di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
Quando nel gennaio dello scorso anno il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti aveva dato alle stampe un documento sulla revisione della strategia militare per il quale l’obiettivo di “preservare la leadership globale” era direttamente collegato al riequilibrio militare statunitense verso l’Asia-Pacifico, diverse erano state le reazioni di Pechino. Se da una parte si giudicava la revisione una mossa sostanzialmente difensiva, dall’altra – nello specifico le riflessioni sono del generale Luo Yan – si insisteva sul fatto che la Cina popolare dovesse proseguire sulla propria strada: quella dello dello sviluppo economico garantito da un ambiente regionale pacifico. Ma senza cedere di un passo di fronte allo spiegamento – una vera e propria operazione di containment – del dispositivo militare nel proprio cortile di casa. Da qui la necessità – sempre evidenziata da Luo – di modernizzare le forze armate cinesi accelerando lo sviluppo della capacità di “anti-accesso” e di “anti-agressione” 1.
Alla crescente influenza economica e politica della Cina, gli Stati Uniti non avevano altra scelta che quella di una pronta risposta. Lo ha evidenziato, a suo modo, un articolo del The Economist dell’aprile successivo: “Il rafforzamento militare della Cina ha fatto squillare un campanello d’allarme in Asia” e “il nuovo orientamento strategico reso pubblico a gennaio da Obama e dal suo Segretario alla Difesa Leon Panetta ha confermato ciò che già a tutti a Washington sapevano: che il passaggio delle priorità verso l’Asia era in ritardo e in corso. […]. Distratta dalle campagne in Iraq e Afghanistan l’America ha trascurato la regione economicamente più dinamica del mondo. In particolare si è risposto in modo inadeguato alla crescente potenza militare della Cina e al suo protagonismo politico. Secondo alti diplomatici americani la Cina – che ha l’ambizione e sempre più il potere per diventare egemone a livello regionale – è impegnata in uno sforzo volto a tenere l’America fuori da una regione che è stata dichiarata di interesse vitale per la sicurezza da ogni amministrazione a partire da Teddy Roosevelt, e sta attirando nella sua orbita di influenza i Paesi del Sud-est Asiatico. L’America deve rispondere”2. E i termini della risposta sono stati chiariti poco dopo dallo stesso Leon Panetta in occasione dell’11° Asia Security Summit (The Shangri-La Dialogue): nella regione Asia-Pacifico, sempre più centrale per la sicurezza e la prosperità degli Stati Uniti, l’apparato militare “sarà sì più piccolo e più snello, ma sarà agile e flessibile, rapidamente schierabile e utilizzerà tecnologie all’avanguardia. È altrettanto chiaro che, mentre l’esercito americano resterà una forza globale per la sicurezza e la stabilità, ci sarà necessariamente un riequilibrio verso la regione Asia-Pacifico”3.
Nella sua relazione al 18° Congresso del Partito comunista cinese, Hu Jintao – allora nella duplice veste di segretario del Partito comunista e di Presidente della repubblica – aveva messo l’accento sulla modernizzazione e lo sviluppo dell’esercito (Epl) in vista delle nuove sfide e in rapporto al nuovo ruolo – politico ed economico – assunto dalla Cina nel panorama nazionale. Le forze armate cinesi – per le quali è ribadita, in linea con la tradizione maoista, l’assoluta leadership del Partito – hanno come compito essenziale quello di garantire lo sviluppo economico e l’armonia sociale del Paese attraverso una “difesa attiva” capace di fare fronte a diversi scenari, non tutti esclusivamente e classicamente bellici. L’obiettivo principale è quello di “vincere in una guerra locale nell’era della information tecnology”4. Grande importanza veniva riconosciuta al mare, allo spazio e alla sicurezza del cyberspazio.
Per una potenza emergente che resta fedele alla strategia dello sviluppo pacifico, le preoccupazioni principali, dal punto di vista strettamente militare, sono principalmente rivolte alla sicurezza ai propri confini, ma la crescente interdipendenza economica e i sempre più stretti legami a livello globale hanno ampliato dal punto di vista geografico le esigenze di sicurezza cinese: da preservare sono le vie – principalmente quelle marittime – di comunicazione che garantiscono il rifornimento delle risorse energetiche (petrolio in primis). Si deve, infatti, tenere presente che il 70% del petrolio cinese viene importato dal Medio Oriente e dal Nord Africa attraverso il transito sul Mar cinese meridionale e lo stretto di Malacca. Comprensibile è, quindi, la preoccupazione che il ridispiegamento del dispositivo militare Usa possa portare in prospettiva allo strangolamento economico. Alla sicurezza dei confini di una potenza tradizionalmente continentale come il Celeste Impero, si aggiunge quella degli spazi marittimi.
E la Cina, ormai potenza continentale e marittima, ha pubblicato questo mese il nuovo Libro bianco sulla difesa, intitolato “The diversified employement of China’Armed Forces”. La continuità con il discorso e programma di Hu Jintao – come con il precedente documento pubblicato nel 2010 – è evidente e rende chiara la continuità della strategia cinese nel passaggio tra le “generazioni” di governo. Se priorità e principi d’azione, come vedremo, sono confermati, si mostra in tutta la sua evidenza l’impatto dell’escalation di tensioni nella regione dell’Asia-Pacifico seguita al re-engagement statunitense.
Nella parte introduttiva sono ribadite la fedeltà della Cina popolare alla via dello sviluppo pacifico e ad una politica estera di pace e di natura difensiva: ad essere nuovamente rigettata – in linea con la svolta modernizzatrice denghista – è ogni volontà di tendenza egemonica a favore di un concetto di sicurezza che si fonda sulla fiducia reciproca, il mutuo vantaggio, l’uguaglianza e la cooperazione. Se lo sviluppo economico e sociale restano le priorità per un Paese che ancora si definisce in via di sviluppo e alle prese con contraddizioni interne, ne deriva, quindi, la necessità di una politica estera che privilegi un ambiente cooperativo e privo di tensioni. Oltre al classico riferimento ai “Cinque principi della coesistenza pacifica”, si sente l’influenza delle più recenti riflessioni e acquisizioni teoriche uscite dalle stanze del potere cinesi. Tra queste quella della “Convergenza di interessi” lanciata di recente da Zheng Bijian, ex vice-direttore della Scuola centrale del Partito comunista e padre della teorizzazione della “Ascesa pacifica”: compito di Pechino è quello di costruire comunità di interessi, in diversi settori e a diversi livelli, con i suoi vicini e le regioni circostanti, così come con tutti i Paesi e le regioni5.
La decisione di “costruire una forte difesa nazionale e potenti forze armate” è la conseguenza naturale del ruolo crescente svolto dalla Cina a livello internazionale e dell’allargamento dei suoi interessi. All’Esercito popolare di liberazione nel suo complesso sono affidati i seguenti compiti: “la salvaguardia della sovranità nazionale, la sicurezza e l’integrità territoriale e il sostegno allo sviluppo pacifico del Paese. Questo è l’obiettivo degli sforzi della Cina per rafforzare la propria difesa nazionale e la sacra missione delle sue forze armate, come previsto dalla Costituzione della Repubblica popolare cinese e da altre leggi. Le forze armate della Cina devono incrollabilmente attuare una strategia militare di difesa attiva, la guardia e la resistenza all’aggressione, il contenimento delle forze separatiste, la salvaguardia delle frontiere, la sicurezza dell’aria costiera e territoriale, la protezione dei diritti e degli interessi marittimi nazionali e gli interessi nazionali nello spazio e nel cyber spazio”. Tutto questo nel quadro del principio “Noi non attaccheremo a meno che non siamo attaccati, ma contrattaccheremo se attaccati”.
Nella presentazione scenario attuale, caratterizzato dalla intensificazione della tendenza multipolare e della diversità culturale, vengono indicate nella volontà egemonica e nella permanenza di una politica di potenza e di neo-interventismo le cause di un quadro internazionale ancora lontano dall’essere pacifico. Il riferimento tra le righe è chiaro: sotto accusa è la politica condotta dagli Stati Uniti e alleati in Africa e in Medio Oriente (si pensi a quanto avvenuto in Libia e alla aggressioni in atto alla Siria). E il riferimento diventa chiaro quando l’attenzione cade sul “cortile di casa” cinese: “La regione Asia-Pacifico è diventata un palcoscenico sempre più importante per lo sviluppo economico mondiale e l’interazione strategica delle grandi potenze. Gli Stati Uniti stanno adeguando la loro strategia di sicurezza in Asia-Pacifico e il paesaggio regionale sta subendo profondi cambiamenti”. Sotto accusa è la politica a stelle e strisce che ha soffiato – sfruttando e rivitalizzando le tradizionali alleanze – sulle tensioni e le divergenze (soprattutto in materia di rivendicazioni territoriali) presenti nell’area: “Qualche Paese ha rafforzato le proprie alleanze militari in Asia-Pacifico, ha ampliato la propria presenza militare nella regione, e spesso rende la situazione più tesa. Sulle questioni riguardanti la sovranità territoriale della Cina e i diritti e gli interessi marittimi, alcuni Paesi limitrofi stanno prendendo azioni che complicano o esacerbano la situazione, e il Giappone6 sta creando problemi sulla questione delle isole Diaoyu”. A questo si aggiunge il pericolo portato dalle “tre forze”: il terrorismo, il separatismo e il terrorismo, con specifico riferimento a Taiwan dove – si legge nel documento – “le attività delle forze separatiste indipendentiste rappresentano la più grande minaccia per lo sviluppo pacifico delle relazioni tra gli Stretti”. Pericoli tra loro collegati: basti pensare a come i movimenti politici e militari che si richiamano alle minoranze etniche possono diventare il grimaldello per la destabilizzazione del Paese e una delle modalità con le quali si sviluppa il progetto di contenimento anti-cinese. Non sono un segreto i tanti fondi che la NED – vale a dire il Dipartimento di Stato Usa – versa a favore dei tanti movimenti per la libertà del Tibet e del Xinjiang, e gli storici legami tra la destra giapponese e gli indipendentisti di Taiwan.
In linea con la scelta strategica del multilateralismo e dell’azione di collaborazione fra Paesi e aree di civiltà, una parte importante del documento è dedicata agli sforzi e all’impegno cinesi nelle operazioni di mantenimento della pace nell’ambito delle Nazioni Unite. Con i suoi 22mila militari impegnati in 23 missioni di pace Pechino si conferma il più grande contributore di truppe tra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E a dimostrazione tanto delle nuove responsabilità assunte nel quadro internazionale quanto dell’aumento degli interessi nazionali cinesi in tema di risorse e fabbisogno energetico, tra le missioni elencate occupa un posto privilegiato quella svolta dalla marina cinese, con compiti di scorta e anti-pirateria, nel golfo di Aden e nelle acque al largo della Somalia. Da potenza marittima la Cina è attivamente impegnata nella difesa e nella garanzia delle linee marittime strategiche di comunicazione (SLOCs): “I mari e gli oceani forniscono uno spazio immenso e abbondanti risorse per lo sviluppo sostenibile per la Cina e, quindi, sono di vitale importanza per il benessere del popolo e per il futuro della Cina. Utilizzare, proteggere i mari e gli oceani e diventare una potenza marittima è una strategia fondamentale di sviluppo nazionale. Compito importante dell’Epl è quello di salvaguardare risolutamente i diritti e gli interessi marittimi della Cina”.
Come ricordato in precedenza il Libro bianco insiste particolarmente sullo sviluppo delle capacità dell’esercito anche nel campo – assai ampio – delle operazioni in tempo di pace. Un intero capitolo è, così, dedicato ai compiti relativi al sostegno dello sviluppo economico e sociale del Paese in nome del mantenimento dell’”armonia sociale”. Compiti che possiamo classificare come politici e di supporto alle azioni messe in campo dal Partito comunista e dal governo della Repubblica popolare: l’accento è messo sulla lotta alla povertà, sulla costruzione di infrastrutture locali come di rilevanza nazionale, costruzione e sviluppo di nuove aree rurali, la promozione del progresso ecologico e la tutela dell’ambiente.
Alla luce con le prospettive indicate nel Libro bianco vanno, quindi, inquadrate e interpretate le azioni e le dinamiche che si sviluppano nell’Asia-Pacifico, anche per prepararsi ad una probabile nuova stagione di “guerra fredda” in un teatro sempre più strategico per il futuro delle relazioni internazionali. Il dispiegamento, nei giorni stessi della pubblicazione, di missili da parte di Pechino dei missili anti-nave DF 21D – missili la cui natura è essenzialmente difensiva – è stata subito interpretata come una minaccia cinese. Ma di che minaccia si tratta? Ce lo spiega un articolo del Financial Times: “il missile limita la capacità degli Stati Uniti di inviare navi nello stretto di Taiwan come fatto nel 1996”7. E’ evidente: ad essere sussunto nella categoria di “minaccia” è il tentativo di tenere lontano dalle proprie coste la più potente macchina di guerra esistente che non disdegna l’aggressione militare come via per sbarazzarsi delle potenze non allineate.
NOTE
1Si veda “La nuova strategia militare Usa vista da Pechino”, Simone Dossi, Orizzonte Cina, febbraio 2012. Si veda anche Willy Lam, “Beijing laces up the foreign-policy gloves”, www.asiatimes.com, 28 giugno 2012.
2“The Dragon’s new Teeth”, The Economist, 7 aprile 2012.
3The Shangri-La Dialogue – First Plenary Session, “The Us Rebalance Towards the Asia-Pacific”, Leon Panetta, 2 giugno 2012.
4Il discorso completo in inglese è consultabile all’indirizzo http://english.people.com.cn/102774/8024787.html
5Per questo aspetto rimando al mio “Cina: sviluppo pacifico e convergenza di interessi”, www.marx21.it
6Oltre alla menzione speciale al Giappone, il riferimento va allargato a Filippine e Vietnam come specificato dall’esperto militare cinese Ni Lexiong. Si veda “Beijing lays out security priorities in defence white paper” in South China Morning Post, 17 aprile 2013.
7“China deploys anti-ship missile off Taiwan“, Financial Times, 19 aprile 2013