di Mario Margiocco | da www.lettera43.it
Il voto in Francia, Grecia e Germania simbolo del dissenso per la politica. Ma il sistema americano è altrettanto in crisi
Un riflesso condizionato della psiche europea spinge a guardare all’America tutte le volte che la scena di casa sembra avvicinarsi ai livelli di guardia dell’instabilità. Il voto francese è più che stabile e i socialisti, che hanno governato il paese a lungo con François Mitterrand, non destano particolare preoccupazione. Comunque il calore della campagna elettorale ha tratteggiato scenari nuovi, ricchi di promesse ma anche di interrogativi. Vedremo la realtà. Decisamente più preoccupante lo sfaldamento politico in Grecia, ritratto chiaro dello smarrimento di una popolazione fortemente impoverita. In Germania nessuno può prevedere quale possa essere il risultato delle politiche del prossimo anno. In Italia, la superficie della scena politica è quanto mai confusa, e nessuno sa bene ancora quali formazioni e con che nome potrebbero presentarsi al voto del 2013.
SFIDUCIA NELLA CLASSE POLITICA EUROPEA. Tutto è dominato dai temi, apparentemente in collisione, di austerità, cioè rientro dal debito eccessivo che è sia pubblico che privato su scala di Eurolandia, e di crescita, che presuppone anche iniezioni di denaro pubblico per stimolare l’economia. Ma a fare saltare il livello di guardia non sono direttamente queste istanze economiche bensì le loro conseguenze politiche, di sfiducia dell’elettorato nella classe dirigente.
LO SGUARDO OLTRE L’ATLANTICO. Ed è qui che lo sguardo cerca oltre Atlantico ancoraggi di stabilità e fiducia. In un sistema che indubbiamente ha tratto a suo tempo dall’Europa il meglio, e non il peggio. E si è assicurato, superate le tragedie della guerra civile, un secolo e mezzo di stabilità e prosperità, con una sola grande cesura, la Grande depressione degli Anni 30, che ha spinto però l’America a riscrivere le proprie regole economico-sociali e a presentarle e a imporle come modello al mondo intero.
Nessuno pensa che l’America, che di problemi oggi ne ha già abbastanza di suo, venga ad aiutare l’Europa a risolvere i propri. Ciascuno è adulto e responsabile, ormai. Tuttavia è istintivo cercare in America segnali e ispirazione. Istintivo da dopo la Prima guerra mondiale per alcuni, e da dopo la Seconda per moltissimi.
Usa, la fragilità di un sistema finanziario saltato nel 2008 e ancora debole
La scena politica americana, in quest’anno elettorale, non è però e ahimé troppo diversa da quella europea. È la stabilità storica del sistema, non la chiarezza di idee attuale che non c’è, a garantire la tenuta. La sfida è tra un presidente che non ha soddisfatto e uno sfidante che resta insoddisfacente, e sostanzialmente non piace. Il tutto immerso in un mare di ambiguità. Dove la crescita, reale ma debole e incerta, non riesce a trasferirsi nei bilanci dei tre quarti delle famiglie. Dove Washington proclama il cessato pericolo dai rischi di nuove crisi finanziarie ma dove Wall Street continua a fare esattamente quanto faceva prima. E dove i repubblicani negano la palese evidenza, e cioè che il sistema finanziario è saltato nel 2007-2008 in gran parte per errori propri. E se non si fa nulla potrebbe saltare ancora.
LE REGIONI E GLI INSEGNAMENTI DELLA CRISI. Se è vero che il tratto distintivo della nostra epoca è la crisi finanziaria del 2007-2008, e se è vero che quanto sta accadendo e potrebbe accadere in Europa e in America a livello politico discende da quella crisi, allora occorre per prima cosa chiedersi che cosa quella crisi ha insegnato, e quali rimedi sono stati approntati per evitare che si ripeta.
L’EQUIVOCO DELLA MONETA UNICA EUROPEA. La matrice di fondo come noto è americana, perché in America si costituiva a partire da 20 anni fa e oltre il nocciolo duro del debito abnorme, in nome della nuova finanza creata in gran parte a Wall Street. L’Europa ha partecipato a questo banchetto e vi ha aggiunto del suo, con l’eccesso di debiti sovrani da euforia da euro, cosa che oggi mette l’esistenza dello stesso euro a rischio, in un continente troppo diverso per gestire senza accortezza una moneta unica.
LO SQUILIBRIO DELLA BILANCIA COMMERCIALE. I trombettieri nostrani del facile ottimismo americano ci hanno spiegato che l’America sa come si fa perché sta attuando una politica di sviluppo ben diversa dalla cieca austerità europea. Se è vero, lo sviluppo non brilla. E non si capisce quale credibilità e quanto fiato in corpo questa politica possa avere, visto che ogni tre dollari che Washington spende uno è preso a prestito sui mercati internazionali, con aumento del debito, in una situazione di squilibrio profondo tra entrate e uscite della spesa pubblica.
Un dato di fatto che non può durare, e che esiste solo perché alla fine, dopo inutili tentativi, democratici e repubblicani hanno deciso nell’estate 2011 di rinviare un risanamento fiscale a dopo le elezioni del novembre 2012. Una cosa è certa: mai gli stati Uniti si sono trovati, se si esclude il Sud confederato nella guerra civile, in una situazione di bilancio così intrattabile e pericolosa.
Le conseguenze negative della finanziaria Dodd-Frank
Oltre a questo, per capire che non sarà facile ricevere da oltre Atlantico segnali di chiarezza è sufficiente osservare con attenzione lo stato di salute della grande legge di riforma finanziaria Dodd-Frank (dal nome dei due promotori) firmata dal presidente Barack Obama nel luglio 2010.
La legge è fatta, il paese è stato messo in sicurezza da questa grande riforma, ha detto lo stesso presidente Obama nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del gennaio, a Camere riunite. E il deputato Barney Frank, coautore, ha dichiarato di essere «absolutely happy» sul risultato. Intanto sia lui che il senatore Christopher Dodd, entrambi democratici e presidenti delle rispettive commissioni Finanza, non saranno più al Congresso nel gennaio 2012, ma dopo il loro annunciato ritiro e c’è chi ha previsto di rivederli nei consigli di amministrazione di qualche grossa banca.
Molto probabile per Dodd, un po’ meno per Frank, ma nessuno lo esclude. Comunque sono stati due grandi amici del sistema finanziario, e certo non dei guardiani coscienziosi.
UNA LEGGE CHE È UN GUSCIO VUOTO. Prima di tutto la Dodd-Frank è nata come guscio vuoto, una serie di principi che poi dovevano essere resi realizzabili da norme attuative in gran parte ancora tutte da scrivere. E fatte apposta, si direbbe, per l’azione tenace del lobbismo.
L’analisi di Gerry Epstein, docente di economia e co-direttore del Peri, Political Economy Research Institute dell’Università del Massachusetts, ad Amherst, ha messo in luce tre conseguenze negative di questo modo di procedere.
LO SVUOTAMENTO DEL VOLCKER-RULE. Primo, lo svuotamento del cosiddetto Volcker-rule, o sezione 619 della legge, cioè della norma che limita molto la contrattazione in proprio, o proprietary trading, anche attraverso hedge funds e private equity, di titoli da parte di banche che sono coperte dall’assicurazione federale sui depositi, tutte le banche tradizionali cioè, ad eccezione quindi del cosiddetto shadow banking. Questo perché la mano pubblica non può coprire, attraverso le garanzie sui depositi e altro, chi fa follie in proprio, incassa quando va bene, e corre piagnucolando a Washington quando va male.
DA DIRETTIVE CHIARE A NORME FARRAGINOSE. Il Volcker rule, aggiunto su iniziativa di Obama dopo una cocente sconfitta elettorale dei democratici nel Massachusetts nel gennaio 2010, era di poche pagine e molto chiaro. Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve e allora consigliere (piuttosto emarginato) di Obama, ne era il promotore. Le sue regole però sono state gonfiate a dismisura dai lobbisti, con eccezioni e casistiche bizantine, e alla fine le stesse banche, cioè quelle che mandano e pagano i lobbisti, hanno chiesto di rinviarne l’applicazione perché il tutto è poco chiaro e farraginoso. E hanno ottenuto, il 19 aprile scorso, questo rinvio da parte dalla Federal Reserve, per cui il Volcker rule invece che a metà 2012 entrerà in funzione il 22 luglio 2014. A quel punto, dice Epstein, le banche sperano che molte cose siano cambiate, che i repubblicani siano saldamente al potere, e che di riforma finanziaria non si parli più, o che si tratti di una misura- ancor più della Dodd-Frank – scritta dalle banche stesse.
Molti economisti sono già al lavoro per dimostrare che il Volcker rule è inutile e che la crisi del 2007-2008 non ha nulla a che fare con il proprietary trading, tesi ardita perché non si capisce ad esempio che cos’altro abbia portato Lehman Brothers al fallimento. Ci stanno riuscendo.
LA FALLA DEI DERIVATI. Secondo, svuotamento dell’altro pilastro della Dodd-Frank, le norme sui derivati.
A rendere drammatica la crisi da sovra-indebitamento esplosa nel 2007-2008 è stato il fatto che i derivati, una massa enorme di contratti il cui valore nozionale era pari a oltre otto volte il Pil mondiale (oggi siamo tornati su valori analoghi), erano in gran parte a trattativa privata, over the counter, cioè ‘sopra il tavolo’, come si fa col contante. Impegni presi fra due controparti senza registrazione alcuna, senza che nessun ente terzo tenesse un po’ di contabilità.
SPECULAZIONI CONTRATTUALI. Il derivato è un contratto, di tipo assicurativo quasi sempre anche quando non si tratta della forma assicurativa chiara di un cds, che scatta quando c’è un cambiamento di valore di un bene o indice sottostante al quale il contratto è legato. Senza un libro mastro palese e affidabile di questi contratti, non si sa chi assicura che cosa. E se può farvi fronte, se necessario. Alla fine, diventa una speculazione, che si regge sulla scommessa che nulla vada mai storto. O sulla scommessa opposta.
L’OSTRUZIONISMO DELLE GRANDI BANCHE DI WALL STREET. Per capire l’opposizione delle grandi banche di Wall Street, che dominano il mercato dei derivati, a questa norma della Dodd-Frank e anche al Volcker rule, occorre ricordare che da queste due voci deriva il 70-80% circa degli utili. Accostata a un’altra cifra, che dice come l’utile bancario fosse a Wall Street 30 anni fa del 7-8% in media sugli impieghi per salire poi verso il 2005 al 17-18% , le voci proprietary trading e derivati spiegano tutto. Sono il cuore dei megaprofitti e dei superbonus, e oggi il top e middle management delle grandi banche ha spesso un obiettivo primario: salvare il gigantismo e quindi questi margini che non sono più di retribuzione ovviamente buona, ma di arricchimento personale. Costi quel che costi. Rischi quello che rischi la comunità e l’intero sistema globale.
IL LIMITE DI TRATTATIVE ALZATO A 8 MILIARDI DI DOLLARI. Sui derivati la legge metteva un limite al di sotto del quale una banca poteva continuare a trattare over the counter: un limite di 100 milioni di dollari. Ora è stato portato a otto miliardi su pressione non solo delle banche, ma anche di grossi traders in materie prime come i fratelli Koch grandi sostenitori dei repubblicani. E con questa assicella e un po’ di accorgimenti tutto o quasi può continuare come prima.
Una legge presentata giorni fa alla Camera, e che si chiama The small business credit availability Act, non ha nulla a che fare con le piccole imprese e la loro liquidità, ma con l’esenzione dalle norme della Dodd-Frank per i derivati utilizzati nelle contrattazioni su materie prime.
IL CRESCENDO DI CAUSE CONRO LA CFTC. Un terzo punto poi spiega ancor più come sul fronte della riforma finanziaria, cruciale per l’America e l’Europa dopo quanto è successo, non ci si può aspettare dall’America al momento un granché di buono.
Si tratta del crescendo di cause legali intentate dalle banche soprattutto contro la Cftc, l’ente federale deputato al controllo di parte notevole del mercato dei derivati.
La linea di attacco è che la Cftc deve, prima di agire, compiere un’attenta analisi del rapporto costi-benefici di una norma e di un intervento, e il tutto si basa sul principio che il mercato è sostanzialmente nel giusto e la burocrazia di Washington sostanzialmente un peso, un freno, un costo. Quest’ultima proposizione può reggere. Ma la prima, sulla intrinseca bontà del mercato, non regge. Quale mercato? Un mercato ideale, corretto, misurato e auto controllato? O quello in cui l’unica cosa che contava e conta è la bottom line e il superbonus? E servono a questo anche gli imbrogli purché sotto un velo di legalità?
Prima che l’America possa fornirci di nuovo ispirazione e consiglio, deve passare, anche là a’ nuttata.
Martedì, 08 Maggio 2012