Crisi sociale e mobilitazione politica in Perù

riceviamo e pubblichiamo questo articolo sulle drammatiche notizie che arrivano dal Perù

di Enrique León e Eduardo Yalan

Un po’ di contesto

L’attuale governatore del Perù, Dina Boluarte, era il vicepresidente di Pedro Castillo. Durante tutto il governo ha ricoperto la carica di Ministro dell’Inclusione Sociale (il che oggi è una crudele ironia). Sia Pedro Castillo che Dina Boluarte sono stati espulsi da Perù Libre (il partito d’ispirazione marxista per il quale correvano). Tra le molte cause della loro espulsione c’era il rifiuto di promuovere un’Assemblea Costituente una volta al governo (una promessa elettorale che ha generato un’aspettativa). A questo si aggiunge che il breve governo di Pedro Castillo è stato molto instabile e inefficace nel realizzare le promesse elettorali e mantenere decisioni ferme in un contesto di polarizzazione sociale e politica (ad esempio, 70 ministri cambiati in un anno e due mesi di governo).

A rigor di termini, Castillo non è mai stato un socialista e nemmeno si identifica come marxista. Piuttosto, è esponente di un sindacalismo popolare pragmatico. La sua formazione di partito e ideologica sono scarse. Pertanto, le critiche che dovrebbero essere mosse a Castillo hanno a che fare con la sua risposta alle promesse elettorali. Quali critiche valide si devono fare a Castillo? Fondamentalmente, non ha rispettato la domanda sociale che lo ha portato al potere (ha rinviato l’Assemblea Costituente, si è mostrato indifferente alle questioni della nazionalizzazione, della risoluzione dei conflitti andini e della rinegoziazione dei contratti minerari). Bisogna tener presente che secondo il “Rapporto sulla disuguaglianza globale 2022”, condotto dal World Inequality Lab (WIL inequality) e Latinometrics, il Perù è al quarto posto nel mondo. Si possono sollevare domande sui risultati e sulla metodologia di questo studio. Tuttavia, al di là della posizione assegnata, mostra una tremenda disuguaglianza che riflette 30 anni di politiche neoliberiste in Perù. Pertanto, l’aspettativa di cambiamento che Castillo è stato in grado di incanalare era molto grande.

Dall’inizio del suo mandato, nel luglio 2021, Castillo ha affrontato più di 4 tentativi di destituzione da parte di un Congresso molto ostile con una maggioranza di destra in concomitanza con la pressione mediatica, finanziaria e corporativista delle élite di Lima. Senza un partito di governo che lo sostenesse, Castillo ha cercato di sopravvivere ricorrendo a complicate alleanze politiche, prebende, nepotismo, relazioni tra amici e corruzione. Crediamo che l’azione di Castillo di intentare un colpo di stato e chiudere il Congresso sia stata una risposta disperata e disarticolata per far fronte alla forza politica conservatrice che aveva già infranto l’equilibrio del potere.

Cosa sta succedendo

Dina Boluarte oggi governa in alleanza con i settori di destra più conservatori del Congresso e della società. Ecco perché i manifestanti la chiamano traditrice. A differenza di altre proteste, oggi queste vedono un’alta partecipazione indigena, contadina e popolare che si organizza per inviare delegazioni nella capitale. Le classi medie si vanno unendo ancora lentamente. I manifestanti chiedono fondamentalmente tre cose in ordine di priorità: (1) che Boluarte si dimetta; (2) elezioni anticipate; (3) Assemblea Costituente (quest’ultima è una richiesta che sta guadagnando maggior forza). I manifestanti urbani per lo più non chiedono il ritorno di Pedro Castillo. Tuttavia, nel settore andino più rurale della protesta c’è una mobilitazione non trascurabile sulla sua sostituzione come atto simbolico. La forte empatia di questi manifestanti non è verso Castillo come soggetto empirico (non dimentichiamo che la sua reale gestione del governo ha voltato le spalle alla domanda sociale), ma come ruolo simbolico o segno di un gruppo periferico segregato e storicamente espulso.

Boluarte ha scelto di reprimere duramente ognuna di queste aspirazioni politiche (48 morti causate dallo scontro con la polizia). Ha ripetutamente dichiarato che non si dimetterà e il Congresso (con una maggioranza di destra) non ha la volontà politica di anticipare le elezioni. Il settore conservatore del Congresso ha capito allora che può governare usando Boluarte come caproespiatorio o facciata senza doversi assumere la responsabilità delle morti o della repressione. Boluarte e le élite di Lima hanno avviato una campagna di criminalizzazione e di disinformazione molto intensa delle proteste (“la borghesia scomunica come socialista ciò che in precedenza applaudiva come liberale”, 18 brumaio). Inoltre, ha il sostegno dell’80% di tutti i media tradizionali (stampa, TV, radio) che appartengono alle élite di Lima.

I 48 morti sono cittadini del settore rurale. Per le classi medie urbane la domanda non è “quante morti ti indignano?” ma “Da dove provengono le morti che ti indignano?”. In Perù è ancora una volta comprovato che la vita (o il concetto di cittadinanza) nella città ha un valore simbolico maggiore che nelle province. La presenza di indigeni, contadini e settori popolari che sono venuti nella capitale Lima per manifestare ha ravvivato nei settori urbani la vecchia paura coloniale della “rappresaglia degli indios”. Curiosamente, la destra non ha mai abbandonato il concetto di “lotta di classe”; al contrario, le è più chiaro che mai chi è, cosa vuole e come raggiungere i suoi interessi. Sono i settori popolari e le classi medie ad essere stati depoliticizzati nel neoliberismo.

Oggi siamo arrivati a quasi tre mesi di proteste. Il lato positivo che vediamo è che i manifestanti si vanno formando una coscienza o un senso di classe che si era ormai perso negli anni precedenti. È una coscienza pratica, intuitiva e non teorica. La protesta ha costruito quelli che chiamiamo “segni brillanti”, cioè una semiotica carica di intensità posta come una figura politica impossibile che spiega perché i manifestanti tornano ancora e ancora nello spazio pubblico per protestare. Spieghiamo: quando una richiesta riguarda un obiettivo concreto (una legge, il licenziamento di un funzionario, un lavoro particolare) la protesta termina quando questo obiettivo è raggiunto. Ma quando l’obiettivo è simbolico (semiotico) e impossibile, l’indirizzamento della protesta è perpetuo. In precedenza, le richieste erano indirizzate alla soluzione di una mancanza (acqua, alloggi, servizi) dello Stato. Così, i governi precedenti sono stati in grado di costruire relazioni clientelari per disinnescare ogni mobilitazione. Oggi, a poco a poco, le richieste consistono nel cambiamento dello Stato e delle sue forme di rappresentanza e conformazione (da qui l’Assemblea Costituente). Non sono lotte formali, ma di sostanza. Oggi le lotte sono politiche, non etiche, né umanistiche. L’Assemblea Costituente e il rifiuto dell’esclusione storica sono proprio quegli obiettivi impossibili in un contesto sociopolitico in cui l’unica possibilità è rimanere in uno stato di alienazione e subordinazione al senso comune. Secondo l’ultimo sondaggio IEP, queste richieste non hanno perso intensità, ma si collocano nello spettro politico della mobilitazione. Il problema è che non ci sono leader o partiti che possano incanalare queste richieste, per ora. Speriamo che sia la stessa lotta che ne segni la comparsa.

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