Tutti sono comunque d’accordo per imprimere un cambiamento alla politica di Bruxelles: revisione dei parametri di Maastricht, rifiuto delle politiche neoliberiste e soprattutto via libera alla pianificazione ambientale.
A causa della guerra in Ucraina, la proposta di uscita dalla Nato è sospesa, ma in passato Melenchon era favorevole.
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