Gli uomini, l’ambiente e il territorio

di Luca Servodio, direzione nazionale PdCI


fango disastro-w300Il dissesto idrogeologico rappresenta in Italia (da nord a sud), un problema di rilevanza, che ha provocato, negli ultimi vent’anni, migliaia di vittime, danni agli insediamenti umani e alle attività produttive. Le lista di eventi drammatici, legati ad alluvioni, esondazione, frane, dimostra l’estrema fragilità del territorio dal punto di vista idrogeologico e l’assenza di una politica di governo del territorio di previsioni e prevenzioni. La principale causa deriva dalle azioni dell’uomo, attraverso lo sfruttamento smisurato e senza programmazione. L’abusivismo edilizio, il disboscamento, l’occupazione di aree di pertinenza fluviale, la mancanza di manutenzione dei corsi d’acqua, gravano il dissesto, affianco ai quali, aggiungere altri fattori, come l’urbanizzazione diffusa e caotica.

Nel 2009 leggendo, il resoconto di un convegno sulla “Città e territorio”, un passaggio mi è rimasto impresso: “la devastazione del territorio italiano è stata accelerata negli ultimi dieci anni da un rapporto perverso fra ciclo economico, ciclo edilizio e fiscalità locale. Su questo rapporto hanno influito ragioni contingenti, ma anche ragioni che per brevità possiamo chiamare ‘costitutive’. Le ragioni costitutive rinviano ai limiti della pianificazione di sistema, propri delle organizzazioni sociali estese e complesse, mentre le ragioni contingenti a diffusi e deprecabili fenomeni di corruzione, illegalità e sopruso. Le due ragioni s’integrano facilmente, mettono l’onestà in complicità con il crimine, configurano un modello di sviluppo insostenibile dal punto di vista economico, sociale, ambientale, energetico e giuridico. Gli esiti della sua contabilizzazione sono problematici, ben oltre le note esternalità, soprattutto se considerati nel medio e lungo periodo e in una prospettiva d’interesse collettivo. Tutto ciò è reso possibile dall’apparato pianificatorio costruito negli ultimi sessant’anni ed è incorporato nei sistemi di regolazione”.

In queste righe possiamo scorgere l’essenza e l’incapacità di invertire la tendenza, cioè la mancanza di una visione collettiva e di processi in grado di formare strumenti di pianificazione, con un approccio capace di riconoscere l’esigenza di piani a scala appropriati, al fine di superare una concezione di sussidiarietà distorta. L’alternativa è di costruire politiche di sviluppo realmente sostenibili, anche in termini sociali, capaci di leggere le caratteristiche dei territori e individuarne le vocazioni, organizzarne servizi, disegnare l’assetto.

La risposta dei piani urbanistici, oggi, credo non sia più quella di una volta, solo la soddisfazione dei fabbisogni, ma perseguire la sostenibilità ambientale degli interventi, favorire l’uso di tecnologie ecocompatibile, capaci di migliorare la qualità dell’abitare, oltre ridurre i consumi energetici, idrici, ecc. Questi obiettivi possono essere raggiunti, inserendoli nel Regolamento Edilizio, il quale garantisce un controllo delle trasformazioni a scale edilizia e al tempo stesso la sostenibilità. Questi temi introducono, anche un altro aspetto, l’assenza di una politica della casa. Il problema della casa è considerato una questione privata, che alimenta la rendita immobiliare, oltre che a contribuire e a determinare la scarsa qualità degli insediamenti, imposta dall’attenzione riferita solo alla dimensione domestica. Questa idea “progettuale”, ha prodotto agglomerati, dove non esistono luoghi pubblici, spazi comuni, ma si esalata l’indipendenza dell’alloggio.

Il conflitto tra l’uomo e la natura – come ha scritto l’arch. Aldo Loris Rossi – ha raggiunto un livello preoccupante. L’esplosione demografica ha generato una quadruplice crisi: alimentare, energetica, ecologica e urbana.

Di ambiente e territori, ritengo, che ci si preoccupi solo per rimediare alle scelte sbagliate. Bisogna, invece, agire esattamente al contrario: come prima cosa, valutare ciò che occorre fare (o, moltissime volte, non fare). I tragici eventi, sono il risultato di anni di politica di sfruttamento spregiudicato, di speculazioni e di cementificazione selvagge, di una politica senza programmazione, dove il territorio nel suo insieme è stato considerato solo merce da sfruttare o semplicemente come luogo, come nel caso delle zone montane e di campagna depositi di rifiuti, discariche e consumo del suolo per creare solo e semplicemente rendita.

È necessario cambiare rotta. Il rispetto del territorio, la mappatura dei boschi, il monitoraggio e la difesa dei luoghi, il risanamento dei fiumi, bonifica di opifici con coperture di amianto, recupero di territori incolti, abbandonati, sono elementi necessari per pensare il territorio in maniera corretta e rispettosa. Dalla salvaguardia del territorio, dalla sua forestazione riforestazione e con un piano di opere pubbliche di vera utilità sociale (messa in sicurezza del territorio, recupero dei centri urbani) si crea nuovo lavoro e, nello stesso tempo si stabilisce un equilibrio naturale per la sicurezza delle popolazioni. È importante un armonioso rapporto tra uomo e natura, mettendo fine allo sfruttamento del suolo e del sottosuolo per puro profitto.