di Gianluca Di Donfrancesco | da www.ilsole24ore.com
I Brics alzano la voce contro le economie avanzate, prime tra tutte Stati Uniti ed Eurozona. Da New Delhi, dove si è svolto il quarto vertice del club formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, è arrivata una ferma condanna alle politiche monetarie espansive adottate per contrastare la crisi finanziaria. «Una crisi – ha sottolineato il presidente brasiliano Dilma Rousseff – cominciata nel mondo sviluppato e che non potrà essere superata attraverso semplici misure di austerity, deprezzamento della forza lavoro, senza parlare delle politiche di allentamento monetario che hanno scatenato uno tsunami valutario, hanno avviato una guerra monetaria e hanno introdotto nuove e perverse forme di protezionismo nel mondo».
Più dura di così, la Rousseff non poteva essere e non è un caso che proprio il Brasile sia l’accusatore più accanito. Il real è la divisa che più ha risentito degli squilibri monetari dell’ultimo anno. Con i tassi d’interesse più alti tra i Paesi del G-20 (oggi al 9,75%, ma fino ad agosto erano ancora al 12,5%), il Brasile ha attratto fiumi di capitali, pagati con una volatilità del cambio che sta complicando lo sforzo della Banca centrale di raffreddare l’inflazione.
La lunga «Dichiarazione di Delhi» al termine del vertice, se pure non ha (né potrebbe avere) i toni polemici scelti dalla Rousseff, è altrettanto chiara nei contenuti: «L’eccessiva liquidità generata dalle politiche aggressive varate dalle banche centrali per stabilizzare le loro economie si è riversata sui mercati dei Paesi emergenti, causando una volatilità eccessiva dei flussi di capitale e dei prezzi delle commodities». Di qui l’esortazione ai Paesi avanzati «ad adottare politiche finanziarie ed economiche responsabili, a evitare di generare eccessi di liquidità e a intraprendere riforme strutturali in grado di creare crescita e occupazione».
Immancabile la polemica sui criteri di nomina dei vertici della Banca mondiale e dell’Fmi. Da tempo i Brics chiedono di contare di più nelle organizzazioni economiche sovranazionali in modo da rispecchiare l’importanza che ormai hanno assunto: tutti insieme, i Cinque hanno generato il 15% del commercio mondiale nel 2010, dal 3,6% del 1990. Nello stesso decennio, il loro Pil è passato dal 16 al 25% di quello mondiale. In forza di questi numeri, i Brics hanno ottenuto una riforma delle istituzioni sovranazionali che attribuirà loro maggior peso. Ma troppo lentamente, lamentano, minacciando di bloccare il potenziamento dei fondi dell’Fmi se non decollerà. Proprio mentre il rinnovo del presidente della Banca mondiale riaccende lo scontro. Lo statunitense Robert Zoellick è in scadenza, e gli Stati Uniti (che per tradizione indicano il capo dell’organizzazione, lasciando l’Fmi agli europei) hanno selezionato il coreano-americano Jim Yong-kim, esperto di salute.
I Brics hanno ribadito la denuncia di questa logica spartitoria, ma hanno mancato di fare quella che forse sarebbe stata la mossa di maggior effetto: coalizzarsi a sostegno di un nome comune, magari quello della nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala, già ministro delle Finanze ed ex direttrice generale della Banca mondiale, quindi un candidato dalle credenziali più forti di Jim.
Non è l’unica mancanza di questo vertice. Un passo verso una maggiore integrazione è stato fatto con due accordi che faciliteranno il commercio in valuta locale tra le cinque economie. Questo, alla lunga, potrebbe ridurre il peso del dollaro negli scambi mondiali, ma per ora resta un gesto soprattutto simbolico. Inoltre, il progetto di creare una Banca per lo sviluppo dei Brics, incaricata di operare nei Paesi emergenti, resta ancora sulla carta, come nell’aprile del 2011, quando la proposta fu formulata. Il vertice di ieri infatti si è limitato ad aprire una fase di studio sulla fattibilità dell’organismo.
La voglia di contare sempre di più sulla scena internazionale si manifesta anche in una serie di prese di posizione su capitoli politici, dalla riforma dell’Onu ai dossier Iran e Siria, che, asseriscono i Brics, vanno risolti attraverso il dialogo.