di Gea Scancarello | da www.lettera43.it
Gli economisti spiegano perché il risanamento è impossibile
Cinque manovre finanziarie, 1 milione di disoccupati (il 20,9% della popolazione), 12 punti di Prodotto interno lordo persi (Pil), il debito pubblico inchiodato al 160% della ricchezza nazionale, deficit stabile al 10% e salari minimi lordi precipitati a 580 euro.
I risultati di tre anni di cura teutonica alla Grecia malata di conti truccati, spesa pubblica fuori controllo e scarsa produttività sono racchiusi nel realismo inconfutabile di numeri che raccontano di una crisi senza fine. Per risolverla, l’Europa e il Fondo monetario internazionale hanno messo sul piatto un nuovo prestito da 130 miliardi di euro (da sommarsi ai 110 erogati tra il 2010 e il 2011), in cambio di sacrifici sociali e tagli draconiani, ai quali lo stesso parlamento si è in parte opposto.
IL RISANAMENTO IMPOSSIBILE. Eppure, mentre piazza Syntagma ancora brucia di rabbia, il dubbio che l’accanimento terapeutico su Atene sia la strada sbagliata inizia a sfiorare anche insospettabili neoliberisti cresciuti tra le Banche nazionali e i salotti del Fondo monetario internazionale (Fmi).
«Nella migliore delle ipotesi, dopo il salvataggio ci sarà un periodo di calma al termine del quale si scoprirà che la riduzione di stipendi e pensioni ha esacerbato la recessione», ha scritto Wolfgang Münchau, economista e fondatore del quotidiano Financial Times Deutchland, sulle colonne del quotidiano londinese. «E allora ci sarà bisogno di nuovi tagli. Ma la politica potrebbe non prestarsi più».
Debito insostenibile in un decennio e crescita quasi impossibile
Dall’esplosione della crisi greca, poi diventata crisi del debito e quindi dell’intera Eurozona, i governi di George Papandreu e Lucas Papedemos hanno accettato le condizioni impossibili imposte dalla Troika di creditori internazionali (Unione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale) pur di evitare un default incontrollato e conservare un posto all’interno della Ue.
Ma con 65 miliardi di ricchezza volatilizzati in quattro anni (su un Pil che ne vale complessivamente 300) e 150 mila persone da licenziare solo nella pubblica amministrazione entro il 2015, i greci hanno smesso di credere che restare nella Ue sia la soluzione ai loro problemi.
I CONTI NON TORNANO. D’altra parte, se anche il risanamento dell’economia tramite l’austerity dovesse dare i propri frutti (come, peraltro, non accaduto nei due anni scorsi), il rapporto tra debito e Pil di Atene si assesterebbe a 120 entro il 2020; lo stesso livello attuale di quello italiano, giudicato insostenibile. Come dire che un decennio di sacrifici potrebbe non produrre risultati alcuni.
Non solo: la mancanza di denaro e lavoro, causata dai tagli, dalla stretta del credito e dal riduzione della spesa pubblica, difficilmente potrà spingere la ripresa economica. Esaurita la provvista di liquidità fornita dalla Troika, la Grecia potrebbe dunque essere nuovamente incapace di pagare i propri debiti, per quanto ridimensionati dall’accordo con i creditori. E il ciclo potrebbe riaprirsi un’altra volta.
RISTRUTTURAZIONE SBAGLIATA. «Qualsiasi politica per mantenere la Grecia dentro la moneta unica o alla Ue avrebbe dovuto essere realizzata su altre basi: una ristrutturazione del debito ben fatta e politiche di crescita. Ma non è andata così», ha spiegato a Lettera43.it Giuseppe Pennisi, economista ed ex direttore italiano dell’Organizzazione internazionale del Lavoro. «La trattativa sul debito è stata infatti portata avanti solo con i creditori privati, che sono meno del 50% del totale. E rischiando oltretutto di favorire gli hedge fund, che hanno comprato quel debito per due soldi e ora possono guadagnarci». Non solo: «La crescita è stata totalmente dimenticata. Da chi ha imposto il risanamento, e da chi lo ha accettato supinamente perché sapeva di aver truccato i conti prima».
Il rischio di una deriva civile come la Germania degli Anni 30
Insomma, la politica greca prima ha mentito spudoratamente per farsi accettare nell’Unione europea. E oggi, per restarci, costringe i suoi cittadini a misure draconiane che probabilmente spingeranno il Paese nel baratro della fame. E in quello della violenza.
Atene bruciava domenica 12 febbraio, mentre il governo si sgretolava e la Troika incassava l’ennesimo sì nel nome della moneta unica e della coesione dell’Unione europea.
IL PAESE DI NUOVO ALLE URNE AD APRILE. Il rischio, però, è che ad aprile 2012, quando il Paese tornerà alle urne, la nuova maggioranza possa scegliere di non rispettare gli impegni presi, visto lo scarsissimo gradimento dei cittadini. In quel caso, i 130 miliardi del salvataggio e i sacrifici fatti finora dalla nazione saranno stati buttati via.
Con conseguenze interne ed esterne. Da un lato, il Portogallo, che tenta un difficile risanamento dopo il salvataggio del maggio 2011, potrebbe subire il contraccolpo dei mercati, con un’impennata dei rendimenti dei propri titoli di Stato impossibile da sostenere.
Ma, più spaventoso, è il rischio interno alla Grecia, già travolta da tensioni civili senza precedenti dalla fine del regime dei Colonnelli.
«Nel 1929 per superare la crisi il cancelliere tedesco Hermann Müller licenziò gli statali e fece 5 milioni di disoccupati. Così facendo regalò la Germania a Hitler», ha riassunto Elvio Del Bosco, per 30 anni funzionario del centro studi della Banca d’Italia. «Per tenere la Grecia in Europa li stiamo costringendo a misure terrificanti e rischiamo di creare un mostro».
Lunedì, 13 Febbraio 2012