Da Alibaba 15 miliardi al piano di Xi sulla «prosperità comune»

un interessante articolo apparso su ‘il sole 24 ore’

di Rita Fatiguso

È in atto in Cina un potente spostamento di risorse dal privato al pubblico, in apparenza spontaneo, destinato a riportare indietro le lancette dell’orologio del “socialismo con caratteristiche cinesi” teorizzato e messo in pratica da Deng Xiaoping negli anni Ottanta.

Arricchirsi è glorioso, diceva Deng, ma nel 2021, con Xi Jinping destinato, dopo un decennio di potere, ad essere riconfermato, donare lo è ancora di più.

Così Alibaba di Jack Ma conferirà entro il 2025 ben 15,5 miliardi di dollari allo Stato cinese per contribuire a realizzare quella “prosperità condivisa” che nei piani del presidente Xi Jinping garantirà una migliore e più giusta distribuzione della ricchezza.

Tencent, Geely, sono già in fila, insomma il fiore dell’industria privata (nell’accezione cinese del termine) metterà a disposizione un fiume di risorse per risarcire le piccole e medie imprese penalizzate dai giganti del tech, compensare i riders senza adeguata copertura salariale e assicurativa che hanno permesso il boom dell’e-commerce, un settore pari al 30% del Pil cinese. In parte queste disponibilità confluiranno in un fondo destinato alla “prosperità condivisa” del quale, al momento, si sa poco.

Di fatto il settore privato, e i tycoons che finora ne hanno guidato le sorti diventando immensamente ricchi, sono stati oggetto di un vero e proprio assedio, a partire dallo scorso mese di novembre quando proprio Jack Ma fu convocato dalle autorità di Pechino alla vigilia del doppio debutto in borsa di Ant Financial, la piattaforma di pagamenti che puntava a raccogliere sul mercato più del doppio di quello che, adesso, sarà donato allo Stato cinese. 

Il debutto a Hong Kong e Shanghai fu stoppato, e Jack Ma accusato di aver utilizzato due banche vere per esercitare attraverso Ant attività finanziaria. Fu imposto un cambio di pelle giuridico a tutte le Big Tech, ancora in atto, e sul quale le autorità di Pechino hanno richiesto due giorni fa un monitoraggio a tutto campo. L’Antitrust iniziò a comminare multe per violazione della concorrenza, Alibaba fu costretta a pagare 2,5 miliardi di dollari in un sol colpo.

Non basta mettersi in regola. Si è fatto strada il principio della holding cinese, un nuovo soggetto del terzo tipo, né pubblica né privata ma, semplicemente, cinese. Ed è quello che conta per chi regge le sorti della Cina in un contesto molto più intricato di quarant’anni fa.

Infine è arrivata la raffica di norme su Cybersecurity, sicurezza dei flussi di dati e, a breve, la legge sulla privacy, un tris che sta paralizzando il meglio delle aziende cinesi all’estero, anche attraverso l’apertura da parte dell’Antitrust ai controlli sulle società schermate nei paradisi fiscali dove Alibaba & co nasconderebbero i loro “tesori”.

I Big del Tech hanno tentato di difendersi creando società ad hoc destinate al no profit, cercando di canalizzare lì le fortune personali, che ammontano a decine di miliardi. Per Jack Ma e gli altri imprenditori privati, un tempo osannati dal sistema, si è aperta una stagione difficile. 

La mossa preventiva in atto che punta a donare allo Stato quote di fatturato segnala quanto sia delicata la posizione di queste grandi società private, sempre più attratte nell’orbita pubblica. 

Succede in Cina che perfino nei salvataggi di aziende decotte lo Stato crei nuove società da rimettere poi sul mercato, operando come risanatore dell’economia. Ciò che resta di Anbang, colosso delle assicurazioni finito in disgrazia, doveva essere piazzato sul mercato il 12 agosto: il termine è scaduto e anche la proroga di due settimane. Nessuno, finora, si è fatto avanti.

Nell’era della “prosperità condivisa” i capitali di rischio non possono che latitare.