Amartya Sen, studioso indiano divenuto premio Nobel per l’economia, risulta sicuramente di fede anticomunista oltre ad essere un critico severo del partito comunista cinese.
Tuttavia, dimostrando un’onestà intellettuale assai rara nel fronte anticomunista, ha invitato gli intellettuali e l’opinione pubblica occidentale “A smetterla con l’ossessione dei raffronti sulla crescita economica tra India e Cina”, per paragonare invece questi due paesi su altri fronti: istruzione, salute, longevità. E qui le sorprese sono amare: Sen snocciola dati tutt’altro che positivi per il suo paese. Usando le statistiche imparziali della Banca mondiale e delle Nazioni Unite, ci ricorda che “alla nascita un cinese ha un’aspettativa di vita media di 73 anni e mezzo, un indiano di 64 anni; la mortalità infantile è al 66 per mille in India e solo al 19 per mille in Cina; la mortalità delle madri al parto è 230 ogni 100.000 nascite in India, contro 38 in Cina”. Poi passa il paragone tra i sistemi scolastici: i bambini indiani in media vanno a scuola per soli quattro anni e mezzo, quelli cinesi per sette anni e mezzo; il 74 per cento della popolazione indiana sa leggere e scrivere, ma in Cina la percentuale raggiunge il 94 per cento. Nuova Delhi ha fatto sforzi considerevoli per migliorare l’istruzione delle bambine, e i risultati si vedono: nella generazione tra i 15 e i 24 anni di età il tasso di alfabetizzazione femminile è aumentato molto, raggiungendo l’80 per cento, ma in Cina è al 99 per cento”.
Sono dati di fatto innegabili citati anche in un libro di F. Rampini (“Alla mia Sinistra”, ed. Mondadori), e che dimostrano i risultati indiscutibili raggiunti in campo socioeconomico dalla Cina (prevalentemente) socialista nel corso degli ultimi decenni.