Mercati dipendenti dalla liquidità

di Walter Riolfi | da il Sole 24 Ore del 3 marzo 2012
 

quantitative-easingMercoledì, il presidente della Fed dipinge un quadro dell’economia americana un po’ più roseo di quanto avesse fatto in passato; e Wall Street scende di qualche punto. Giovedì, dati macroeconomici peggiori delle attese (cala la spesa per costruzioni e scende l’indice manifatturiero nazionale) fanno invece salire l’indice S&P. Quale è la logica? La droga della liquidità, che negli Stati Uniti prende il nome di QE (quantitative easing) e in Europa di LTRO (long term refinancing operation). Se Ben Bernanke vede un’economia in seppur lento progresso, significa che la Fed sarà meno incentivata a varare la terza fase del QE. Ma se rallenta la produzione e se il mercato immobiliare è ben lungi dall’aver toccato il fondo, come era parso due mesi fa, s’imporrebbe una nuova iniezione di liquidità. Ne sono quasi convinti gli uomini di BlackRock, secondo i quali, se non si vedranno miglioramenti nell’occupazione e se l’inflazione non salirà, la Fed farà un nuovo QE, «probabilmente ad aprile».

Esaurita la spinta dei fondamentali sulle borse, per andare avanti servirebbe dunque la consueta droga della liquidità che viene somministrata da quasi 4 anni, specie dalla Banca centrale americana, avendo reso ormai assuefatti e dipendenti i mercati finanziari. In attesa di veder confermata la (lenta) crescita economica Usa, di cogliere altri segni che la recessione europea è meno grave del previsto e nella speranza che non s’interrompa la crescita degli utili aziendali, dopo la passata deludente trimestrale, le borse cercano dunque qualche appiglio: quanto meno per tenere le posizioni raggiunte.

Che i quantitative easing, ossia l’acquisto per lo più di titoli di Stato, facciano bene all’economia è una sostanziale mistificazione. Dopo quattro anni di dosi massicce di liquidità, non si sono visti negli Usa significativi miglioramenti, a parte un discreto aumento dei consumi, sorretto dal ricorso al debito, come negli spensierati e sconsiderati anni che precedettero la crisi del credito. Quanto al mercato della casa, la situazione è quella di una profonda e stabile recessione. Gli effetti più considerevoli si sono visti sui mercati finanziari, poiché azioni, bond, oro, petrolio e materie prime sono saliti in buona correlazione tra loro e quasi solo in virtù della liquidità.

Se qualcosa di buono per l’economia lo si vuol proprio vedere, occorre semmai guardare al QE della Bce, nella variante dei prestiti per oltre mille miliardi concessi all’1% e per tre anni alle banche europee. Tanta liquidità ha permesso di salvare (temporaneamente?) le banche che non avevano più accesso al credito e fatto crollare i rendimenti dei bond governativi dei Paesi a rischio, graziando da una possibile bancarotta Italia e Spagna e alleviando i bilanci pubblici di tanti Stati da insopportabili oneri finanziari. Se l’intervento della Banca centrale europea si giustifica per le condizioni da vera emergenza, quali erano quelle di fine dicembre, il terzo QE invocato dagli operatori americani si qualificherebbe come un evento eversivo, dettato più da considerazioni politiche (le elezioni presidenziali Usa) e distorsivo dei mercati, perché farebbe scendere il cambio del dollaro.

Un giorno o l’altro, tutta questa enorme liquidità finirà per produrre altri e diversi disastri. E in questo senso si può convenire con i dubbi espressi dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e con l’assicurazione del cancelliere tedesco Angela Merkel, secondo la quale il grande finanziamento di mercoledì scorso sarà l’ultimo offerto dalla Bce. Ci si augura infatti che l’impegno mostrato da governi come quello italiano serva a dissolvere la crisi dell’euro nei prossimi mesi e in ogni caso prima che gli ingenti prestiti ricevuti dalle banche debbano essere restituiti. Ma non si può dimenticare che la fase acuta nella crisi dei debiti sovrani venne alimentata proprio dall’ottuso dogmatismo di Weidmann e di alcuni suoi colleghi (Axel Weber per esempio), che quasi un anno fa spinsero la Bce ad alzare i tassi d’interesse.