Dopo il G20 è tempo di bilanci e di rafforzare la cooperazione italo-cinese

da http://italian.cri.cn

Si sono appena spenti i riflettori del G20 di Roma ed è tempo di bilanci, anche alla luce dello stato delle relazioni bilaterali del Paese ospitante, l’Italia appunto, con i principali partner internazionali. E dalle colonne di questo giornale il nostro interesse non può che focalizzarsi proprio sulle relazioni italo-cinesi.

Partiamo dalla Cina. Nel contesto del vertice del G20, il consigliere di Stato cinese e ministro degli Esteri Wang Yi ha visitato quattro paesi che rappresentano delle esperienze peculiari nella cooperazione in ambito BRI: oltre all’Italia, i paesi balcanici di Serbia, Albania e Grecia. L’Albania è il Paese che ha capeggiato a lungo la battaglia per il ritorno della Repubblica Popolare all’Onu, avvenuto esattamente 50 anni fa, la Serbia ha sviluppato negli anni un rapporto molto solido con Pechino ed in Grecia la cooperazione nel Porto del Pireo viene vista da entrambi i paesi come un esempio virtuoso nella cooperazione tra le due parti. Proprio durante la visita in Grecia il ministro Wang ha voluto lanciare un messaggio all’Europa, articolato in tre punti chiave: il primo relativo allo spirito olimpionico – con un chiaro riferimento all’imminente apertura delle Olimpiadi invernali di Pechino -, il secondo di aumentare la connettività tra la Cina e l’Europa, anche sviluppando la convergenza della Belt and Road Initiative con la strategia “A Globally Connected Europe” dell’UE; infine il terzo di promuovere il dialogo tra le civiltà, come fattore stabilizzante di un mondo oggi caratterizzato da incertezze ed instabilità. In questo quadro, il messaggio rivolto all’Italia durante il vertice con il Presidente del Consiglio Draghi è stato caratterizzato dal principio di reciprocità, in base al quale i due Paesi dovrebbero rispettarsi, essere aperti l’un l’altro e sostenersi a vicenda.

Visto dall’Italia, il rapporto con la Cina risulta davvero strategico per la propria economia in tempi di pandemia. Lorenzo Riccardi, economista della Shanghai University, ha calcolato che nei primi cinque mesi dell’anno gli scambi tra Pechino e Roma sono stati pari a 28,5 miliardi di dollari: 15,9 miliardi è stato il flusso di beni dalla Cina verso l’Italia, mentre 12,6 miliardi quello inverso. Soprattutto, è interessante rilevare che il totale dell’interscambio tra i due Paesi è cresciuto di oltre il 50% e che le importazioni cinesi dall’Italia hanno raggiunto quota 75%. Il paragone con gli altri paesi europei rende meglio le dimensioni di questo processo: per esempio le importazioni da Germania e Francia sono aumentate rispettivamente del 34% e del 53%. In piena pandemia, quindi, la Cina sta sostenendo l’export italiano, nonostante le criticità del mercato internazionale caratterizzato da colli di bottiglia nella produzione e nel commercio, crisi energetica e crollo del mercato immobiliare.

E questo trend potrebbe consolidarsi ulteriormente. Nel corso dell’incontro col Premier italiano, il consigliere di Stato cinese ha sottolineato che il suo paese è pronto ad importare un maggior quantitativo di prodotti di alta qualità e sviluppare collaborazioni industriali nel settore della transizione energetica ed ambientale, sviluppando le potenzialità di un connubio fruttuoso e duraturo tra la tecnologia avanzata italiana ed il grande mercato cinese.

I dati rappresentano la prova più concreta dell’efficacia della cooperazione tra i due paesi, rinsaldata anche dalla firma del MoU sulla BRI del 2019. L’opinione pubblica italiana, in quell’occasione, ha concentrato l’attenzione essenzialmente sul bisogno di migliorare il proprio export, come volano per sostenere quote significative del comparto industriale nazionale. È arrivato il momento di fare un salto in avanti qualitativo. Molte delle merci italiane che compongono questo flusso di export verso la Cina viaggiano su rotte che fanno perno su altri Paesi europei. Proprio il quadro di cooperazione BRI ci dovrebbe indurre invece ad incrementare una connettività diretta tra i due paesi e non lasciare ad altri questo ruolo strategico. Non solo: la forte vocazione manifatturiera dell’Italia può rappresentare un’occasione preziosa per intercettare specifiche tipologie merceologiche in arrivo in Europa dalla Cina e completarne la produzione, aumentando così la catena globale del valore. Infine, ma non meno importante, la propensione mediterranea dell’Italia offre l’opportunità di un incremento della cooperazione italo-cinese nei paesi terzi, a partire da quelli del Nord Africa e dei Balcani. Questo salto di qualità nel lavoro viene evocato anche da Romano Prodi, che addirittura si spinge a ricordare come l’Italia possa “contribuire alla stabilizzazione delle relazioni commerciali tra Cina e Stati Uniti e migliorare la comunicazione tra le due potenze”.

Questo salto di qualità è sempre più necessario. Il prossimo anno si terrà il rimandato Anno della Cultura e del Turismo Italia-Cina e quello potrà essere il momento propizio per una riflessione strategica, che trasformi e renda concrete riflessioni ed idee, mutuandole in azioni e decisioni in grado di segnare una svolta qualitativa nelle relazioni tra i nostri due paesi.