La dinamica della crisi globale, oggi

cestino dollaridi Franco Schettini

Riceviamo e pubblichiamo come contributo alla discussione

Premesso che si verifica fin dagli anni ’70, come alla fine degli anni ’20, il fenomeno della sovrapproduzione, va sottolineata la crisi del regime U.S.A. in via, ormai, di irreversibile declino.

Lo splendore del regime U.S.A. (Reagan) è comparso, ed è poi svanito, dopo avere aggravato le contraddizioni che erano alla base della precedente crisi spia (Arrighi). Per esempio, come utilizzare la forte liquidità U.S.A. dopo il ’45.

Per essere precisi, questa crisi U.S.A. si verificò tra il 1968 ed il 1973 (Vietnam etc.). Nel 1973 il governo U.S.A. si era ormai ritirato su tutti i fronti. Come anni prima era accaduto all’impero inglese. Per esempio, per il resto degli anni ’70, le strategie (non le tattiche) U.S.A. furono caratterizzate da un sostanziale disinteresse per le funzioni di governo del mondo. Ciò destabilizzò quel che rimaneva dell’ordine mondiale del secondo dopoguerra (Bretton Woods) e un rapido declino del prestigio degli U.S.A. con la rivoluzione in Iran e la crisi degli ostaggi dell’80.

Dunque, il decollo dell’attuale fase di espansione finanziaria (per esempio, le continue variazioni dei cambi, non più fissi, tra le principali monete nazionali e dei differenziali dei saggi di interesse) moltiplicò le opportunità a disposizione del capitale depositato sui mercati monetari off-shore di espandersi grazie alle transazioni e alle speculazioni in valute.

Nel 1979 il commercio di valute estere ammontava a 17,5 trilioni di dollari, più di 11 volte il valore complessivo del commercio mondiale (1,5 trilioni di dollari) e in seguito il divario raggiunse vette iperboliche.

Ecco che, quindi, il decollo dell’attuale fase di espansione finanziaria dell’economia mondo capitalistica, imperniata sugli U.S.A., fu un aspetto integrante e precoce di questa crisi. Che risale al 1968, quando la crescita dei fondi liquidi custoditi nel mercato dell’eurodollaro, con centro a Londra (oggi con gli U.S.A., grande paradiso fiscale), subì un’improvvisa ed esplosiva accelerazione.

Ecco la decisione di Nixon del 1971 e nel 1973 la F.E.D. U.S.A. e le banche associate si videro obbligate ad ammettere la propria sconfitta nella lotta (?) per arginare la marea della crescente speculazione contro il regime dei cambi fissi che aveva dominato l’alta finanza durante la fase di espansione materiale degli anni ’50 e ’60 (con la politica di Truman del ’45-’48 era logico che finisse così).

Da allora il mercato dell’eurodollaro assunse il controllo del processo che fissava i prezzi delle monete nazionali l’una rispetto all’altra e rispetto a loro. La funzione del mercato dell’eurodollaro fu la conseguenza non intenzionale dell’espansione (temporanea) del regime di accumulazione U.S.A., il tutto grazie alla invenzione della guerra fredda da parte degli U.S.A.

Diciamo la verità; il mercato dell’euro valuta non sarebbe mai divenuto un fattore dominante (e tragico) della finanza mondiale senza la massiccia migrazione del capitale delle grandi imprese U.S.A. verso l’Europa alla fine degli anni ’50 ed agli inizi dei ’60.

Naturalmente, con gli anni Germania e Giappone, ed oggi la Cina, hanno messo nell’angolo gli U.S.A. Ed ecco i paradisi fiscali; oltre ad avere creato un vastissimo terreno di coltura per il crimine a livello globale, il sistema off-shore è stato (ed è) uno dei fattori che ha contribuito fortemente a causare l’ultima crisi economica e finanziaria a partire dal 2007. Quindi, queste giurisdizioni segrete hanno offerto ed offrono alle società finanziarie, cioè ai mercati finanziari (ed anche fondi pensione, fondi di investimento) un lasciapassare per sottrarsi alle regolamentazioni e quindi diventare essi mercati finanziari – banche – troppo grandi per essere lasciati fallire.

Come conseguenza, vi sono stati massicci afflussi netti di capitali in Paesi in deficit come gli U.S.A. e la Gran Bretagna.

Per cui ha ragione Braudel quando ebbe ad affermare che il capitalismo per trasformare il suo potere economico in potere politico (cioè, facendo la sua politica economica, annullando così ogni velleità di tutti i politici di professione) e quindi per utilizzare questo potere politico direttamente, necessita di capitale liquido, ossia finanziario, non fisso. Altro che economia reale.

E quindi giunge il momento in cui il capitalismo assume (definitivamente) la sua forma egemonica e riorganizza vaste aree del mondo; da qui la deindustrializzazione in gran parte del mondo Occidentale, con disoccupazione cronica e crescente, e industrializzazione della periferia per i bassi salari. Altro che migranti.

Siamo praticamente di fronte alla distruzione della civiltà umana, innanzi alla quale, per concludere, siamo costretti a vedere come a tutto ciò hanno reagito le sinistre occidentali.

Dal 1980 in poi i socialismi di tutte le risme, in Italia come altrove, i post-comunisti del P.D. oltre alle cosiddette sinistre radicali che non si sa bene dove siano, hanno fatto proprie le idee di fondo del neoliberismo e le hanno messe in pratica appena giunti al Governo. Del resto, anche quando queste forze erano alla opposizione, si proponevano di discutere solo del valore da attribuire alle variabili di un’equazione complessa che i vari Governi prospettavano per fronteggiare la crisi. Ma l’equazione veniva tranquillamente accettata. Ed in questo si distinse, esercitando una grande influenza, una istituzione italiana, il cosiddetto Ceses (Renato Mieli, padre di Paolo).

Fondato a Milano da Confindustria nel 1964, si avvalse fin da subito del contributo di intellettuali provenienti dal P.C.I. ed ebbe finanziamenti di un’associazione americana di destra.

Quale era il nocciolo della questione? Parafrasando Lenin, l’economia moderna capitalistica doveva essere costruita come una grande macchina calcolatrice (Lenin parlava di azienda meccanica). E per convincere gli elettori della giustezza di tale tesi, occorrevano dimostrazioni logico-matematiche piene di cosiddetti modelli rigorosi, ignorando che la matematica si può applicare ad una realtà statica, e non certo ad una realtà in movimento come quella di un capitalismo selvaggio dove domina ormai incontrastata la speculazione finanziaria.

Come scrive Micocci, alla base di questa evoluzione vi era la constatazione che la fisica stava progredendo con successo con l’aiuto dell’analisi matematica. Il che comportò la nascita, in funzione antimarxista, di una teoria “pura” che partisse da definizioni dei concetti non contaminati dal materiale, e che potesse adattarsi a quelle schematizzazioni matematiche che avevano reso la fisica la regina delle scienze.

E, a completare l’opera, che potesse rendere il capitalismo “eterno”, intervenne il principio di indeterminazione di Heisenberg che sostiene che, nella scala atomica, l’energia impegnata per osservare un fenomeno modifica il fenomeno stesso in modo imprevedibile perché modifica la velocità delle particelle di cui si vuole osservare la posizione.

Che significa? Nulla è più prevedibile.

Con la conseguenza che ogni dimensione deterministica degli eventi viene abbandonata e il concetto di causa ad esso connesso, al cui posto è introdotto il concetto di probabilità, si ché nulla è certo e, dunque, anche il marxismo va in soffitta.

Il tutto a vantaggio del neoliberismo che oggi domina incontrastato.

In sintesi, abbandonare il concetto di causa altro non significa che vanificare il principio di causalità, senza del quale non si va da nessuna parte. Tutto è cioè possibile nella notte in cui tutte le vacche sono nere. Siamo quindi al cospetto di una matematizzazione dell’economia (neoliberista), che non lascia scampo ad una sistemazione razionale degli eventi: per esempio, anche al rapporto capitale-lavoro. Il trionfo dell’irrazionalismo (Junger).

Va pertanto sottolineato che quest’ordine del capitale finanziario globale, totalitarismo neoliberista, viene garantito e protetto dagli eserciti U.S.A.

Fonti: Hobsbawm, Il secolo breve, 1994; Arrighi, Il lungo ventesimo secolo, 1994; Prem Shankar, Il caos prossimo venturo, 2007; Gallino, Il colpo di stato di banche e governi, 2015.

P.S. E’ chiaro che parlare di investimenti, pubblici o privati, in un mondo del genere, è pura utopia. Una sola proposta, tra le tante possibili: la separazione delle banche commerciali da quelle di investimento.