di Demostenes Floros | da Limes Online
Le spiegazioni convenzionali delle recenti manovre valutarie cinesi non convincono. Pechino ha iniziato una trasformazione strutturale che potrebbe richiedere decenni e deve fare i conti con un classico problema dell’economia capitalista: la sovrapproduzione.
In agosto il dollaro si è deprezzato nei confronti dell’euro. Dopo avere aperto il mese attorno a 1,09€/$, il 25 agosto il biglietto verde ha sfondato quota 1,15€/$ a causa del probabile rinvio da parte della Fed dell’atteso rialzo dei tassi d’interesse visti i dati non soddisfacenti di disoccupazione – soprattutto giovanile – e pil. L’apprezzamento di fine mese (1,12€/$) ha coinciso con una parziale revisione delle stime relative alla crescita economica e con un ritorno all’ordine del giorno della stretta monetaria.
Nel contempo, mentre la Bank of England decideva di non modificare i saggi d’interesse, dopo il crollo delle Borse di Shanghai e Shenzen al termine di tre anni consecutivi di rialzi, la People’s Bank of China ha adottato le seguenti misure di politica monetaria, nonostante “le famiglie cinesi investano poco nel mercato azionario (meno del 15% dei beni in loro possesso) e quest’ultimo rappresenti a sua volta solo il 15% del pil”: