di Piero Pagliani
Sul finire (si spera) della crisi pandemica, Greta Thunberg è tornata a farsi sentire, più arrabbiata che mai. Mi dà l’idea di una creatura che incominciando a ragionare più autonomamente sia uscita fuori dal controllo dei propri occhiuti e interessati creatori. Speriamo che sia così. Fatto è che sta spiazzando i detentori di potere, che sembra stiano capendo in ritardo che la giovane Greta non è probabilmente più quella che se ne andava, con gran tripudio di tutti i media mainstream, a New York su un ecologico catamarano, spartano ma da 4 milioni di euro, messole a disposizione da un ricchissimo principino patron dell’ecologissima Formula 1 a Montecarlo e azionista della società di voli in elicottero del Principato di Monaco (cosa che le fece toccare un minimo locale di credibilità – speriamo che non ripeta più imprese simili e abbia capito che essere un ricchissimo signore di Montecarlo e uno sfruttatore/consumatore estremo di risorse è la stessa cosa, catamarano o non catamarano).
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Dopo il caldo insistente di questa estate, i meteorologi informano che con molta probabilità avremo un inverno con temperature sotto la media (con ritorno della neve in pianura). Colpa della Niña, cioè del raffreddamento della temperatura delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico centrale ed orientale.
Chi è interessato a capire come la Niña e il suo fenomeno opposto, cioè il Niño, o se vogliamo il clima in generale, influenzino le vicende umane, sociali, economiche, politiche e geopolitiche, può leggere con profitto il libro “Olocausti tardovittoriani. El Niño, le carestie e la nascita del Terzo Mondo” (Feltrinelli, 2002) di Mike Davis. Chi poi volesse ampliare ulteriormente il proprio orizzonte con una brillante analisi delle relazioni tra “regimi alimentari” e capitalismo, e quindi del rapporto tra capitalismo, clima, territori fisici e loro confini politici, e le conseguenze sulle relazioni internazionali, è invitato a rivolgersi ai lavori di Jason Moore. Come solida base di partenza, si può può trovare in rete il suo “Ecology, capital, and the nature of our times: Accumulation and crisis in the capitalist world-ecology”, Journal of World-Systems Research 17 (1), pp.109-147 [1].
Perché questi suggerimenti bibliografici? Perché se si vuole parlare seriamente di clima e di ambiente “da sinistra”, bisogna avere almeno una base condivisa di concetti, e capire se stiamo parlando tutti della stessa cosa o di altro. E poi perché pur essendo riconosciuti ovunque per la loro serietà e capacità di analisi, quel che dicono questi studiosi è immancabilmente assente in tutti i dibattiti ufficiali e le loro analisi escono velocemente dal radar dei nostri “esperti” mainstream (semmai vi siano entrate). Dal canto suo la sedicente sinistra si è prontamente dimenticata (e le nuove generazioni ormai non sanno nemmeno più) che il vecchio Marx già qualcosa di preciso aveva intuito sul rapporto tra capitalismo e natura: l’un tempo famosa “frattura metabolica”. Un’intuizione da sviluppare, raffinare e aggiornare, non da dimenticare!
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Oggidì non c’è nulla, ma proprio nulla, che non sia dichiarato “ecosostenibile”. Qualsiasi cosa si faccia e qualsiasi cosa si produca è immancabilmente “rispettosa dell’ambiente”. Gli stessi prodotti che prima erano pubblicizzati con frasi senza senso tipo l’estenuante “Trenta percento in più (o in meno)” (ma in più o in meno di che cosa?), adesso lo sono utilizzando il magico termine passpartout “sostenibile” (e perché è sostenibile?).
Tutta fuffa, ovviamente, dove ciò che importa non è la sostanza, ma l’apparenza, gli effetti speciali, spesso escogitati in modo particolarmente brillante (si veda l’osannato “Bosco Verticale” di Milano [2]).
Il nostro ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, per lo meno è onesto: a queste cose non ci crede, gli ambientalisti gli danno fastidio, i profitti non devono essere penalizzati da ubbie ecologiste. Insomma, ammette che il suo stesso dicastero è fuffa allo stato puro.
Ciò che però non bisogna fare è contrapporre alle sue dichiarazioni e alle sue – se ci saranno – decisioni, la contro-fuffa di quelli che “Da domani solo energia rinnovabile e sviluppo sostenibile”. Anche in questo caso l’estremismo è una malattia infantile.
Fermo restando che il nostro ministro (che prendo come esempio, ma non è l’unico al mondo) non sembra avere (né essere interessato a) nessun piano per la transizione a fonti di energia pulita e a produzioni eco-compatibili, cosa che a volte nasconde dietro a idee molto futuribili (la fusione nucleare), ma a volte porta a galla con progetti di ritorno al futuro all’incontrario con trivelle e centrali a fissione nucleare (per la gioia di Salvini), fermo restando che rappresenta interessi estranei a forme di dubbio e preoccupazione sul futuro del pianeta, messo in chiaro questo, tuttavia ciò che eventualmente produrrà energia rinnovabile domani occorre obbligatoriamente progettarlo oggi e, soprattutto, bisogna produrlo con l’energia disponibile oggi, che come si sa in larghissima parte non è rinnovabile.
Quindi il domani tutti al mare a mostrar le chiappe chiare, non esiste.
E poi – siamo pur sempre in regime capitalista – il prezzo conta, e conta parecchio. Perché il capitalismo ha bisogno di calorie a buon mercato, di risorse a buon mercato, di energia a buon mercato, di moneta a buon mercato, di lavoro e cure a buon mercato. Come dice in sintesi Jason Moore, ha bisogno di vite e di natura a buon mercato. Se non si capisce questo non si capisce nemmeno l’imperialismo [3].
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Quindi per un bel pezzo avremo bisogno ancora di gas e petrolio. E il sopra citato ministro della Transizione Ecologica qualche settimana fa ci ha avvertito/minacciato: “Le bollette energetiche schizzeranno alle stelle”. C’è chi l’ha interpretata come una ripicca: “Volete le energie alternative? Ecco il conto”. A dire il vero, lui all’inizio se l’è giocata proprio così (perché non riesce a tenere a freno la sua avversione per gli ecologisti). Ma in realtà – e lo ha chiarito subito la UE – qui di alternativo non c’è nulla, c’è solo gas naturale e petrolio. Sono loro che stanno salendo inesorabilmente di prezzo dopo la calma piatta dovuta alla lunga crisi economica di sottofondo e alla recente sovra-crisi (cioè quella Covid).
E qui entra in scena come protagonista la geopolitica.
L’accordo anticinese AUKUS (Australia-UK-USA) mostra un deciso cambiamento della strategia statunitense nel quale l’Europa conta di meno. Lo schiaffo alla Francia è stato talmente sonoro che si è sentito in tutto il mondo. Qualcuno ha commentato che De Gaulle o Mitterand sarebbero usciti immediatamente dalla NATO sbattendo la porta in modo rumoroso. Invece Macron dopo un attimo di sbandamento isterico in cui minacciava fuoco e fiamme, è ritornato all’ovile di Washington, docile come prima. Infatti l’unica cosa che sa fare è reprimere con ferocia le rivolte interne [4].
Ma se gli USA e gli UK si stanno allontanando dall’Europa ci deve essere qualche motivo preciso [Nota a margine: mi sembra di vedere un prolungamento dell’America First di Trump, della serie “I presidenti USA cambiano ma la politica estera statunitense no”, con buona pace di chi si fa incantare dalle parole].
Occorrerebbe quindi capirlo, questo motivo. Ecco una non remota ipotesi: la UE è percepita essere sempre meno rilevante nei grandi giochi internazionali. Non solo, ma il Vecchio Continente è visto in balia di crisi interne (a volte aizzate da terzi) che non è in grado di risolvere. In secondo luogo, gli USA – e assieme a loro gli UK (personalmente, a differenza di molti compagni, non ho mai creduto che la Brexit fosse una vittoria squisitamente popolare) – probabilmente immaginano che la UE sia comunque destinata a gravitare sempre più verso la costellazione euroasiatica centrata su Russia e Cina, pena il suicidio economico, che per la UE significherebbe suicidio tout-court. L’ostacolo “Ucraina” che gli USA hanno voluto inserire lungo questo processo è servito per un po’ ma in complesso non ha dato grandi risultati (anzi! basti pensare alla Crimea) e non è replicabile facilmente (ci hanno tentato con la Bielorussia ma è stato un flop, grazie anche alle mobilitazioni popolari). E i tipi come Navalny ormai non sono creduti più da nessuno (in Russia è universalmente detestato e quando ne parlano per compiacere Washington, i governanti europei recitano ostentando un Verfremdungseffekt, un effetto di straniamento, che nemmeno Brecht).
Ci saranno qua e là nuovi tentativi di cospargere questa o quella strada di chiodi, o qualche temporaneo rilancio dei vecchi per tenere sotto controllo questo “slittamento di paradigma geopolitico” e sicuramente si cercherà di sparigliare le carte nella UE, premiando alcuni Paesi e punendone altri, ma la partita mondiale si è drammaticamente ampliata, complicata e complessificata. Contrapporsi all’asse (informale perché non c’è alcun patto di alleanza) Russia-Cina, che si configura attualmente come il blocco combinato più potente del globo, è un compito immane. Verosimilmente infattibile per gli USA. Meglio per loro concentrarsi sulla Cina e contare sul fatto che un riavvicinamento Europa-Russia possa incrinare l’asse eurasiatico. Non solo: un crollo economico della UE si propagherebbe all’altra sponda dell’Atlantico come uno tsunami, specialmente finanziario, con una violenza direttamente proporzionale all’incancrenimento dei rapporti bilaterali USA-Cina. Quindi occorre evitarlo e gli USA hanno sempre meno strumenti per poterci riuscire da soli. Così gli USA, proprio per via dei legami economico-finanziari con l’Europa, acconsentiranno a lasciare la briglia un po’ più sciolta, seppure in modo guardingo. In definitiva, gli USA hanno capito benissimo che non riusciranno a combattere né la Russia né la Cina fino all’ultimo europeo. Ma hanno ancora bisogno di noi economicamente e finanziariamente, e ogni tanto come giullari.
La globalizzazione ormai non è più e non potrà più essere “un altro termine per predominio americano”, come nel 1999 affermava Henry Kissinger [5]. Questo è un dato di fatto. Ma la deglobalizzazione, la compartimentalizzazione dello spazio economico e politico mondiale, è un processo molto difficile in termini economico-finanziari e pericoloso nelle sue conseguenze politico-militari. Questo è uno degli impasse che gli USA – e l’Occidente tutto – devono affrontare.
Ne segue che il delinking politico-militare tra USA e UE non sarà sincronizzato (nel senso che non potrà essere sincronizzato) con quello economico e finanziario, ma il primo sarà più veloce del secondo (infatti a me sembra che nonostante le molte chiacchiere, a Biden della NATO interessi tanto quanto Trump). Un fenomeno contraddittorio non rilevabile con ragionamenti meccanici, perché è dovuto al fatto che il Potere del Denaro e il Potere del Territorio sono sì interlacciati, ma seguono logiche differenti e l’analisi dei loro rapporti richiede la dialettica.
Non è una novità storica in sé: l’Inghilterra e le Province Unite si combatterono dal 1652 al 1784, nonostante la finanza olandese avesse enormi interessi in Inghilterra; e descrivendo i conflitti mondiali, Karl Polanyi commentò che pur con tutte le sue ramificazioni internazionali la haut finance non ha mai potuto evitare i grandi conflitti [5]. Prove storiche che le due logiche erano separate. E lo sono tuttora, altrimenti non staremmo parlando di capitalismo, ma di qualcos’altro.
Il mondo oggi va dunque sempre più avanti a furia di variazioni di schieramenti inframmezzate da periodi di ambiguità, fughe in avanti, ripensamenti, nuovi scatti.
Queste accelerazioni fanno sì che azioni intraprese anni prima non abbiano più un senso e che i loro esiti abbiano nelle condizioni di oggi conseguenze che non potevano essere valutate. Il ritiro dall’Afghanistan ha rinsaldato i legami tra Mosca e le spaventate repubbliche centroasiatiche, oltre che l’Iran (che il mese scorso è diventato un membro effettivo della SCO, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai capeggiata da Russia e Cina e che conta circa la metà degli abitanti della Terra e 4 potenze nucleari – Cina, Pakistan, Russia e India [7]).
Sarà ora interessante vedere se gli USA si ritireranno anche dalla Siria. Io penso che presto faranno non uno, ma almeno due passi indietro, creando ancora una volta scompiglio tra i loro (ex) alleati-vassalli. Così vedremo probabilmente i Curdi, o meglio i capi dell’SDF, costretti a chiedere scusa a Damasco per il loro tradimento ai danni di un governo amico (e per le ruberie di grano e petrolio non loro: il “Rojava” curdo-siriano è un’invenzione, senza basi né etniche né storiche, che occupa in larghissima parte terre arabe). Ciò che farà la Turchia in una simile situazione è oggi imprevedibile, almeno per me (l’ultimo meeting tra Putin ed Erdoğan sulla situazione in Siria è stato un sostanziale fallimento, un nulla di fatto).
Se i tagliagole jihadisti e i loro capi verranno massacrati a mo’ dei giannizzeri dal loro sultano (o, in questo caso, sultani, seduti ad Ankara, Riad e Washington) o se verranno riciclati da altre parti e in che misura, non penso che sia possibile prevederlo ora.
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Ed eccoci infine di nuovo all’energia. Il livello delle scorte nella UE è molto basso. Il mega giacimento olandese di Groningen (nel 1976 diede fino a 88 miliardi di metri cubi di gas) che serve tutta l’Europa nord-orientale, verrà definitivamente chiuso entro il 2022, per via dell’alto rischio sismico derivante dalle trivellazioni (dalla metà degli anni Ottanta si sono registrati nell’area oltre un migliaio di scosse). Ed ecco allora il Nord Stream 2, fino a ieri bestia nera geopolitica degli USA. Lo è ancora, ma non ci possono far nulla. Lo shale gas statunitense serve agli Stati Uniti. Da noi il gas arriva e arriverà solo dalla Russia.
Quindi: scorte basse, inverno alle porte (il Generale Inverno viene sempre al soccorso del Paese di Sneguročka, la Fanciulla di Neve: un fatto notevole e sorprendente), tentativo – energivoro – di ripresa post-pandemia, prezzi dell’energia che salgono alle stelle mandando al diavolo la pianificazione dell’inflazione della BCE. Questo è il quadro.
Ma la Russia è vicina. Gli Europei ovviamente dovranno smettere la scomposta retorica russofoba assunta per compiacere Washington. Ma i Russi sono persone di mondo, sanno che stavamo tutti scherzando (tranne qualche stupido eurocrate in buona fede, ovviamente).
Ci perdoneranno.
Spasibo!
Note :
[1] Scaricabile da qui:
In Italiano si trova poco, ad esempio il piccolo volume “Antropocene o capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria” (Ombre Corte, 2017).
[2] Sulla sostanza che si nasconde dietro il “Bosco Verticale” si veda “Il verde verticale è davvero sostenibile?” di Lorenzo Vagaggini:
(https://www.aboutplants.eu/notizie/paesaggio/il-verde-verticale-davvero-sostenibile).
La fuffa è ancora più subdola della falsità, pretende che si guardi veramente il dito e non la Luna e che si ammetta pubblicamente che sì, il dito e proprio un dito. Cosa vera, così come il Bosco Verticale è innegabilmente verde e, tutto sommato, è anche superficialmente bello. Se poi qualcuno osa domandare “Ma la Luna?”, allora molto facilmente viene tacciato di essere un complottista o, se va bene, uno stupido che non capisce. Inutile obiettare che il metodo principe della scienza è porsi i dubbi e scavare sotto le apparenze, anche quelle condivise da secoli come chiunque abbia fatto le elementari dovrebbe sapere. Il neo-Minculpop questo, prima ancora di non ammetterlo amministrativamente, nemmeno lo capisce.
[3] Ad esempio, senza l’impero la Gran Bretagna non avrebbe avuto a disposizione nemmeno le calorie nella quantità e al prezzo necessari per accumulare capitale, visto che il prezzo delle calorie incide pesantemente (e all’epoca in modo preminente) sul costo del capitale variabile – cioè della forza-lavoro, per chi si è dimenticato Marx – e lo sviluppo faceva accrescere la popolazione.
[5] Henry Kissinger: “The basic challenge is that what is called globalization is really another name for the dominant role of the United States.” Lecture at Trinity College, Dublin, October 12, 1999.
[6] «La haute finance non era intesa come uno strumento di pace; questa funzione le capitò accidentalmente, come direbbero gli storici, mentre il sociologo potrebbe preferire riferirsi alla legge di disponibilità. La motivazione dell’haute finance era il guadagno: per raggiungerlo era necessario essere d’accordo coi governi che avevano fini di potenza e di conquista.» (K. Polanyi, “La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca”. Einaudi, 1974).
Oggi l’alta finanza è diventata il luogo di sfogo e di medicazione della persistente crisi sistemica, un colossale placebo che può disintegrarsi ad ogni serio inceppamento economico, finanziario, politico o geopolitico in uno qualunque dei principali punti di snodo della sua complessa rete mondiale. La crisi dei subprime ne è stato un esempio, persino limitato nonostante le disastrose conseguenze. Ciò porta il Potere del Denaro ad avere un’oggettiva capacità di “ricatto” nei confronti del Potere del Territorio ma proprio questo, dualmente, subordina il Potere del Denaro alle capacità di potenza del Potere del Territorio e alle sue logiche. La dialettica tra i due poteri è molto complessa, massimamente nei momenti di crisi, e niente suffraga le tesi che vogliono il potere politico subordinato meccanicamente a quello economico, men che meno quelle che ipotizzano un “Comitato” o una “Cupola” sovranazionale capace di dettar legge a tutti i governanti del mondo (il passo immediatamente successivo è credere a un governo ombra mondiale di Alieni o di discendenti di Alieni primigeni, tesi, in effetti, che corrono in rete e non solo, sotto varie forme, fanta-archeologiche, paleo-astronautiche, esoteriche, iniziatiche e/o, ovviamente, razziste).
[7] Attenzione a non prendere granchi. Così come ho già fatto notare altrove che né Russia né Cina hanno il disegno di far diventare le loro valute nazionali la moneta di scambio internazionale, allo stesso modo non hanno intenzione di formare delle alleanze uguali e contrarie alla fallimentare NATO. In altre parole, non vogliono ripetere gli stessi errori compiuti dall’Occidente.