di Daniele Cardetta | da www.tribunodelpopolo.it
Le ineguaglianze di reddito sono cresciute dal 2007 al 2010 più che nei 12 anni precedenti. Nei paese Ocse circa il 10% dei più ricchi ha un reddito 10 volte superiore a quello del 10% dei più poveri. In italia le cose vanno pure peggio, e secondo l’Ocse le disuguaglianze aumenteranno notevolmente nei prossimi anni.
Negli ultimi tre anni di crisi economica le disuguaglianze di reddito sono aumentate più che nei 12 anni precedenti. La crisi ha prodotto dei cambiamenti significativi nella distribuzione del reddito, aumentando in modo netto e inequivocabile il gap tra reddito dei più ricchi e reddito dei più poveri. Solo per snocciolare delle cifre nei paesi Ocse il 10% della popolazione piu’ ricca ha un reddito 9,5 volte piu’ alto di quello del 10% della popolazione e’ piu’ povera, contro le 9 volte del 2007. In Italia il gap e’ 10,2 volte nel 2010 contro le 8,7 del 2007. Lo ha rivelato proprio l’Ocse mediante un’indagine con la quale ha anche ammonito che l’Austerity specie se i governi perseguino la necessita’ di tenere sotto controllo la spesa pubblica“.
Inutile dire che le parole di Gurria rimarranno lettera morta dal momento che per il capitalismo la sofferenza della parte più povera della popolazione non assume alcun significato. Gurria è andato anche oltre, invocando un sistema fiscale più equio che asiscuri che tutti paghino una quota di tasse equa ricevendo gli aiuti di cui necessita. Anche questa non è che una mera utopia dal momento che a pagare sono sempre gli stessi, ovvero coloro che non possono fare altrimenti. In Italia ad esempio il costo delle tasse è stato scaricato, come al solito, su coloro che le tasse già le pagavano, ovvero lavoratori dipendenti e pensionati, mentre poco o nulla viene fatto per ingiungere i più ricchi a pagare le tasse. Questo perchè all’interno di un sistema capitalista i ricchi valgono più dei poveri. Che il 10% della popolazione più povera viva nel degrado o scelga l’emigrazione infatti, poco importa a chi governa l’Italia e l’Europa; basta che resti il 10% più ricco, che tiene in mano le leve della ripresa economica, e quindi può ricattare governo e Paese a piacimento minacciando di spostare all’estero fondi e sistema produttivo. Un ricatto che potrebbe essere incrinato solo da un rinnovato protagonismo dello Stato, orientato appunto a creare le condizioni per una redistribuzione dei redditi e delle risorse. Con l’aumento del divario tra ricchi e poveri inoltre riemerge lo spettro della “lotta di classe”, con la differenza che mentre la classe dei più ricchi è ben coesa e agisce per tutelare i propri interessi, al contrario le classi “più povere” sono prive di una rappresentanza politica che davvero rappresenti i loro interessi, anteponendoli a quelli finanziari e di tenuta del sistema economico. Viene quasi da pensare che tutto ciò rientri all’interno di un disegno economico e politico volto a isolare, frammentare e atomizzare le classi più povere in modo così da disinnescarle dal punto di vista politico, annullando così il loro potere di rivendicazione. La crisi infatti ha favorito sempre di più i più ricchi e ha ricacciato nell’abisso anche cittadini che fino a pochi anni fa facevano parte della cosiddetta classe media. Tra il 2007 e il 2010 la media dei redditi al di sotto dei livelli di poverta’ e’ salito dal 13% al 14% tra i bambini, dal 12% al 14% tra i giovani ed e’ sceso dal 15% al 12% tra le persone piu’ adulte.L’indice di poverta’ relativa nei paesi poveri e’ passato nei paesi Ocse dal 10,2% del 2007 all’1,1% del 2010. In Italia e’ passato dall’11,8% del 2004 al 13% del 2010.
Insomma, senza un partito che rappresenti effettivamente i bisogni e la necessità della costruzione di una società giusta, senza una redistribuzione delle ricchezze e senza un blocco politico e sociale che compia una lotta culturale per spiegare alla comunità l’origine della crisi e i disastri che ha provocato, non sarà possibile invertire la tendenza e soprattutto non sarà possibile rispondere colpo su colpo alla spietata lotta di classe dichiarata invece dalle classi più ricche. Rilanciare le idee del Marxismo diventa quindi una necessità, e non tanto perchè siamo nostalgici impenitenti, ma perchè oggettivamente il Marxismo e le sue declinazioni rappresentano l’unico tentativo coerente e scientifico di sviscerare il funzionamento della società capitalistica evidenziandone le contraddizioni e provando a lavorare per un loro superamento in una società più giusta e rispettosa degli individui. Anche il nodo stesso della proprietà dei mezzi di produzione diventa centrale in una società dove proprio chi la possiede si arricchisce enormemente ai danni di masse sterminate di salariati sempre più senza soldi, e senza diritti. Tutto questo ci dovrebbe indicare che forse, dopotutto, Marx aveva ragione.
Daniele Cardetta