
di: Francesco Maringiò, da https://italian.cri.cn/
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca viene visto complessivamente come l’inizio di un periodo di significativi sconvolgimenti per la politica estera degli Stati Uniti e l’avvio di un cambiamento nel modo di fare diplomazia. Del resto il 47º inquilino della Casa Bianca non ha mancato di fare annunci roboanti che danno il segno di una imprevedibilità ed irritualità diplomatica, forse maggiore rispetto al suo precedente mandato. Ma probabilmente i tentativi di cambiamento riguardano in profondità proprio (se non innanzitutto) gli stessi Stati Uniti. Fa sicuramente discutere il fatto che Elon Musk, uno dei più stretti confidenti di Trump, si vanti apertamente dei suoi tentativi di cambiare i governi di altri paesi sovrani ma forse il suo vero ruolo andrà visto in relazione al tentativo di cambiamento delle funzioni e dei poteri stessi della presidenza americana, forzando il sistema di contrappesi vigenti e trasformando la figura del presidente in quella di vero ed unico decisore.
Gli uomini scelti nella squadra, che avranno un peso importante nella gestione dei dossier internazionali, rappresentano una combinazione di approcci diplomatici e strategico-militari decisamente aggressivi. Marco Rubio, scelto per il ruolo di Segretario di Stato è unanimemente considerato un falco. Famose le sue boutade tese a osteggiare gli sforzi di normalizzazione delle relazioni del suo paese con Cuba o quelle relative all’approccio verso la Cina, arrivando a proporre il boicottaggio delle Olimpiadi invernali di Pechino 2022. Non meno importante sarà il ruolo di Michael Waltz, Consigliere per la Sicurezza Nazionale, che ha spesso sostenuto nel corso della sua carriera militare un approccio interventista nella politica estera degli Stati Uniti, enfatizzando la necessità di una presenza militare forte in quadranti strategici fondamentali. Tra questi, ovviamente, l’Asia Pacifico. Alla U.S. Global Leadership Coalition Zoom sugli affari esteri, per i veterani militari, è arrivato a dire: “Siamo, credo, in una guerra fredda con il Partito Comunista Cinese”.
Ci sono insomma tutti gli elementi per dire che, a questo giro, sarà necessario allacciare le cinture di sicurezza ancora più forte perché ci sembrerà di stare sulle montagne russe, tanto saranno ripide le salite e rapide le discese della politica mondiale. Anche in Europa ci sembrerà di essere sull’ottovolante. Visti dagli Stati Uniti, siamo un alleato di ferro che però sta fallendo le sfide fondamentali del nuovo secolo ed ai quali, comunque, va affidata la gestione finanziaria del sostegno economico dell’Ucraina e dell’ulteriore impegno militare in giro per il mondo, senza sconti ed accordi di favore sui dazi che colpiranno i singoli paesi europei. Del resto, qualche giorno fa, è apparso sul Wall Street Journal un editoriale dal titolo eloquente: “Le Nazioni si preparano per un mondo post-europeo”.
Rispetto all’area dell’Asia Pacifico, che può essere considerata il quadrante più importante del mondo oggi, non dobbiamo però immaginare una politica estera americana come un riflesso pavloviano delle considerazioni su menzionate. Per esempio Elon Musk ha espresso ripetutamente ammirazione per la Cina e lo stesso Trump oscilla tra retorica aggressiva e conciliante.
Proprio per questa ragione il recente colloquio telefonico tra Xi Jinping e Donald Trump ci fornisce molti spunti di riflessione. Innanzitutto in relazione al fatto che segna la volontà delle due parti a sviluppare un dialogo e stabilire canali di comunicazione strategica. Questi sono essenziali, anche per tutelare e rispettare gli interessi fondamentali reciproci, evitando di violare “linee rosse” o ridurre al silenzio la comunicazione strategica, come è avvenuto per lunghi mesi nel corso della precedente amministrazione americana. Per cementare il dialogo e la reciproca comprensione, nella consapevolezza che la stabilità delle relazioni bilaterali è un asset fondamentale per la stabilità anche del quadro internazionale, la Cina ha espresso la volontà di rafforzare la cooperazione economica e gli investimenti, per trasformare le tensioni economiche in prosperità condivisa. L’economista Wang Huiyao, presidente del think tank Center for China and Globalization ha proprio recentemente analizzato in un suo intervento come investimenti cinesi e produzione localizzata da parte di aziende cinesi negli Stati Uniti possano contribuire a stabilizzare le relazioni bilaterali. Ha ricordato a tal proposito i grandi investimenti cinesi negli Usa, come quello da 1 miliardo di dollari della Fuyao in Ohio, l’impianto di BYD a Lancaster (California) e la partnership di licenza tecnologica di CATL, il più grande produttore mondiale di batterie, con l’impianto Ford in Michigan e, in prospettiva, con Tesla in Nevada. Si trattano di esempi concreti di come aziende cinesi possono contribuire all’economia statunitense attraverso la creazione di posti di lavoro e il trasferimento di tecnologia e competenze.
Il tentativo di mettere la retromarcia alla storia, avviando una fase di deglobalizzazione e compartimentazione del commercio globale, non ha portato ai frutti sperati dai promotori. Per fortuna, aggiungiamo noi. La crescita economica degli Usa in questi anni è stata importante, ma sembra essere stata trascinata più dalla finanza e dall’industria delle armi, che da una capacità di ricostruzione di un apparato produttivo ed un tessuto industriale diffuso. La mano tesa da parte della Cina può quindi garantire all’America una crescita più equilibrata. La speranza è che il mantenimento di scambi economici stabili da un lato e la disponibilità al dialogo ed alla cooperazione sui temi globali ad alto livello dall’altro, contribuiscono a far emergere un ordine internazionale più stabile. L’unico, in grado di garantire la pace.
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