Quando il “dissidente” non piace a noi…

di Angelo Diego Bertozzi | da www.linkiesta.it

In un editoriale apparso su China.org – e rilanciato anche sul Quotidiano del popolo – Xu Peixi – professore esperto di comunicazione dell’Università della Cina di Pechino – ha dato il suo benvenuto particolare ad Edward Snowden, la “talpa” più ricercata al mondo per aver rivelato l’esistenza di un vasto programma di spionaggio (PRISM) sulle comunicazioni digitali che ha coinvolto anche Hong Kong e la Cina continentale: “Prima di tutto il caso Snowden offre a noi la rara possibilità di riesaminare l’integrità dei politici americani e dei manager delle più importanti aziende internet, e così ci pare evidente che mentre molte di queste persone attaccano le altre nazioni in nome della libertà e della democrazia, ignorano il peggioramento in questi campi in America.” (1).


Se le autorità cinesi non hanno ancora preso una posizione ufficiale sulla questione e preferiscono una certa discrezione, sulla stampa ufficiale non sono però mancati interventi che hanno messo in evidenza la “doppia morale” e l’ipocrisia degli Usa nel campo delle libertà. Già perché la critica solitamente rivolta ai Paesi stranieri è ora sostituita dalla strenua difesa dei propri programmi di cyber-spionaggio e dall’accusa di tradimento.

Strani scherzi della storia: non era prerogativa dei regimi totalitari e liberticidi quella di bollare i dissidenti come traditori, magari al soldo del nemico? Ed ora che compare sulla scena un dissidente che denuncia l’attacco alle libertà nel Paese faro dell’Occidente democratico che facciamo? Semplice: si prende la via della persecuzione legale in nome della sicurezza e della difesa dal terrorismo. Ma queste spiegazioni non erano patrimonio degli ultimi ostinati feudi totalitari (quasi tutti comunisti) e solitamente bollate come propaganda di bassa lega? Che sarebbe successo se la rivelazione fosse, invece, arrivata da una spia cinese riparatasi a Portorico? Facile da immaginare: oggi avremmo una nuova icona della lotta per la libertà.

In effetti ce l’abbiamo, ma il problema è che si trova nella parte sbagliata del globo, non nell’armonioso e libero villaggio degli Hobbit, ma nella malefica Mordor: a dare il benvenuto al nuovo “Mr. Whistleblower” come coraggioso difensore delle libertà è stata, infatti, la Cina. Un “benvenuto” macchiato dal bieco interesse delle autorità di Pechino che non aspettavano altro – o addirittura hanno ordito il complotto per rovinare la festa ad Obama in vista dell’incontro con Xi Jinping? – che una simile occasione per rispedire al mittente la consueta paternale su diritti e democrazia? Può darsi, e non ci sarebbe certo da scandalizzarsi: chi semina vento raccoglie tempesta, recita un vecchio adagio.

Ma la solidarietà all’ex analista della Cia arriva anche dalla tanto glorificata società civile di Hong Kong che di certo non è tra le più sintonizzate sulle lunghezze d’onda di Zhongnanhai: secondo un sondaggio del South China Morning Post ben il 50% degli intervistati non vuole che Snowden sia consegnato agli Usa nel caso arrivasse una richiesta in tal senso alle autorità locali. Per il 33% degli intervistati si tratta di un eroe, mentre solo il 12,8% lo ha descritto come un traditore (2).

NOTE

1) “Whistleblower welcome in China”, Xu Peixi, China.org.cn, 14 giugno 2013
2) “One in 2 Hongkongers say Snowden should not be surrendered to US”, South China Morning Post, 15 giugno 2013