di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
Nel 1972, durante una visita a Pechino, Nixon e Mao siglarono il «Comunicato di Shanghai» che con una formula un poco ambigua – viene definito anche “accordo del disaccordo” – sanciva l’esistenza di una sola Cina con Taiwan come parte di essa. Mentre per nella parte cinese del comunicato si sottolineava che il governo della repubblica popolare è il solo governo legale della Cina e Taiwan è una sua provincia, la cui liberazione è un affare interno, in quella americana gli Usa prendevano atto che su entrambi i lati dello stretto si sostiene che esiste una sola Cina e che Taiwan è parte di essa. Da allora la politica di “una sola Cina” è da considerare una sorta di pietra miliare diplomatica nelle relazioni tra Pechino e Washington e tra Pechino e Taipei. Ma tra quest’ultima e Washington c’è un legame particolare sancito dal “Taiwan Relations Act”, una legge interna del 1979 in base alla quale gli Stati Uniti “considerano ogni tentativo di determinare il futuro di Taiwan con mezzi diversi da quelli pacifici, anche attraverso boicottaggi o embarghi, una minaccia per la pace e la sicurezza nell’area del Pacifico occidentale”. Si è da subito parlato di “ambiguità strategica” in relazione a questa legge del Congresso, perché non prevede espressamente un intervento militare statunitense, senza tuttavia escluderlo a priori. Così, fino ad oggi, è stata la base legale per il rafforzamento militare di Taiwan attraverso la fornitura di armi.
Oggi ad una sorta di “Taiwan Relations act” sta pensando anche il Giappone (ex potenza coloniale nell’isola) nazionalista Abe, anche se in termini non chiaramente militari. Comunque in un quadro nel quale il governo del premier Abe accentua la retorica nazionalista e prospetta una fuoriuscita del Paese dalle strette maglie della Costituzione pacifista, e ambienti della destra giapponese agitano da sempre la causa dell’indipendenza di Taiwan (oltre che di quella dello Xinjiang). Secondo quanto riportato da Kyodo News International, la proposta di legge proviene da una settantina di deputati governativi del Partito liberal-democratico ed ha come obiettivo il rafforzamento delle relazioni economiche e degli scambi personali. La notizia è stata diffusa a pochi giorni dalla fine delle storico incontro tra Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare cinese, e Lien Chan, presidente onorario del Kuomintang, nel corso del quale è stato ribadito il principio di “una sola Cina” e riconfermato l’approccio di Pechino alla riunificazione: il rispetto del sistema economico e politico che si è dato nel corso del tempo il popolo di Taiwan. Non è certo da escludere che in nome dei comuni valori di libertà, democrazia e libero mercato, Tokyo tenti di bloccare il progressivo avvicinamento della “isola ribelle” al continentale Impero di mezzo, fornendo un’alternativa economica, dando una sponda ai timori che una parte non trascurabile della società nutre nei confronti dell’ipotesi di unificazione.
Taiwan rientra a piento titolo, infatti, in quell’arco delle democrazie asiatiche – tra queste l’India – che, agli occhi della leadership del Sol levante, dovrebbe costituire un fronte comune contro le pretese del gigante cinese.