Sbugiardato il rapporto del New York Times sul ‘lavoro degli Uiguri

xinjiang cinadi Liu Xin e Yin Yeping

da https://www.globaltimes.cn

traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it

con questo articolo il Global Times ha risposto ad una ‘inchiesta’ del New York Times che denunciava il ‘lavoro forzato’ nello Xinjiang. Questa ‘inchiesta’ è solo l’ennesima montatura figlia dell’isteria anti-cinese


“Si tratta di un altro lavoro che intreccia interpretazioni di parte con materiali non verificati”, hanno detto gli esperti, in risposta all'”inchiesta” del New York Times che ha affermato che gli Uiguri dello Xinjiang cinese sono inviati a fare maschere facciali contro la loro volontà. I residenti dello Xinjiang, gli studiosi e gli addetti ai lavori dell’industria delle maschere facciali raggiunti dal Global Times hanno affermato che il rapporto è l’ultima versione ipocrita e bugiarda del “lavoro forzato” nello Xinjiang, che mira ad attaccare l’industria cinese dei dispositivi di protezione personale. 

Il video è stato pubblicato sullo sfondo di “se indossare una maschera”, un metodo che si è dimostrato efficace per prevenire la diffusione del COVID-19 in molti paesi, ma che è stato strumentalizzato dai politici statunitensi. Gli esperti hanno detto che il rapporto del NYT potrebbe fuorviare gli americani, dando a chi non è d’accordo con l’uso delle mascherine una scusa, complicando la lotta contro il virus negli Stati Uniti.

Il video dell'”indagine” del NYT è stato pubblicato domenica. Sostiene che mentre le aziende cinesi si affrettano a produrre strumenti per la protezione personale, lo Xinjiang sta inviando Uiguri e altre minoranze etniche nelle fabbriche. Ha rintracciato due aziende nelle province dello Hubei e dello Jiangxi che hanno dipendenti nello Xinjiang ed ha sottolineato che i prodotti delle aziende sono stati spediti negli Stati Uniti. 

Il video del NYT estrae filmati e immagini per lo più da notizie diffuse dai media locali dello Xinjiang, dai giornali come l’Hubei Daily e da altri media locali dello Jiangxi. Alla fine del video sono state aggiunte anche immagini di strutture di sorveglianza, un video di quello che sembrava essere il trasferimento dei detenuti e accuse di usare il “lavoro forzato” nello Xinjiang per l’industria tessile.

“Questo è un altro lavoro intrecciato con interpretazioni di parte e materiali non verificati”. Alcuni media occidentali “trovano” solo materiali che si adattano alle loro previsioni o ai loro scopi”, ha detto al Global Times Mao Junxiang, direttore esecutivo e professore del Human Rights Studies Center alla Central South University.

Tutto ciò allo scopo di diffamare le politiche di riduzione della povertà della Cina nello Xinjiang, poiché il trasferimento di manodopera in eccedenza nello Xinjiang è un modo importante per aumentare i redditi dei residenti locali. I governi locali nello Xinjiang stanno offrendo informazioni sull’occupazione, comunicazione e formazione ai residenti che vogliono lavorare al di fuori dello Xinjiang. I governanti stanno garantendo ai residenti il diritto al lavoro, ha detto Mao. 

Le cosiddette accuse sul lavoro forzato nello Xinjiang hanno volutamente trascurato la volontà dei residenti dello Xinjiang di lavorare e di perseguire una vita migliore, ha detto Zhu Ying, vice direttore della National Human Rights Education and Training Base della Southwest University of Political Science and Law, al Global Times. 

La scuola di Zhu ha condotto un sondaggio nello Xinjiang che ha mostrato che la maggior parte degli intervistati è disposta a lavorare al di fuori dello Xinjiang, dato che gli stipendi in molte città dell’entroterra sono più alti e i loro figli possono avere un’istruzione migliore.

L'”indagine” del NYT non ha mostrato alcuna intervista a nessuno che lavori nelle fabbriche di cui ha parlato. Inoltre il Global Times ha trovato anche i rapporti originali che raccontavano una storia completamente diversa.

Per esempio il NYT ha notato che gli Uiguri sono stati inviati a Songzi nello Hubei, per lavorare presso l’azienda di forniture sanitarie Haixin. Il rapporto è stato redatto dal Jingzhou Daily il 5 dicembre, che ha dichiarato che 132 donne Uigure sono arrivate in azienda e vi hanno vissuto felicemente. Una ragazza di nome Mekrem proveniente da una famiglia povera di Moyu, nella prefettura di Hotan. Il nuovo stile di vita la incoraggia a fare più soldi e ad andare all’università. 

Zhu ha detto che il rapporto attacca l’industria cinese dei dispositivi di protezione personale e spinge gli Stati Uniti ad aumentare i prezzi delle importazioni o anche a sequestrare le attrezzature con la scusa della “macchia dei diritti umani”.

I media statunitensi all’inizio di luglio hanno riferito che, i funzionari delle dogane e della protezione delle frontiere degli Stati Uniti hanno trattenuto una spedizione di quasi 13 tonnellate di parrucche e altri prodotti per capelli, sospettati di essere stati fabbricati attraverso il “lavoro forzato” nello Xinjiang.

Poiché gli Stati Uniti si trovano ad affrontare una situazione epidemica in peggioramento e un’enorme richiesta di dispositivi di protezione personale, potrebbero prendere misure contro i prodotti cinesi, usando i “diritti umani” ed il “lavoro forzato” come scuse, impadronendosi dei prodotti cinesi e aggredendo le aziende cinesi, ha detto Zhu. 

Gli Stati Uniti stanno politicizzando il business, questo è spudorato ed infondato. Dimostra anche l’assoluta ignoranza del senso comune dell’industria delle mascherine, ha detto al Global Times Bai Yu, presidente del Medical Appliances Branch della China Medical Pharmaceutical Material Association.

Alcuni funzionari statunitensi pensano che stiamo usando manodopera a basso costo, ma più del 90% delle nostre linee di produzione sono completamente automatizzate e non richiedono molti lavoratori. Il costo della manodopera rappresenta solo una piccola frazione del costo di una mascherina, ha detto Bai. 

“Gli Stati Uniti ignorano completamente l’ambiente legale e il sistema di lavoro della Cina. Il loro modo di pensare sulla produzione e sulla gestione sembra essere bloccato ai giorni della schiavitù nella loro oscura storia”.

Bai ha notato che circa l’80 per cento delle mascherine nel mondo sono di fabbricazione cinese e che prima dell’epidemia erano circa il 50 per cento. Abbiamo già fornito miliardi di maschere agli Stati Uniti. In passato, il governo statunitense non ha chiesto di indossare mascherine perché la fornitura era inadeguata, ma ora è una questione politica se non ne richiedono l’uso.

“Le fabbriche cinesi non sono particolarmente interessate agli ordini provenienti dagli Stati Uniti, perché i produttori di mascherine cinesi, soprattutto quelli qualificati per l’esportazione, non devono vendere agli Stati Uniti, quando possono vendere ad altri paesi senza pregiudizi politici sui fornitori e sui prodotti cinesi. Quindi, in questo caso, sono gli Stati Uniti che vengono a chiederci le mascherine, non noi che chiediamo i loro ordini”, ha detto Bai.