Report a cura di Andrea Catone
Parte I
Dopo Parigi e Barcellona si è tenuto sabato 15 ottobre a Roma, il convegno su “La via cinese e il contesto internazionale”, titolo italiano per il “III Forum europeo” promosso dall’Accademia del marxismo presso l’Accademia cinese di Scienze sociali (CASS nell’acronimo inglese), incentrato su “Cinque concetti di sviluppo – innovazione, armonizzazione, equilibrio ecologico, apertura e condivisione – e la Via Cinese”.
Il convegno è stato co-organizzato in Italia dall’associazione “Marx XXI” e dalle Edizioni MarxVentuno. Ha registrato un notevole successo di partecipazione con una sala (150 posti a sedere) gremita di persone interessate e attente: studentesse e studenti, giovani ricercatori di scienze politiche e di storia, politica e cultura cinese, intellettuali marxisti e militanti comunisti (tra cui la compagna Rossana Platone, che – con le sue traduzioni dal russo delle opere di Lenin – ha dato a più di una generazione la possibilità di formarsi su testi fondamentali del marxismo), attivisti dei movimenti antimperialisti e contro la guerra, studiosi di geopolitica…
Il successo di partecipazione attiva, certo non scontato per chi conosce la situazione di Roma e per la concomitanza di diverse altre iniziative politico-culturali, premia il lavoro certosino, svolto con poverissimi mezzi, dei compagni italiani che da alcuni mesi si sono impegnati alla preparazione del convegno, in collegamento con i compagni cinesi, in particolare con la compagna Kaixuan, che, come negli scorsi anni, è stata un tramite prezioso con la direttrice Lv Weizhou e il presidente Deng Chundong.
Ma tale successo è indubbiamente dovuto all’impostazione che al convegno italiano hanno inteso dare gli organizzatori dell’associazione Marx XXI e della casa editrice della rivista “MarxVentuno” (Andrea Catone, direttore di MarxVentuno e Francesco Maringiò, pubblicista, consulente per l’internazionalizzazione e studioso del partito comunista cinese, i quali, già dal I forum del 2014, sono i principali organizzatori; Domenico Losurdo, presidente dell’associazione “Marx XXI”; Diego Angelo Bertozzi, autore del recentissimo Cina da ‘sabbia informe’ a potenza globale, Fausto Sorini, del direttivo di Marx XXI ed esponente del comitato “No guerra No Nato”; Mauro Gemma, direttore del sito www.marx21.it; Vladimiro Giacché, vicepresidente di “Marx XXI” e presidente del “Centro Europa Ricerche”; Demostenes Floros, collaboratore della rivista di geopolitica Limes; Marco Pondrelli, studioso di politica internazionale; con gli utili suggerimenti di Manlio Dinucci, autore de L’arte della guerra ed esponente del comitato “No guerra No Nato”).
Tra i diversi e interessanti temi proposti dall’Accademia di marxismo cinese per questo III Forum europeo, abbiamo infatti scelto di dedicare una parte significativa del convegno al tema dei rapporti internazionali e del ruolo che la RPC assume in essi, nella lotta per la pace, per un nuovo ordine mondiale basato sul multilateralismo, il rispetto della sovranità nazionale, la non ingerenza negli affari interni, la cooperazione con reciproco vantaggio, contro la rapina imperialistica e il neocolonialismo.
È un tema particolarmente attuale. In una situazione già molto grave di “guerra mondiale a pezzetti”, come la definisce papa Francesco, si aggiunge la decisione del governo italiano di inviare in Lettonia, ai confini della Russia, un contingente militare nell’ambito di una missione NATO: un ulteriore passo nella politica di provocazione e pressione verso la Russia, colpevole di non piegarsi ai diktat della Nato e di svolgere una politica estera indipendente (cfr. in proposito il quaderno speciale di MarxVentuno, n. 1-2/2016 su “Imperialismo e guerre nel XXI secolo).
Come ha chiarito sinteticamente ed efficacemente Manlio Dinucci: «Usa e Nato hanno fatto esplodere la crisi ucraina e, accusando la Russia di “destabilizzare la sicurezza europea”, hanno trascinato l’Europa in una nuova guerra fredda, voluta soprattutto da Washington (a spese delle economie europee danneggiate dalle sanzioni e controsanzioni) per spezzare i rapporti economici e politici Russia-Ue dannosi per gli interessi statunitensi. Nella stessa strategia rientra il crescente spostamento di forze militari Usa nella regione Asia/Pacifico in funzione anticinese».
Avere piena consapevolezza della posta in gioco, dei rischi gravissimi per l’umanità cui porta la politica di Usa e Nato pone anche il grande tema della costruzione di un ampio fronte di lotta per la pace, contro l’unipolarismo Usa. In funzione di ciò, abbiamo lavorato per estendere la partecipazione al convegno a quanti, contro il mainstream imposto dai grandi media “embedded”, svolgono un prezioso lavoro di corretta informazione sulle questioni internazionali, come fa Giulietto Chiesa attraverso Pandora TV. Il quale, nel suo intervento, ha sottolineato le potenzialità per il futuro dell’umanità di un’alleanza strategica tra la Russia – il più esteso paese al mondo, con le maggiori riserve energetiche, con un potenziale militare nucleare in grado di fronteggiare gli Usa – e la Cina popolare, il più popoloso paese al mondo, con uno straordinario potenziale economico, capace di contrastare l’egemonia del dollaro e di creare alternative concrete alle istituzioni finanziarie da esso dominate. È un potenziale fondamentale per fermare le attuali tendenze guerrafondaie e distruttive che fanno capo agli USA e all’Occidente e disegnare un altro futuro per l’umanità.
Abbiamo altresì coinvolto in questo Forum esponenti di forze politiche che hanno manifestato una posizione critica nei confronti dell’imperialismo USA e della NATO e che si pongono su un terreno di dialogo costruttivo con la RPC nella comune ottica di un mondo non unipolare. Particolarmente interessante è risultata in proposito la relazione di Manlio Di Stefano, deputato del M5S, una forza politica che ha ottenuto nelle ultime elezioni un quarto dei consensi. «Crediamo sia giunto il momento – egli ha detto – di muoverci anche in Europa nella direzione intrapresa dalla Cina e dai Brics per la costruzione di un sistema internazionale che rispetti, al contrario del sistema di “sicurezza occidentale” dagli anni ‘90 in poi, i principi fondanti il diritto internazionale: il rispetto della sovranità territoriale e popolare, l’autodeterminazione dei popoli, la non ingerenza negli affari interni degli altri Stati, il multilateralismo economico». L’unipolarismo americano “che ha prodotto solo guerre, distruzione e caos” può essere arginato con la cooperazione tra i paesi BRICS. Un ruolo fondamentale può svolgere il «progetto cinese enunciato dal presidente Xi Jinping “One belt one road”, il più grande progetto di infrastrutture pubbliche della storia moderna per migliorare i rapporti economici e politici con l’Asia Centrale, il Medio Oriente e l’Europa per costruire potenti infrastrutture che collegano Europa meridionale e Asia».
Un quadro complessivo della situazione mondiale oggi è stato altresì fornito dalla articolata relazione di Fausto Sorini, che ha alle spalle una lunga frequentazione con le commissioni esteri dei principali partiti e movimenti comunisti nel mondo. Qui egli ha aggiornato una puntuale analisi, pubblicata sulle pagine di MarxVentuno e nel sito (La situazione politica mondiale nel 2016. Alcune chiavi di lettura). E conclude il suo intervento: “Anche la minaccia e l’utilizzo dell’Isis, che non esisterebbe senza la copertura di una parte dell’establishment Usa, serve non solo per colpire i Paesi su cui gli Usa e i loro alleati vogliono mettere le mani (Siria, Libia, Egitto, Algeria..), ma serve anche – si pensi agli attentati terroristici di Parigi o in altre città europee – per spaventare l’opinione pubblica del continente, e in nome della ‘guerra al terrorismo’ indurla a ricercare negli Usa e nella Nato gli unici, credibili protettori della propria ‘sicurezza’. L’Isis serve anche a ricattare – con una strategia della tensione di portata mondiale – le classi dirigenti di quei Paesi europei che fossero tentate di fare passi avanti sul terreno della cooperazione euro-asiatica, a scapito del legame transatlantico e della subalternità agli Usa. Nei Paesi dell’Unione europea si gioca dunque una partita importante dell’equilibro mondiale: se alcuni di essi si emancipassero dalla gabbia di Euro-America (la NATO), l’oltranzismo Usa ne riceverebbe un duro colpo. E ne uscirebbe rafforzata una prospettiva di cooperazione pacifica e multipolare”.
Il breve ma intenso saluto al convegno di Alfredo Viloria, rappresentante dell’ambasciata della Repubblica bolivariana del Venezuela, si riallaccia alle tematiche dell’aggressione dell’imperialismo USA in America Latina e al suo tentativo di colpire i BRICS, col rovesciamento del governo di Dilma Rousseff e l’assedio economico, politico, culturale nei confronti del Venezuela chavista, che è stato, insieme con Cuba, il perno del cambiamento progressista nel subcontinente americano. È di particolare importanza che tenga il fronte di resistenza venezuelano e si ampli la solidarietà attiva dei movimenti politici e dei popoli impegnati nella lotta di emancipazione.
Un saluto al convegno, esprimendo condivisione con la linea del PCC, è stato portato dal segretario del PCI Mauro Alboresi, mentre Giuseppe Angiuli, a nome di “Risorgimento socialista”, ha salutato il convegno, dichiarandosi in sintonia con la visione dei BRICS quale contraltare all’unipolarismo Usa-Nato.
La Ue e i rapporti Cina-Ue
La Ue e i rapporti Cina-Ue sono stati particolareggiatamente esaminati nel convegno. Zhang Xinping, vice presidente della Scuola di Marxismo dell’Università di Lanzhou, ha esordito sul tema delle «Nuove relazioni tra Cina e Ue», divenute sempre più ampie, strategiche e stabili negli ultimi 40 anni, da quando la Cina ha stabilito nel 1975 relazioni diplomatiche con la CE, predecessore della UE. Il modo in cui si sviluppa il rapporto Cina-Ue può significativamente influenzare la tendenza delle relazioni internazionali. Nel 2014 il presidente Xi nel suo viaggio in Europa è arrivato a un accordo con i leader della UE sulla “costruzione di quattro ponti: pace, sviluppo, riforma e progresso della civiltà, sì che il partenariato strategico globale Cina-UE assumerà ancor più rilevanza mondiale”. Il riconoscimento e il mutuo rispetto della storia e civiltà dei due soggetti, dell’autonoma via di sviluppo scelta da ciascuno, della sovranità nazionale, è alla base della strategia cinese di collaborazione e partnership con la Ue. Le opportunità di sviluppo sono notevoli e la positiva accoglienza alla proposta cinese di una nuova “via della seta”, One Belt One Road lo conferma. Zhang ritiene che la nuova modalità di relazioni tra Cina e Ue, basata sul dialogo e il partenariato di contro alla contrapposizione, può incontrare gli interessi a lungo termine dei due soggetti, trovando un terreno di intesa reciproco, mantenendo le differenze.
Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca anche la relazione di Silvia Menegazzi, che svolge un progetto di ricerca sui rapporti Cina-Ue all’Università LUISS “Guido Carli” di Roma ed è collaboratrice della testata online Cinaforum. Ella ha posto la questione di una possibile partnership globale tra Cina ed Unione Europea, che giocano un ruolo strategico nel contesto delle relazioni internazionali. Entrambi gli attori sono il risultato di un cambiamento (post-egemonico) del sistema internazionale in precedenza a guida esclusivamente statunitense. Nel 2015 l’UE e la Cina hanno celebrato i 40 anni di relazioni diplomatiche; tuttavia, più volte le due parti hanno riscontrato divergenze su molti dei temi concernenti la governance globale, dalla questione dei diritti umani alle controversie nel WTO fino a questioni quali sovranità e dispute territoriali. Nonostante l’aumentata istituzionalizzazione di incontri ufficiali di alto livello (tre i pilastri: il dialogo politico, il dialogo economico e settoriale e dialogo culturale people-to-people) stabiliti tra le due parti, governo Cinese e istituzioni europee sono consapevoli della necessità di dover compiere ancora un passo importante: l’evoluzione della partnership strategica da meramente economica a sempre più politica. Da un punto di vista squisitamente economico, la Cina resta infatti il primo partner commerciale della UE (mentre l’UE è il secondo partner commerciale della Cina, secondo solo agli Stati Uniti). La partnership economica è sempre più importante, e le relazioni commerciali sempre più interdipendenti. Tuttavia, esiste la necessità di creare una conoscenza condivisa tra le due parti su alcune questioni concernenti la sicurezza internazionale, con la consapevolezza che sfide globali necessitano soluzioni globali.
La relazione del professor Zhang non elude la questione delle divergenze ideologiche e politiche: come paese socialista, la Cina sottolinea sempre l’indipendenza, il rispetto reciproco, la difesa della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale, mentre la UE, “unione politico-economica dei paesi capitalisti”, insiste sui “diritti umani” e la “democrazia occidentale” (quella stessa nel cui nome sono state bombardate Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia…). Tale “divergenza ideologica” – continua Zhang – “ostacola l’ulteriore approfondimento delle relazioni Cina-UE”. Le quali si imbattono in un’ulteriore difficoltà che deriva dalla struttura stessa della Ue, i cui processi decisionali, soprattutto in campo diplomatico e politico, sono notevolmente più lenti di quelli della RPC, che è uno stato unitario. Ma è soprattutto un altro fattore che può minare le relazioni Cina-Ue: l’intervento di “potenze esterne”, che, “considerando i propri interessi geopolitici e geo-economici potrebbero ostacolare l’ulteriore sviluppo delle relazioni Cina-UE”.
Ed è proprio sul ruolo delle “potenze esterne” che esordisce la relazione di Manlio Dinucci, sul “ruolo di USA e NATO nel rapporto della Ue con la Cina”: Non si può parlare di relazioni tra Unione europea e Cina indipendentemente dall’influenza che gli Stati uniti esercitano sull’Unione europea, direttamente e tramite la Nato. Oggi 22 dei 28 paesi della Ue (21 su 27 dopo l’uscita della Gran Bretagna dalla UE), con oltre il 90% della popolazione dell’Unione, fanno parte della Nato, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva». E la Nato è sotto comando Usa: il Comandante supremo alleato in Europa viene sempre nominato dal Presidente degli Stati uniti d’America e sono in mano agli Usa tutti gli altri comandi chiave. La politica estera e militare dell’Unione europea è quindi fondamentalmente subordinata alla strategia statunitense, su cui convergono le maggiori potenze europee. Per mantenere la loro supremazia, sempre più vacillante, gli Stati uniti usano non solo la forza delle armi, ma altre armi spesso più efficaci di quelle propriamente dette. Tra esse, i cosiddetti «accordi di libero scambio», come il «Partenariato transatlantico su commercio e investimenti» (TTIP) tra Usa e Ue e il «Partenariato Trans-Pacifico» (TPP), il cui scopo non è solo economico ma geopolitico e geostrategico. Per questo Hillary Clinton definisce il partenariato Usa-Ue «maggiore scopo strategico della nostra alleanza transatlantica», prospettando una «Nato economica» che integri quella politica e militare. Il progetto è chiaro: formare un blocco politico, economico e militare Usa-Ue, sempre sotto comando statunitense, che si contrapponga all’area eurasiatica in ascesa, basata sulla cooperazione tra Cina e Russia, che si contrapponga ai Brics, all’Iran e a qualunque altro paese si sottragga al dominio dell’Occidente.
Sul versante dell’analisi marxista dei rapporti economici (che sono sempre rapporti sociali) tra Cina e Ue si colloca la relazione di Vladimiro Giacché, che esordisce “smontando” la Ue: “l’Unione Europea non è un’unione politica. Non solo: anche considerata da un punto di vista economico, non è un’entità monolitica, ma un aggregato con forti differenziazioni interne: economiche e conseguentemente di interessi. Queste differenze, paradossalmente, si sono accentuate a causa dell’integrazione monetaria, che ha comportato una sempre maggiore divergenza economica (e quindi divaricazione di interessi) tra i paesi che ne fanno parte. Inoltre, la stessa integrazione europea è un’integrazione a cerchi concentrici (area dell’euro e paesi membri dell’Ue che hanno mantenuto le monete nazionali), cosa che ovviamente determina asimmetrie nelle relazioni commerciali con l’esterno. Ma l’aspetto cruciale è un altro ancora: le dinamiche interne dell’Unione sono scarsamente leggibili in termini di prospettiva. Se ancora qualche anno fa la prospettiva di una sempre più stretta integrazione era considerata un destino, un futuro inevitabile, oggi essa è messa sempre più in dubbio: la Brexit ne rappresenta la prova (e forse segna un punto di non ritorno)”. Nella Ue è oggi in atto un confronto tra Stati e una guerra tra capitali. In questo contesto, lo Stato più forte, la Germania, avvolge i propri interessi nella bandiera europea. Oggi la Germania è in grado di controllare e dirigere i processi attraverso le istituzioni dell’Unione Europea e si oppone perciò a relazioni bilaterali della Cina con singoli paesi della Ue, cosa che invece, secondo Giacché, è nell’interesse della Cina, che dovrebbe rafforzare le relazioni bilaterali con i diversi Stati della UE, evitando un asse privilegiato con il più forte di essi, la Germania. Al contrario, saranno vantaggiose tutte le iniziative economiche che giovino al riequilibrio economico all’interno dell’Eurozona (in particolare Investimenti Diretti Esteri e partenariati con gli Stati oggi più deboli). E lo saranno nei diversi scenari possibili: da un lato esse offrono il migliore contributo oggi possibile alla stabilità dell’Eurozona (ossia al ristabilimento di un equilibrio di forze al suo interno), dall’altro consentono alla Cina di porsi nella posizione migliore per affrontare le conseguenze di una possibile rottura dell’area monetaria dell’euro.
E a queste conclusioni che pongono come strategicamente utili rapporti bilaterali tra RPC e paesi della Ue, si ricollega l’intervento di Pasquale Cicalese, focalizzato sulle relazioni economiche tra Cina e Italia. Egli sottolinea come durante la crisi del debito del 2011, contrariamente ai partner europei, le cui banche vendevano massicciamente titoli di stato italiani, la Cina interveniva per calmare la tempesta finanziaria che stava colpendo l’Italia. Il suo intervento fu finalizzato a stabilizzare i corsi dei titoli di stato italiani e a ridurre lo spread con i Bund tedeschi. Il Governatore della People’s Bank of China, la banca centrale cinese, Zhu Xiaochuan, il 22 gennaio 2015, in occasione del Forum di Davos, dichiarò: “deteniamo asset italiani, tra azioni e titoli di stato, pari a 100 miliardi di euro e continueremo a comprare”. Si presume che la Cina detenga non meno di 130 miliardi di euro di titoli di stato italiani, quasi il 27% del debito pubblico italiano detenuto da operatori finanziari esteri. La People’s Bank of China detiene poi partecipazioni minoritarie in primarie banche italiane e in importanti gruppi industriali come Telecom, Fiat, Saipem, Eni, Enel, Generali e Prysmian. Dunque, da una parte la Cina si presenta come scudo finanziario per l’Italia, dall’altra offre ad essa la possibilità di fuoriuscire dalle secche della depressione economica. Saprà la classe dirigente italiana cogliere questa opportunità?
Nei loro interventi Dinucci, Chiesa, Sorini, tutti e tre esponenti del comitato No guerra No Nato (che tiene la sua assemblea nazionale sabato 22 ottobre a Firenze) hanno messo in luce un aspetto della politica imperialista, accentuatosi e perfezionatosi nel tempo: la penetrazione nei paesi bersaglio per disgregarli dall’interno, facendo leva, tra le altre cose, sui problemi delle nazionalità, soffiando sul separatismo etnico. Sono riusciti così a disgregare l’Unione Sovietica, la Repubblica federativa jugoslava, ci hanno provato, senza successo però, con la RPC, con il separatismo tibetano (quante ong e quante campagne mediatiche a sostegno del reazionario Dalai Lama!) e quello uiguro dello Xinquiang (su cui si è soffermato anche l’intervento di Emiliano Alessandroni).
La relazione di Chen Yalian (ricercatore associato all’Accademia del Marxismo, e con una notevole esperienza di lavoro sui problemi etnici e una permanenza di alcuni anni in Tibet) sulla politica delle nazionalità del PCC dopo il 18° Congresso (2012) si inserisce quindi molto opportunamente in questo contesto e chiarisce quale sia la strada intrapresa dai comunisti cinesi per rafforzare – anche alla luce delle esperienze e delle lezioni tratte dalla dissoluzione dell’Urss – la coesione dello stato cinese e non prestare il fianco alle manovre disgregatrici dell’imperialismo. Xi Jinping ribadisce nella Conferenza sulle questioni etnico-nazionali del settembre 2014 la correttezza della forma di stato adottata nel 1949 con la nascita della Repubblica Popolare: diversamente dall’URSS e dalla Jugoslavia, la RPC è uno stato unitario che valorizza le minoranze nazionali attraverso la costituzione di regioni autonome (per cui, per intenderci, non è applicabile il principio do otdelenija, “fino alla separazione”, vigente per le repubbliche sovietiche o jugoslave). Il modello sovietico fu ritenuto già da Mao e poi da Deng non applicabile alla situazione concreta della Cina. La pratica ha dimostrato che l’autonomia regionale è in linea con le condizioni nazionali della Cina, mantiene l’unità nazionale e l’integrità territoriale, rafforza l’uguaglianza e promuove lo sviluppo delle aree etniche, migliorando la coesione della nazione cinese.
Il principio guida è l’uguaglianza di tutti i gruppi etnici, e perché questo non sia solo una vuota frase, la politica del governo cinese mira a superare le differenze nello sviluppo economico e culturale tra le diverse regioni. Nel Rapporto sullo sviluppo nazionale della Cina (2015) è detto che nel periodo 2006-2013, il PIL totale del paese ha avuto un incremento medio annuo del 10,08%; nelle regioni autonome è stato invece del 13,08%, superiore al tasso di crescita medio nazionale di 3 punti percentuali. Tuttavia, il divario è ancora grande rispetto alle aree sviluppate e il livello di sviluppo economico è ancora basso. Per questo, il PCC pone l’obiettivo di “procedere a passi da gigante” nello sviluppo delle minoranze nazionali. Ciò sarà favorito dalla costruzione della Zona economica della via della Seta, che includerà Shaanxi, Gansu, Ningxia, Qinghai, Xinjiang. Lo sviluppo deve procedere tanto sul piano materiale che su quello culturale. La politica culturale del governo cinese rispetto alle diverse nazionalità e gruppi etnici è volta a costruire una comune cultura della RPC, che ponga alla base i valori fondamentali del socialismo (sui quali cfr. anche la relazione di Sun Yequing) e che non si identifichi solo con quella Han, ma rappresenti le culture di tutte le etnie e nazionalità.
In qualche modo legato alle questioni internazionali è un altro importante gruppo tematico del convegno, dedicato ad una questione attualissima: come si configura il cyberspazio? Chi ne possiede effettivamente le chiavi? Chi lo governa? Si può stabilire una governante internazionale? È possibile difendere la sovranità nazionale nella rete?
Si tratta di un discorso strategico, che riguarda il futuro di tutti noi. I ricercatori cinesi e della CASS sono da tempo giustamente impegnati nello studio di questo e hanno presentato ben tre relazioni nel corso del convegno: Taxiyana, dell’Istituto degli Studi sulle Informazioni dell’Accademia delle Scienze Sociali Cinese, direttrice editoriale (La sovranità di rete e la nuova configurazione della governance internazionale)Yang Jinwei, dell’Accademia delle Scienze Sociali dello Shandong, direttore dell’ufficio di studi sulle politiche, ricercatore (Comunità di destino del Cyberspazio e governance internazionale di internet) e Liang Junlan, dell’Istituto degli Studi sulle Informazioni dell’Accademia delle Scienze Sociali Cinese, direttrice dell’ufficio di studi (Il percorso internazionale di difesa della sovranità di rete). Con essi ha interloquito la relazione di Francesco Maringiò, consulente per l’internazionalizzazione, studioso di geopolitica della Cina: Internet e la rivoluzione tecnologica creeranno un nuovo capitalismo?
Torneremo in modo dettagliato nella seconda parte di questo report con le sintesi degli interventi su questo gruppo tematico, come faremo anche per l’altro gruppo di questioni legate più direttamente al tema della “via cinese”, del “socialismo con caratteristiche cinesi”, del “socialismo di mercato” e alle questioni culturali e ideologiche con esso tema strettamente connesse.
Ha avviato le danze l’intervento via skype (purtroppo interrottosi a metà: unico incidente tecnico di una giornata in cui – grazie ai tecnici, ma soprattutto alla bravura degli interpreti, Liu Hongbo e Qi Yule, che ringraziamo vivamente – ha funzionato perfettamente la traduzione simultanea) di Diego Angelo Bertozzi, pubblicista, storico, collaboratore della rivista MarxVentuno, che ha voluto conservare il titolo del suo recente importante libro (le cui copie presenti al convegno sono andate a ruba) Cina. Da “sabbia informe” a potenza globale. Li Jianguo, dell’Accademia del Marxismo presso la CASS, ricercatore associato ha dissertato sulle Origini delle influenze internazionali sul socialismo con caratteristiche cinesi, cui è seguita la relazione di Andrea Catone, direttore della rivista MarxVentuno, coordinatore del programma del Forum sul tema Transizione al socialismo, nuova cultura, egemonia. Va sottolineato in proposito il ruolo che la grande elaborazione gramsciana sull’ideologia, la nuova cultura e l’egemonia degli scritti precarcerari e dei Quaderni del carcere può avere nella fase attuale di transizione che attraversa la RPC. Nel suo significativo saluto al convegno, il presidente della Fondazione Gramsci Silvio Pons ha voluto rimarcare che Antonio Gramsci è l’autore italiano del XX secolo maggiormente tradotto nel mondo; anche in Cina è in programma la pubblicazione integrale dei Quaderni, e ciò costituisce indubbiamente uno straordinario evento culturale. Le relazioni di Alexander Hoebel, storico, del Comitato scientifico di Marx XXI (Alcuni aspetti del rapporto tra rivoluzione cinese e comunismo italiano); Meng Chunli, Vice Presidente dell’Associazione delle Scienze Sociali di Pechino, Caporedattore (Nutrire i valori fondamentali socialisti con le culture tradizionali migliori cinesi); Emiliano Alessandroni, dottore di ricerca in Studi interculturali europei, Università di Urbino (L’Occidente arretrato e l’Oriente avanzato); Sun Yeqing, Scuola di Partito del Comitato Municipale di Shanghai («Identificare il punto focale per promuovere l’integrazione dei valori fondamentali socialisti nella vita sociale); Fosco Giannini, responsabile Esteri PCI, direttivo associazione Marx XXI (Nep sovietica e “Nep cinese”).
È stato su quest’ultimo importante gruppo tematico (in merito al quale si può leggere utilmente il volume appena uscito degli Atti del II Forum europeo del 2015 La “Via Cinese”. Realizzazioni, cause, problemi, soluzioni, che contiene la traduzione integrale di 13 relazioni di studiosi cinesi ed è stato presentato e donato in apertura di convegno al presidente dell’Accademia di marxismo Deng Chundong) che si è principalmente concentrato il dibattito pomeridiano, con interventi che hanno spaziato dalle modalità del percorso di transizione (con un intervento critico sul mantenimento del lavoro salariato) al rapporto proprietà statale/proprietà privata, fino al ruolo di Chu Enlai e al modo in cui se ne onora la memoria nella Cina d’oggi. Nel tracciare le conclusioni, i due presidenti, Deng Chundong e Domenico Losurdo, i quali avevano anche aperto i lavori al mattino con due intensi interventi, si sono concentrati, da un lato, nella risposta e chiarimenti su alcune questioni poste dal dibattito (Deng in particolare ha ribadito il ruolo dirigente e strategico del settore pubblico rispetto al privato, così come Losurdo aveva rimarcato che la borghesia nella Cina popolare rimane espropriata del potere politico); dall’altro, nel sintetizzare i grandi e complessi temi trattati nel forum, elogiando l’elevato livello critico e scientifico delle numerose e intense relazioni (valutazione – come abbiamo potuto constatare dai numerosi messaggi pervenutici – unanimemente condivisa da tutti i partecipanti al forum). Deng ha lanciato sin da ora la proposta di nuovi incontri in Italia. Un suggerimento che ci viene da alcuni e che condividiamo è che si potrebbe sviluppare un Forum itinerante tra le principali città italiane, coinvolgendo università e centri culturali, con un’approfondita relazione-lezione introduttiva di due-tre studiosi cinesi e un ampio e articolato dibattito.
Un ringraziamento particolare per la riuscita del convegno è doveroso rivolgere ai compagni Vladimiro Vaia, Dario Gemma, Mariella Cataldo che si sono impegnati nelle operazioni di accoglienza e registrazione dei partecipanti, facendo sì che i lavori potessero svolgersi nel modo più ordinato e proficuo, come è di fatti accaduto.
La seconda parte sarà pubblicata nei prossimi giorni. Sul sito verranno altresì pubblicate le relazioni definitive presentate al convegno. In attesa della traduzione e sistemazione redazionale delle relazioni degli studiosi cinesi, cominciamo con la pubblicazione dei testi degli studiosi italiani.
La “Via Cinese” e il contesto internazionale
Report a cura di Andrea Catone.
Parte I
Dopo Parigi e Barcellona si è tenuto sabato 15 ottobre a Roma, il convegno su “La via cinese e il contesto internazionale”, titolo italiano per il “III Forum europeo” promosso dall’Accademia del marxismo presso l’Accademia cinese di Scienze sociali (CASS nell’acronimo inglese), incentrato su “Cinque concetti di sviluppo – innovazione, armonizzazione, equilibrio ecologico, apertura e condivisione – e la Via Cinese”.
Il convegno è stato co-organizzato in Italia dall’associazione “Marx XXI” e dalle Edizioni MarxVentuno. Ha registrato un notevole successo di partecipazione con una sala (150 posti a sedere) gremita di persone interessate e attente: studentesse e studenti, giovani ricercatori di scienze politiche e di storia, politica e cultura cinese, intellettuali marxisti e militanti comunisti (tra cui la compagna Rossana Platone, che – con le sue traduzioni dal russo delle opere di Lenin – ha dato a più di una generazione la possibilità di formarsi su testi fondamentali del marxismo), attivisti dei movimenti antimperialisti e contro la guerra, studiosi di geopolitica…
Il successo di partecipazione attiva, certo non scontato per chi conosce la situazione di Roma e per la concomitanza di diverse altre iniziative politico-culturali, premia il lavoro certosino, svolto con poverissimi mezzi, dei compagni italiani che da alcuni mesi si sono impegnati alla preparazione del convegno, in collegamento con i compagni cinesi, in particolare con la compagna Kaixuan, che, come negli scorsi anni, è stata un tramite prezioso con la direttrice Lv Weizhou e il presidente Deng Chundong.
Ma tale successo è indubbiamente dovuto all’impostazione che al convegno italiano hanno inteso dare gli organizzatori dell’associazione Marx XXI e della casa editrice della rivista “MarxVentuno” (Andrea Catone, direttore di MarxVentuno e Francesco Maringiò, pubblicista, consulente per l’internazionalizzazione e studioso del partito comunista cinese, i quali, già dal I forum del 2014, sono i principali organizzatori; Domenico Losurdo, presidente dell’associazione “Marx XXI”; Diego Angelo Bertozzi, autore del recentissimo Cina da ‘sabbia informe’ a potenza globale, Fausto Sorini, del direttivo di Marx XXI ed esponente del comitato “No guerra No Nato”; Mauro Gemma, direttore del sito www.marx21.it; Vladimiro Giacché, vicepresidente di “Marx XXI” e presidente del “Centro Europa Ricerche”; Demostenes Floros, collaboratore della rivista di geopolitica Limes; Marco Pondrelli, studioso di politica internazionale; con gli utili suggerimenti di Manlio Dinucci, autore de L’arte della guerra ed esponente del comitato “No guerra No Nato”).
Tra i diversi e interessanti temi proposti dall’Accademia di marxismo cinese per questo III Forum europeo, abbiamo infatti scelto di dedicare una parte significativa del convegno al tema dei rapporti internazionali e del ruolo che la RPC assume in essi, nella lotta per la pace, per un nuovo ordine mondiale basato sul multilateralismo, il rispetto della sovranità nazionale, la non ingerenza negli affari interni, la cooperazione con reciproco vantaggio, contro la rapina imperialistica e il neocolonialismo.
È un tema particolarmente attuale. In una situazione già molto grave di “guerra mondiale a pezzetti”, come la definisce papa Francesco, si aggiunge la decisione del governo italiano di inviare in Lettonia, ai confini della Russia, un contingente militare nell’ambito di una missione NATO: un ulteriore passo nella politica di provocazione e pressione verso la Russia, colpevole di non piegarsi ai diktat della Nato e di svolgere una politica estera indipendente (cfr. in proposito il quaderno speciale di MarxVentuno, n. 1-2/2016 su “Imperialismo e guerre nel XXI secolo).
Come ha chiarito sinteticamente ed efficacemente Manlio Dinucci: «Usa e Nato hanno fatto esplodere la crisi ucraina e, accusando la Russia di “destabilizzare la sicurezza europea”, hanno trascinato l’Europa in una nuova guerra fredda, voluta soprattutto da Washington (a spese delle economie europee danneggiate dalle sanzioni e controsanzioni) per spezzare i rapporti economici e politici Russia-Ue dannosi per gli interessi statunitensi. Nella stessa strategia rientra il crescente spostamento di forze militari Usa nella regione Asia/Pacifico in funzione anticinese».
Avere piena consapevolezza della posta in gioco, dei rischi gravissimi per l’umanità cui porta la politica di Usa e Nato pone anche il grande tema della costruzione di un ampio fronte di lotta per la pace, contro l’unipolarismo Usa. In funzione di ciò, abbiamo lavorato per estendere la partecipazione al convegno a quanti, contro il mainstream imposto dai grandi media “embedded”, svolgono un prezioso lavoro di corretta informazione sulle questioni internazionali, come fa Giulietto Chiesa attraverso Pandora TV. Il quale, nel suo intervento, ha sottolineato le potenzialità per il futuro dell’umanità di un’alleanza strategica tra la Russia – il più esteso paese al mondo, con le maggiori riserve energetiche, con un potenziale militare nucleare in grado di fronteggiare gli Usa – e la Cina popolare, il più popoloso paese al mondo, con uno straordinario potenziale economico, capace di contrastare l’egemonia del dollaro e di creare alternative concrete alle istituzioni finanziarie da esso dominate. È un potenziale fondamentale per fermare le attuali tendenze guerrafondaie e distruttive che fanno capo agli USA e all’Occidente e disegnare un altro futuro per l’umanità.
Abbiamo altresì coinvolto in questo Forum esponenti di forze politiche che hanno manifestato una posizione critica nei confronti dell’imperialismo USA e della NATO e che si pongono su un terreno di dialogo costruttivo con la RPC nella comune ottica di un mondo non unipolare. Particolarmente interessante è risultata in proposito la relazione di Manlio Di Stefano, deputato del M5S, una forza politica che ha ottenuto nelle ultime elezioni un quarto dei consensi. «Crediamo sia giunto il momento – egli ha detto – di muoverci anche in Europa nella direzione intrapresa dalla Cina e dai Brics per la costruzione di un sistema internazionale che rispetti, al contrario del sistema di “sicurezza occidentale” dagli anni ‘90 in poi, i principi fondanti il diritto internazionale: il rispetto della sovranità territoriale e popolare, l’autodeterminazione dei popoli, la non ingerenza negli affari interni degli altri Stati, il multilateralismo economico». L’unipolarismo americano “che ha prodotto solo guerre, distruzione e caos” può essere arginato con la cooperazione tra i paesi BRICS. Un ruolo fondamentale può svolgere il «progetto cinese enunciato dal presidente Xi Jinping “One belt one road”, il più grande progetto di infrastrutture pubbliche della storia moderna per migliorare i rapporti economici e politici con l’Asia Centrale, il Medio Oriente e l’Europa per costruire potenti infrastrutture che collegano Europa meridionale e Asia».
Un quadro complessivo della situazione mondiale oggi è stato altresì fornito dalla articolata relazione di Fausto Sorini, che ha alle spalle una lunga frequentazione con le commissioni esteri dei principali partiti e movimenti comunisti nel mondo. Qui egli ha aggiornato una puntuale analisi, pubblicata sulle pagine di MarxVentuno e nel sito (La situazione politica mondiale nel 2016. Alcune chiavi di lettura). E conclude il suo intervento: “Anche la minaccia e l’utilizzo dell’Isis, che non esisterebbe senza la copertura di una parte dell’establishment Usa, serve non solo per colpire i Paesi su cui gli Usa e i loro alleati vogliono mettere le mani (Siria, Libia, Egitto, Algeria..), ma serve anche – si pensi agli attentati terroristici di Parigi o in altre città europee – per spaventare l’opinione pubblica del continente, e in nome della ‘guerra al terrorismo’ indurla a ricercare negli Usa e nella Nato gli unici, credibili protettori della propria ‘sicurezza’. L’Isis serve anche a ricattare – con una strategia della tensione di portata mondiale – le classi dirigenti di quei Paesi europei che fossero tentate di fare passi avanti sul terreno della cooperazione euro-asiatica, a scapito del legame transatlantico e della subalternità agli Usa. Nei Paesi dell’Unione europea si gioca dunque una partita importante dell’equilibro mondiale: se alcuni di essi si emancipassero dalla gabbia di Euro-America (la NATO), l’oltranzismo Usa ne riceverebbe un duro colpo. E ne uscirebbe rafforzata una prospettiva di cooperazione pacifica e multipolare”.
Il breve ma intenso saluto al convegno di Alfredo Viloria, rappresentante dell’ambasciata della Repubblica bolivariana del Venezuela, si riallaccia alle tematiche dell’aggressione dell’imperialismo USA in America Latina e al suo tentativo di colpire i BRICS, col rovesciamento del governo di Dilma Rousseff e l’assedio economico, politico, culturale nei confronti del Venezuela chavista, che è stato, insieme con Cuba, il perno del cambiamento progressista nel subcontinente americano. È di particolare importanza che tenga il fronte di resistenza venezuelano e si ampli la solidarietà attiva dei movimenti politici e dei popoli impegnati nella lotta di emancipazione.
Un saluto al convegno, esprimendo condivisione con la linea del PCC, è stato portato dal segretario del PCI Mauro Alboresi, mentre Giuseppe Angiuli, a nome di “Risorgimento socialista”, ha salutato il convegno, dichiarandosi in sintonia con la visione dei BRICS quale contraltare all’unipolarismo Usa-Nato.
La Ue e i rapporti Cina-Ue
La Ue e i rapporti Cina-Ue sono stati particolareggiatamente esaminati nel convegno. Zhang Xinping, vice presidente della Scuola di Marxismo dell’Università di Lanzhou, ha esordito sul tema delle «Nuove relazioni tra Cina e Ue», divenute sempre più ampie, strategiche e stabili negli ultimi 40 anni, da quando la Cina ha stabilito nel 1975 relazioni diplomatiche con la CE, predecessore della UE. Il modo in cui si sviluppa il rapporto Cina-Ue può significativamente influenzare la tendenza delle relazioni internazionali. Nel 2014 il presidente Xi nel suo viaggio in Europa è arrivato a un accordo con i leader della UE sulla “costruzione di quattro ponti: pace, sviluppo, riforma e progresso della civiltà, sì che il partenariato strategico globale Cina-UE assumerà ancor più rilevanza mondiale”. Il riconoscimento e il mutuo rispetto della storia e civiltà dei due soggetti, dell’autonoma via di sviluppo scelta da ciascuno, della sovranità nazionale, è alla base della strategia cinese di collaborazione e partnership con la Ue. Le opportunità di sviluppo sono notevoli e la positiva accoglienza alla proposta cinese di una nuova “via della seta”, One Belt One Road lo conferma. Zhang ritiene che la nuova modalità di relazioni tra Cina e Ue, basata sul dialogo e il partenariato di contro alla contrapposizione, può incontrare gli interessi a lungo termine dei due soggetti, trovando un terreno di intesa reciproco, mantenendo le differenze.
Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca anche la relazione di Silvia Menegazzi, che svolge un progetto di ricerca sui rapporti Cina-Ue all’Università LUISS “Guido Carli” di Roma ed è collaboratrice della testata online Cinaforum. Ella ha posto la questione di una possibile partnership globale tra Cina ed Unione Europea, che giocano un ruolo strategico nel contesto delle relazioni internazionali. Entrambi gli attori sono il risultato di un cambiamento (post-egemonico) del sistema internazionale in precedenza a guida esclusivamente statunitense. Nel 2015 l’UE e la Cina hanno celebrato i 40 anni di relazioni diplomatiche; tuttavia, più volte le due parti hanno riscontrato divergenze su molti dei temi concernenti la governance globale, dalla questione dei diritti umani alle controversie nel WTO fino a questioni quali sovranità e dispute territoriali. Nonostante l’aumentata istituzionalizzazione di incontri ufficiali di alto livello (tre i pilastri: il dialogo politico, il dialogo economico e settoriale e dialogo culturale people-to-people) stabiliti tra le due parti, governo Cinese e istituzioni europee sono consapevoli della necessità di dover compiere ancora un passo importante: l’evoluzione della partnership strategica da meramente economica a sempre più politica. Da un punto di vista squisitamente economico, la Cina resta infatti il primo partner commerciale della UE (mentre l’UE è il secondo partner commerciale della Cina, secondo solo agli Stati Uniti). La partnership economica è sempre più importante, e le relazioni commerciali sempre più interdipendenti. Tuttavia, esiste la necessità di creare una conoscenza condivisa tra le due parti su alcune questioni concernenti la sicurezza internazionale, con la consapevolezza che sfide globali necessitano soluzioni globali.
La relazione del professor Zhang non elude la questione delle divergenze ideologiche e politiche: come paese socialista, la Cina sottolinea sempre l’indipendenza, il rispetto reciproco, la difesa della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale, mentre la UE, “unione politico-economica dei paesi capitalisti”, insiste sui “diritti umani” e la “democrazia occidentale” (quella stessa nel cui nome sono state bombardate Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia…). Tale “divergenza ideologica” – continua Zhang – “ostacola l’ulteriore approfondimento delle relazioni Cina-UE”. Le quali si imbattono in un’ulteriore difficoltà che deriva dalla struttura stessa della Ue, i cui processi decisionali, soprattutto in campo diplomatico e politico, sono notevolmente più lenti di quelli della RPC, che è uno stato unitario. Ma è soprattutto un altro fattore che può minare le relazioni Cina-Ue: l’intervento di “potenze esterne”, che, “considerando i propri interessi geopolitici e geo-economici potrebbero ostacolare l’ulteriore sviluppo delle relazioni Cina-UE”.
Ed è proprio sul ruolo delle “potenze esterne” che esordisce la relazione di Manlio Dinucci, sul “ruolo di USA e NATO nel rapporto della Ue con la Cina”: Non si può parlare di relazioni tra Unione europea e Cina indipendentemente dall’influenza che gli Stati uniti esercitano sull’Unione europea, direttamente e tramite la Nato. Oggi 22 dei 28 paesi della Ue (21 su 27 dopo l’uscita della Gran Bretagna dalla UE), con oltre il 90% della popolazione dell’Unione, fanno parte della Nato, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva». E la Nato è sotto comando Usa: il Comandante supremo alleato in Europa viene sempre nominato dal Presidente degli Stati uniti d’America e sono in mano agli Usa tutti gli altri comandi chiave. La politica estera e militare dell’Unione europea è quindi fondamentalmente subordinata alla strategia statunitense, su cui convergono le maggiori potenze europee. Per mantenere la loro supremazia, sempre più vacillante, gli Stati uniti usano non solo la forza delle armi, ma altre armi spesso più efficaci di quelle propriamente dette. Tra esse, i cosiddetti «accordi di libero scambio», come il «Partenariato transatlantico su commercio e investimenti» (TTIP) tra Usa e Ue e il «Partenariato Trans-Pacifico» (TPP), il cui scopo non è solo economico ma geopolitico e geostrategico. Per questo Hillary Clinton definisce il partenariato Usa-Ue «maggiore scopo strategico della nostra alleanza transatlantica», prospettando una «Nato economica» che integri quella politica e militare. Il progetto è chiaro: formare un blocco politico, economico e militare Usa-Ue, sempre sotto comando statunitense, che si contrapponga all’area eurasiatica in ascesa, basata sulla cooperazione tra Cina e Russia, che si contrapponga ai Brics, all’Iran e a qualunque altro paese si sottragga al dominio dell’Occidente.
Sul versante dell’analisi marxista dei rapporti economici (che sono sempre rapporti sociali) tra Cina e Ue si colloca la relazione di Vladimiro Giacché, che esordisce “smontando” la Ue: “l’Unione Europea non è un’unione politica. Non solo: anche considerata da un punto di vista economico, non è un’entità monolitica, ma un aggregato con forti differenziazioni interne: economiche e conseguentemente di interessi. Queste differenze, paradossalmente, si sono accentuate a causa dell’integrazione monetaria, che ha comportato una sempre maggiore divergenza economica (e quindi divaricazione di interessi) tra i paesi che ne fanno parte. Inoltre, la stessa integrazione europea è un’integrazione a cerchi concentrici (area dell’euro e paesi membri dell’Ue che hanno mantenuto le monete nazionali), cosa che ovviamente determina asimmetrie nelle relazioni commerciali con l’esterno. Ma l’aspetto cruciale è un altro ancora: le dinamiche interne dell’Unione sono scarsamente leggibili in termini di prospettiva. Se ancora qualche anno fa la prospettiva di una sempre più stretta integrazione era considerata un destino, un futuro inevitabile, oggi essa è messa sempre più in dubbio: la Brexit ne rappresenta la prova (e forse segna un punto di non ritorno)”. Nella Ue è oggi in atto un confronto tra Stati e una guerra tra capitali. In questo contesto, lo Stato più forte, la Germania, avvolge i propri interessi nella bandiera europea. Oggi la Germania è in grado di controllare e dirigere i processi attraverso le istituzioni dell’Unione Europea e si oppone perciò a relazioni bilaterali della Cina con singoli paesi della Ue, cosa che invece, secondo Giacché, è nell’interesse della Cina, che dovrebbe rafforzare le relazioni bilaterali con i diversi Stati della UE, evitando un asse privilegiato con il più forte di essi, la Germania. Al contrario, saranno vantaggiose tutte le iniziative economiche che giovino al riequilibrio economico all’interno dell’Eurozona (in particolare Investimenti Diretti Esteri e partenariati con gli Stati oggi più deboli). E lo saranno nei diversi scenari possibili: da un lato esse offrono il migliore contributo oggi possibile alla stabilità dell’Eurozona (ossia al ristabilimento di un equilibrio di forze al suo interno), dall’altro consentono alla Cina di porsi nella posizione migliore per affrontare le conseguenze di una possibile rottura dell’area monetaria dell’euro.
E a queste conclusioni che pongono come strategicamente utili rapporti bilaterali tra RPC e paesi della Ue, si ricollega l’intervento di Pasquale Cicalese, focalizzato sulle relazioni economiche tra Cina e Italia. Egli sottolinea come durante la crisi del debito del 2011, contrariamente ai partner europei, le cui banche vendevano massicciamente titoli di stato italiani, la Cina interveniva per calmare la tempesta finanziaria che stava colpendo l’Italia. Il suo intervento fu finalizzato a stabilizzare i corsi dei titoli di stato italiani e a ridurre lo spread con i Bund tedeschi. Il Governatore della People’s Bank of China, la banca centrale cinese, Zhu Xiaochuan, il 22 gennaio 2015, in occasione del Forum di Davos, dichiarò: “deteniamo asset italiani, tra azioni e titoli di stato, pari a 100 miliardi di euro e continueremo a comprare”. Si presume che la Cina detenga non meno di 130 miliardi di euro di titoli di stato italiani, quasi il 27% del debito pubblico italiano detenuto da operatori finanziari esteri. La People’s Bank of China detiene poi partecipazioni minoritarie in primarie banche italiane e in importanti gruppi industriali come Telecom, Fiat, Saipem, Eni, Enel, Generali e Prysmian. Dunque, da una parte la Cina si presenta come scudo finanziario per l’Italia, dall’altra offre ad essa la possibilità di fuoriuscire dalle secche della depressione economica. Saprà la classe dirigente italiana cogliere questa opportunità?
Nei loro interventi Dinucci, Chiesa, Sorini, tutti e tre esponenti del comitato No guerra No Nato (che tiene la sua assemblea nazionale sabato 22 ottobre a Firenze) hanno messo in luce un aspetto della politica imperialista, accentuatosi e perfezionatosi nel tempo: la penetrazione nei paesi bersaglio per disgregarli dall’interno, facendo leva, tra le altre cose, sui problemi delle nazionalità, soffiando sul separatismo etnico. Sono riusciti così a disgregare l’Unione Sovietica, la Repubblica federativa jugoslava, ci hanno provato, senza successo però, con la RPC, con il separatismo tibetano (quante ong e quante campagne mediatiche a sostegno del reazionario Dalai Lama!) e quello uiguro dello Xinquiang (su cui si è soffermato anche l’intervento di Emiliano Alessandroni).
La relazione di Chen Yalian (ricercatore associato all’Accademia del Marxismo, e con una notevole esperienza di lavoro sui problemi etnici e una permanenza di alcuni anni in Tibet) sulla politica delle nazionalità del PCC dopo il 18° Congresso (2012) si inserisce quindi molto opportunamente in questo contesto e chiarisce quale sia la strada intrapresa dai comunisti cinesi per rafforzare – anche alla luce delle esperienze e delle lezioni tratte dalla dissoluzione dell’Urss – la coesione dello stato cinese e non prestare il fianco alle manovre disgregatrici dell’imperialismo. Xi Jinping ribadisce nella Conferenza sulle questioni etnico-nazionali del settembre 2014 la correttezza della forma di stato adottata nel 1949 con la nascita della Repubblica Popolare: diversamente dall’URSS e dalla Jugoslavia, la RPC è uno stato unitario che valorizza le minoranze nazionali attraverso la costituzione di regioni autonome (per cui, per intenderci, non è applicabile il principio do otdelenija, “fino alla separazione”, vigente per le repubbliche sovietiche o jugoslave). Il modello sovietico fu ritenuto già da Mao e poi da Deng non applicabile alla situazione concreta della Cina. La pratica ha dimostrato che l’autonomia regionale è in linea con le condizioni nazionali della Cina, mantiene l’unità nazionale e l’integrità territoriale, rafforza l’uguaglianza e promuove lo sviluppo delle aree etniche, migliorando la coesione della nazione cinese.
Il principio guida è l’uguaglianza di tutti i gruppi etnici, e perché questo non sia solo una vuota frase, la politica del governo cinese mira a superare le differenze nello sviluppo economico e culturale tra le diverse regioni. Nel Rapporto sullo sviluppo nazionale della Cina (2015) è detto che nel periodo 2006-2013, il PIL totale del paese ha avuto un incremento medio annuo del 10,08%; nelle regioni autonome è stato invece del 13,08%, superiore al tasso di crescita medio nazionale di 3 punti percentuali. Tuttavia, il divario è ancora grande rispetto alle aree sviluppate e il livello di sviluppo economico è ancora basso. Per questo, il PCC pone l’obiettivo di “procedere a passi da gigante” nello sviluppo delle minoranze nazionali. Ciò sarà favorito dalla costruzione della Zona economica della via della Seta, che includerà Shaanxi, Gansu, Ningxia, Qinghai, Xinjiang. Lo sviluppo deve procedere tanto sul piano materiale che su quello culturale. La politica culturale del governo cinese rispetto alle diverse nazionalità e gruppi etnici è volta a costruire una comune cultura della RPC, che ponga alla base i valori fondamentali del socialismo (sui quali cfr. anche la relazione di Sun Yequing) e che non si identifichi solo con quella Han, ma rappresenti le culture di tutte le etnie e nazionalità.
In qualche modo legato alle questioni internazionali è un altro importante gruppo tematico del convegno, dedicato ad una questione attualissima: come si configura il cyberspazio? Chi ne possiede effettivamente le chiavi? Chi lo governa? Si può stabilire una governante internazionale? È possibile difendere la sovranità nazionale nella rete?
Si tratta di un discorso strategico, che riguarda il futuro di tutti noi. I ricercatori cinesi e della CASS sono da tempo giustamente impegnati nello studio di questo e hanno presentato ben tre relazioni nel corso del convegno: Taxiyana, dell’Istituto degli Studi sulle Informazioni dell’Accademia delle Scienze Sociali Cinese, direttrice editoriale (La sovranità di rete e la nuova configurazione della governance internazionale) Yang Jinwei, dell’Accademia delle Scienze Sociali dello Shandong, direttore dell’ufficio di studi sulle politiche, ricercatore (Comunità di destino del Cyberspazio e governance internazionale di internet) e Liang Junlan, dell’Istituto degli Studi sulle Informazioni dell’Accademia delle Scienze Sociali Cinese, direttrice dell’ufficio di studi (Il percorso internazionale di difesa della sovranità di rete). Con essi ha interloquito la relazione di Francesco Maringiò, consulente per l’internazionalizzazione, studioso di geopolitica della Cina: Internet e la rivoluzione tecnologica creeranno un nuovo capitalismo?
Torneremo in modo dettagliato nella seconda parte di questo report con le sintesi degli interventi su questo gruppo tematico, come faremo anche per l’altro gruppo di questioni legate più direttamente al tema della “via cinese”, del “socialismo con caratteristiche cinesi”, del “socialismo di mercato” e alle questioni culturali e ideologiche con esso tema strettamente connesse.
Ha avviato le danze l’intervento via skype (purtroppo interrottosi a metà: unico incidente tecnico di una giornata in cui – grazie ai tecnici, ma soprattutto alla bravura degli interpreti, Liu Hongbo e Qi Yule, che ringraziamo vivamente – ha funzionato perfettamente la traduzione simultanea) di Diego Angelo Bertozzi, pubblicista, storico, collaboratore della rivista MarxVentuno, che ha voluto conservare il titolo del suo recente importante libro (le cui copie presenti al convegno sono andate a ruba) Cina. Da “sabbia informe” a potenza globale. Li Jianguo, dell’Accademia del Marxismo presso la CASS, ricercatore associato ha dissertato sulle Origini delle influenze internazionali sul socialismo con caratteristiche cinesi, cui è seguita la relazione di Andrea Catone, direttore della rivista MarxVentuno, coordinatore del programma del Forum sul tema Transizione al socialismo, nuova cultura, egemonia. Va sottolineato in proposito il ruolo che la grande elaborazione gramsciana sull’ideologia, la nuova cultura e l’egemonia degli scritti precarcerari e dei Quaderni del carcere può avere nella fase attuale di transizione che attraversa la RPC. Nel suo significativo saluto al convegno, il presidente della Fondazione Gramsci Silvio Pons ha voluto rimarcare che Antonio Gramsci è l’autore italiano del XX secolo maggiormente tradotto nel mondo; anche in Cina è in programma la pubblicazione integrale dei Quaderni, e ciò costituisce indubbiamente uno straordinario evento culturale. Le relazioni di Alexander Hoebel, storico, del Comitato scientifico di Marx XXI (Alcuni aspetti del rapporto tra rivoluzione cinese e comunismo italiano); Meng Chunli, Vice Presidente dell’Associazione delle Scienze Sociali di Pechino, Caporedattore (Nutrire i valori fondamentali socialisti con le culture tradizionali migliori cinesi); Emiliano Alessandroni, dottore di ricerca in Studi interculturali europei, Università di Urbino (L’Occidente arretrato e l’Oriente avanzato); Sun Yeqing, Scuola di Partito del Comitato Municipale di Shanghai («Identificare il punto focale per promuovere l’integrazione dei valori fondamentali socialisti nella vita sociale); Fosco Giannini, responsabile Esteri PCI, direttivo associazione Marx XXI (Nep sovietica e “Nep cinese”).
È stato su quest’ultimo importante gruppo tematico (in merito al quale si può leggere utilmente il volume appena uscito degli Atti del II Forum europeo del 2015 La “Via Cinese”. Realizzazioni, cause, problemi, soluzioni, che contiene la traduzione integrale di 13 relazioni di studiosi cinesi ed è stato presentato e donato in apertura di convegno al presidente dell’Accademia di marxismo Deng Chundong) che si è principalmente concentrato il dibattito pomeridiano, con interventi che hanno spaziato dalle modalità del percorso di transizione (con un intervento critico sul mantenimento del lavoro salariato) al rapporto proprietà statale/proprietà privata, fino al ruolo di Chu Enlai e al modo in cui se ne onora la memoria nella Cina d’oggi. Nel tracciare le conclusioni, i due presidenti, Deng Chundong e Domenico Losurdo, i quali avevano anche aperto i lavori al mattino con due intensi interventi, si sono concentrati, da un lato, nella risposta e chiarimenti su alcune questioni poste dal dibattito (Deng in particolare ha ribadito il ruolo dirigente e strategico del settore pubblico rispetto al privato, così come Losurdo aveva rimarcato che la borghesia nella Cina popolare rimane espropriata del potere politico); dall’altro, nel sintetizzare i grandi e complessi temi trattati nel forum, elogiando l’elevato livello critico e scientifico delle numerose e intense relazioni (valutazione – come abbiamo potuto constatare dai numerosi messaggi pervenutici – unanimemente condivisa da tutti i partecipanti al forum). Deng ha lanciato sin da ora la proposta di nuovi incontri in Italia. Un suggerimento che ci viene da alcuni e che condividiamo è che si potrebbe sviluppare un Forum itinerante tra le principali città italiane, coinvolgendo università e centri culturali, con un’approfondita relazione-lezione introduttiva di due-tre studiosi cinesi e un ampio e articolato dibattito.
Un ringraziamento particolare per la riuscita del convegno è doveroso rivolgere ai compagni Vladimiro Vaia, Dario Gemma, Mariella Cataldo che si sono impegnati nelle operazioni di accoglienza e registrazione dei partecipanti, facendo sì che i lavori potessero svolgersi nel modo più ordinato e proficuo, come è di fatti accaduto.
La seconda parte sarà pubblicata nei prossimi giorni. Sul sito verranno altresì pubblicate le relazioni definitive presentate al convegno. In attesa della traduzione e sistemazione redazionale delle relazioni degli studiosi cinesi, cominciamo con la pubblicazione dei testi degli studiosi italiani.