di Laura Baldelli, responsabile regionale PdCI Ambiente
Le prolungate ed insistenti piogge di questi giorni, con la conseguente alluvione per esondazione del Misa e del Cesano a Senigallia e Chiaravalle per i reticoli minori Triponzio e Granita, non possono essere l’alibi di una inconsistente pianificazione e programmazione territoriale delle Marche.
Questo affermano i geologi della nostra regione e lo dichiarano inascoltati da anni; ricordo ai lettori anche il convegno dell’Università di Camerino Scuola di Scienze ambientali del marzo 2011, realizzato con il patrocinio del Consiglio Nazionale dei Geologi: “L’Italia sott’acqua e il rischio idrogeologico. Geologia: se non ora quando?”, occasione in cui il vice-presidente dell’Ordine dei geologi marchigiano P. Farabollini ha ripercorso alcuni eventi, che già dagli anni ’70 erano allarmanti e il territorio ci dava dei segnali forti che le istituzioni avrebbero dovuto capire e subito programmare politiche di prevenzione.
Parliamo delle frane nelle Marche centrali nel 1976, della frana di Ancona del 1982, dell’alluvione del Tronto del 1992, delle esondazioni dei fiumi Potenza, Chienti, Ete morto, Tenna del 1998 e ancora 1999, 2000, 2001 sempre nelle Marche centro-meridionali, Aspio nel 2006, Ete morto 2009, Ete vivo 2011.
Nulla ha fermato la dissennata antropizzazione del territorio, che con lo sviluppo urbanistico ha aumentato considerevolmente la percentuale di suolo impermeabilizzato, soprattutto a scapito delle aree di pertinenza fluviale, sottolineo che le Marche sono tra le regioni più cementificate d’Italia; inoltre è mancata la manutenzione ordinaria dei fiumi, dei fossi e reticoli minori e la sistemazione idraulica dei versanti con pulitura di alvei e riprofilatura degli argini, che è stata anche aggravata dall’abbandono dell’agricoltura.
Queste sono le vere cause di quello che viene spacciato per calamità naturale in seguito ad evento straordinario, e la Regione Marche da anni non investe e non interviene sulla manutenzione e salvaguardia del territorio, preferisce gestire i cospicui fondi per l’emergenza: questo è il grande business, fatto con i soldi dei contribuenti.
E’ la denuncia dei geologi che sostengono che la geologia ha un ruolo chiave nella mitigazione dei rischi e nella salvaguardia del territorio e soprattutto delle vite umane.
Ma da tempo la sinistra, il Pd se vogliamo essere chiari, non ricerca le cause dei problemi che affliggono il nostro paese, non lo ha come metodo di analisi, studio, lavoro, ma se non si comprendono le cause, i problemi non si risolvono, si gestisce malamente il contingente. Aggiungo che se il PD andasse alla ricerca delle cause, scoprirebbe che tutto questo è frutto del capitalismo rapace, del neoliberismo, libero appunto da regole. O forse ne è consapevole. Ma allora di che sinistra parliamo?
Il presidente della Federazione degli Ordini degli Ingegneri delle Marche l’ing. P. Ubaldi sostiene che nelle Marche sono 238 i comuni a rischio frane e alluvioni, ben il 99% del totale e nelle province di Ancona, Macerata e Pesaro-Urbino il 100% delle amministrazioni comunali sono classificate a rischio, seguono Ascoli con il 97% e Fermo con il 95%; e quando si usa il termine “rischio”, nel gergo dei tecnici, s’intende pericolo per le vite umane.
Già lo scorso novembre 2013 la nostra regione aveva subito danni ingenti per le piogge e in quell’occasione i geologi avevano ancora sollecitato un’urgente manutenzione del territorio.
Nello scorso gennaio 2014, riconosciuto lo stato di emergenza, richiesto dal presidente Spacca, sono stati assegnati alle Marche 15 milioni di euro, da aggiungere ai 20 per l’alluvione del 2011 e la neve del 2012, ancora 10 per l’alluvione del 2012.
Nonostante le alluvioni siano così frequenti, perché bastano qualche giorno di piogge intense a causare esondazioni, la Protezione Civile non ha previsto il potenziale pericolo né a Senigallia, né a Chiaravalle, non ha allertato la popolazione, non ha in nessun modo organizzato un intervento, nonostante la zona fosse monitorata per il rischio fiume Esino e reticoli minori, e così le scuole sono rimaste aperte, e la popolazione ha iniziato la sua giornata “normale” e come a novembre ci sono stati due morti.
Il prezzo dell’emergenza per l’incuria dei nostri amministratori, che sottolineo, è denunciata dai geologi i massimi esperti tecnici in materia, lo pagano i cittadini, ma i governi nazionali invece hanno elargito questi denari “riconoscendo all’amministrazione l’efficacia della metodologia utilizzata per la rilevazione del danno”.
E quei denari c’è il rischio che vengano anche utilizzati per la gestione dei corsi d’acqua per togliere la ghiaia dagli alvei dei fiumi, soluzione considerata dannosa dal geologo Farabollini, che sostiene invece che occorre pianificare urgentemente interventi di pulizia di tutti quei materiali che ostacolano e restringono il deflusso delle acque, senza distruggere la naturalità fluviale; non è vero che i materiali ghiaiosi lungo le aste fluviali siano la causa dell’innalzamento del letto dei fiumi, ma anzi creano barre ed isole ghiaiose che rallentano la piena e i processi di erosione a monte. L’asportazione invece di materiale ghiaioso presente nell’alveo è una pratica impattante nociva al sistema fluviale ed inoltre proprio quel materiale andrebbe riversato sulle nostre coste con le conseguenze che conosciamo.
Sempre il prof. Farabollini ricorda il disastro degli anni ’60 quando le escavazioni della ghiaia negli alvei dei fiumi provocarono danni ai ponti, agli acquedotti, alle canalizzazioni e quanto invece sia necessaria la pulizia dei fiumi da alberi e arbusti che ostruiscono e riducono la sezione fluviale, con un intervento selettivo curato da un agronomo.
Nelle zone ormai antropizzate del territorio, dove sono state cementificate le aree di pertinenza fluviale, il presidente dell’associazione italiana di Geografia fisica e geomorfologica il prof. Gilberto Palombarini sostiene che occorrono studi idrogeologici e idraulici per aumentare le sezioni e le casse di espansione fluviali.
Tutti i tecnici, compreso il presidente dell’ordine dei geologi delle Marche il dott. Andrea Pignocchi, denunciano che per questi interventi, vitali per il nostro territorio, gli enti locali non hanno messo in campo le risorse adeguate e così nessuna seria programmazione di interventi di prevenzione e riduzione del rischio idrogeologico è in atto.
Eppure basterebbe avere memoria degli eventi, come i geologi a convegno riportano per dimostrare le loro tesi, ma invece ci si dimentica subito, una volta esaurito lo spettacolo del disastro sui media, tutto passa: risultato di una società che vive solo l’immanente, pensando che il passato sia una categoria negativa che non ci possa insegnare nulla. Anche questo è frutto cattivo della memoria storica cancellata in nome di un “nuovismo” che ha i peggiori aspetti del passato che si vorrebbe cambiare.
Gli eventi del passato evidenziano anche come tutta l’Italia fosse a rischio anche in tempi in cui non si parlava affatto di cambiamenti climatici in corso e che dimostrano che questi non sono la causa dei disastri ambientali, perché sono invece opera dell’uomo, anzi della speculazione capitalistica, della connivenza delle istituzioni con le organizzazioni criminali, del degrado etico e dell’arroganza del potere politico.
Per questo motivo la nostra regione è vulnerabile, tutta l’Italia è vulnerabile.
Per questo le strategie dovrebbero essere nazionali, perché è l’Italia delle frane da nord a sud, da Courmayeur a quella del centro storico di Agrigento.
Il presidente del Consiglio nazionale dei geologi Gian Vito Graziano afferma che questo è causato dal consumo del suolo, dall’impermeabilizzazione dei terreni, dal disboscamento, dall’abbandono delle campagne da parte degli agricoltori che influiscono sul regime delle acque ed inoltre si è anche costruito su zone esondabili.
Le frane in Italia hanno diverse origini, possono essere innescate anche da eventi sismici e l’Italia ne ha molti.
E’ importante monitorare perché si possono salvare molte vite umane e G.V. Graziano porta l’esempio della frana di Ancona, considerata non esaurita ed ancora attiva e particolarmente profonda.
Il vice presidente del Consiglio Nazionale dei geologi Vittorio D’Oriano e il presidente dei geologi della Sardegna Davide Boneddu affermano, che la disastrosa e tragica alluvione in Sardegna dello scorso novembre, è il risultato dell’espansione urbanistica degli anni ’70 e ’80 che ha invaso le aree fluviali, inglobandole all’interno dell’edificio in totale inosservanza delle tutele dei corsi d’acqua; lo stato di fatto di una rete idrografica urbanizzata, dove gli spazi di pertinenza fluviale sono stati invasi da edifici rende più difficile attuare politiche ed interventi di difesa e manutenzione, perché gli spazi necessari alle manutenzioni sono ormai assenti perchè cementificati.
La messa in sicurezza del nostro territorio, darebbe tantissimo lavoro ovunque per molto tempo e avremmo notevoli risparmi sull’emergenza! Altro che le 80 euro, altro che il job-act!
Chissà che ne pensa il ministro dell’ambiente e tutela del territorio e del mare Galletti, un commercialista di area UDC tutto fare ed onnisciente, visto che ha anche ricoperto l’incarico di sottosegretario all’istruzione con il governo Letta.
Partirà il “Piano Terra Ferma” annunciato da Renzi di 1,5 miliardi da utilizzare per gestire l’emergenza e la prevenzione? E soprattutto verranno ascoltati i geologi? Ci sarà un controllo sulla spesa? o gli amici degli amici come sempre si accaparreranno gli appalti e i nostri denari arricchiranno i soliti ricchi? I comunisti presenti nelle istituzioni devono vigilare e denunciare e questo del dissesto idrogeologico non è che uno dei tanti aspetti dei danni causati all’ambiente del nostro paese.