Redistribuzione delle ricchezze, ripartizione del lavoro e decrescita, sviluppo sostenibile, conversione ecologica: temi al servizio dell’ideologia dominante

di Michel Gruselle* | Traduzione di Luigi Alberto Sanchi

ecologia politica*CGT, membro della sezione regionale del Conseil économique, social et environnemental dell’Île-de-France e presidente della commissione Lavoro e sviluppo economico

Data la crisi sistemica del capitalismo, oggi conviene alle forze dominanti creare un insieme di concetti ideologici atti a mistificare i lavoratori salariati. Si vuol dirottare le loro aspirazioni verso battaglie che non mettano in questione il dominio capitalista, il quale poggia fondamentalmente sullo sfruttamento del lavoro salariato da parte dei detentori di capitale. Ciò vale per le idee che si nascondono dietro i termini di redistribuzione delle ricchezze, ripartizione del lavoro e decrescita. Sviluppo sostenibile e conversione ecologico-sociale dovrebbero costituire la teoria e la pratica unificate di tutti questi orientamenti.

La redistribuzione delle ricchezze è diventato un tema condiviso da tutto ciò che conta fra le forze che si richiamano sì al cambiamento sociale, ma la cui prassi è finalizzata al mantenimento della dominazione capitalista. Questo concetto di redistribuzione delle ricchezze si ritrova nella letteratura politica di tutto l’arco di sinistra, dal Partito socialista (PS) fino al Nuovo partito anticapitalista (NPA), passando dal Partito comunista francese (PCF), dal Partito della sinistra (PG), Europa Ecologia – I Verdi (EELV) e dal Fronte di sinistra (FG). Nel sindacato, esso viene usato da tutte le organizzazioni riformiste e, più di recente, persino dalla CGT. Ma cosa c’è dietro la nozione di redistribuzione delle ricchezze ? Essa parte dal principio che la ricchezza creata dai lavoratori – dai quali sappiamo che è alienata, nel sistema capitalista – dev’essere messa in comune tra il capitale e il lavoro. Non dimentichiamoci che questa « redistribuzione », o meglio questo contrasto tra la remunerazione del capitale e quella del lavoro, è la ragione quotidiana della lotta di classe.

Per i sostenitori della « redistribuzione », si tratta di trovare la giusta via di mezzo tra le due remunerazioni, quella del capitale e quella del lavoro, senza però rimettere in questione il fatto che tutto il valore creato proviene dal lavoro : che sia lavoro accumulato sotto forma di capitale o lavoro vivo. Noi salariati, insomma, dovremmo condividere col capitale ciò che in realtà ci appartiene in toto ! In queste condizioni, è chiaro che non c’è alcuna messa in discussione dello sfruttamento del lavoro. Ma questo concetto di « redistribuzione delle ricchezze » è davvero tanto nuovo ? La risposta è no. Da esso trasuda tutta l’ideologia del cristianesimo sociale ; si trova teorizzato come antidoto alla lotta di classe in tutte le encicliche che trattano del problema dei rapporti sociali. In forma attualizzata, è presente nell’ultima, del 2009 : Caritas in veritate.

La ripartizione del lavoro si riconduce alla stessa problematica. Quest’idea fa parte della panoplia ideologica dei Verdi (EELV) e dell’NPA [partitino trotzkista, ndt]. Queste due formazioni, se si pronunciano in favore delle 32 ore settimanali, si guardano bene dal precisare la questione del salario. È peraltro su queste basi che le 35 ore han potuto godere dell’appoggio del padronato della grande impresa : in cambio delle 35 ore, esso ha ottenuto più flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro ; inoltre le 35 ore non hanno avuto alcuna incidenza significativa sulla parte dei salari rispetto al valore prodotto. Il punto di partenza della ripartizione del lavoro è l’affermazione secondo cui la quantità di lavoro sarebbe una grandezza fissa. Ne consegue che la disoccupazione sarebbe il prodotto di un numero troppo alto di lavoratori disponibili in quello che i capitalisti chiamano « mercato del lavoro ». Ragionamento ripreso dal presidente della Repubblica [Nicolas Sarkozy, ndt] per spiegare la differenza dei tassi di disoccupazione tra la Francia e la Germania. Importa anche notare come le proposte del governo in materia di disoccupazione parziale si ricolleghino a quest’idea per cui, a fronte di un mercato del lavoro bloccato, sia opportuno disporre di lavoratori salariati impiegabili e utilizzabili a seconda delle fluttuazioni di esso. Presupposto abbastanza vicino a quello che difendono gl’ideologi della ripartizione del lavoro : cioè l’impossibilità di garantire il diritto al lavoro in un’economia mondializzata. Tutte queste formule presentano il vantaggio di non rimettere in discussione la questione fondamentale dello sfruttamento del lavoro salariato. Esse permettono che le « soluzioni » restino confinate entro il quadro dei rapporti sociali capitalisti.

Lo sviluppo sostenibile, la decrescita e la conversione ecologico-sociale sono ovviamente il coronamento di tali concezioni. La crescita sarebbe una tara del capitalismo caratterizzata dalla produzione ad ogni costo… come se i profitti dipendessero soltanto da vendita e produzione e non dallo sfruttamento del lavoro salariato ! Affermando che la decrescita ostacola il capitalismo, si maschera l’idea che i bisogni fondamentali dell’umanità sono soddisfatti in termini di energia, cibo, sanità… situazione ben lungi dalla realtà persino nei paesi capitalisti avanzati. Al contrario, se è vero che il capitalismo genera numerosi sprechi – fra cui quello meno spesso citato, ma anche il più vistoso, sono le armi – allora la domanda è : in che modo organizzare una crescita al servizio dell’uomo, del suo sviluppo sociale, fisico e intellettuale ? Per concretizzarsi, questa crescita deve imperativamente disfarsi di ciò che crea in continuazione lo spreco delle risorse naturali e umane, cioè il capitalismo stesso, il cui sviluppo estensivo e intensivo è predatore di tali risorse. Karl Marx ha osservato e descritto questa evoluzione. La storia dello sviluppo del capitalismo mostra che, accaparrandosi le risorse naturali, il capitalismo nonsi è assegnato alcun limite, se non quello impostogli dalle lotte dei popoli ; allo stesso modo, ha impiegato le forme più violente di sfruttamento umano per procurarsi una forza lavoro a buon mercato, senza contare le guerre che ha scatenato per assicurare il suo impero.

Le vittime del capitalismo si contano in decine di milioni. Ora, questa tematica non è mai affrontata dai sostenitori della decrescita, non più, peraltro, di quella delle difficoltà in cui si dibattono i popoli in preda alla decrescita a causa delle scelte drastiche di austerità operate dai loro governi. Scelte che hanno per obbiettivo l’aumento dei tassi di profitto dei capitalisti ! In Francia, paese ricco, un quarto della popolazione vive in ristrettezze in materia di sanità e milioni di lavoratori salariati e di disoccupati sono nella miseria e vivono di soccorsi caritativi. Più d’uun milione di famiglie vivono in alloggi esigui e/o insalubri. Tale teoria della decrescita non è molto più nuova di quella della redistribuzione. A suo tempo, Malthus constatava l’esistenza di quelli che chiamava « limiti produttivi » rispetto all’aumento della popolazione mondiale e preconizzava la limitazione della crescita umana e dei consumi…

In effetti, si trattava in primo luogo di giustificare il carattere non virtuoso delle rivendicazioni sociali. Più recentemente, all’inizio degli anni Settanta il « Club di Roma », in nome di principi simili, ha avanzato il concetto di « crescita zero » con il Rapporto sui limiti dello sviluppo. Con esso si voleva giustificare l’abbandono delle politiche industriali per favorire invece l’emergenza delle attività finanziarie, in nome della difesa dell’ambiente. Al fine di coinvolgere nella loro strategia i paesi in via di sviluppo, ostili al Rapporto, le forze dominanti dei paesi capitalisti sviluppati organizzarono una serie di conferenze internazionali sullo sviluppo e la difesa della natura in collaborazione con le ONG, che sono i loro vettori ideologici da esse finanziati. Questa concezione è giunta nel corso degli anni Ottanta alla tautologia dello « sviluppo sostenibile », concetto unificatore di un malthusianesimo new look. Oggi sappiamo quale sia il successo di tale strategia. È il fondamento teorico su cui poggia l’ecologia politica.

Lo sviluppo sostenibile o conversione ecologica della società, nozione che si sta instaurando, intende fornire il cemento teorico globale alle idee di redistribuzione e di decrescita. I teorici di questa « conversione » – o forse è meglio parlare di « sommi sacerdoti »… dal momento che essi scelgono di descrivere come una conversione la crociata in nome della quale agiscono – si fondano sul postulato secondo cui il mondo è finito e conchiuso, le sue risorse pure : e ciò limiterebbe fatalmente lo sviluppo dell’Umanità. Fanno dunque astrazione delle capacità umane di padroneggiare, grazie alla crescita sociale, scientifica e tecnica, nuove capacità che siano in grado di rispondere più largamente ai bisogni della società. A partire dall’accettazione di questo primo postulato, il quale si sdoppia in un’accettazione del capitalismo quale unico orizzonte dei rapporti di produzione, essi cercano di definire scelte che sarebbero inevitabilmente accettabili, poiché sarebbero imposte dagli « obblighi ecologici ». « Obblighi » che dovrebbero secondo loro assicurare l’ordine sociale, di cui temono e vogliono prevenire i disordini. Le promesse di un futuro radioso come conseguenza della « trasformazione verde dell’economia » sono altrettanti miraggi, fatti balenare per ottenere l’accettazione d’una austerità cosiddetta ecologica.

È ora oltremodo chiaro che tutte queste concezioni non sono altro che modi di schivare l’interrogativo essenziale : come sbarazzarsi dei rapporti sociali fondati sullo sfruttamento del lavoro umano. Questa domanda non può trovare altra risposta se non nella lotta di classe per far emergere una società nuova a partire dai bisogni dell’uomo.