questo articolo comparso sul sito della Jamestown Foundation, importante istituto di ricerca di Washington molto attivo in passato nella lotta all’Urss ed oggi in quella alla Cina, ha il merito di riportare in modo approfondito il dibattito cinese rispetto all’Amministrazione Trump ed al ruolo che hanno gli Stati Uniti nell’ostacolare la pacifica ascesa cinese
di Nikita Savkov
China Brief, Volume: 20 Issue: 11, June 24, 2020
traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it
Introduzione
Il 20 maggio la Casa Bianca ha pubblicato un nuovo documento politico intitolato ‘United States Strategic Approach to the People’s Republic of China’. Secondo il documento la Cina pone sfide all’economia, ai valori e alla sicurezza degli Stati Uniti. Pertanto il nuovo approccio dell’amministrazione verso Cina offre una rivalutazione delle relazioni reciproche, riconosce la competizione strategica a lungo termine tra i due Paesi e proclama un ritorno al realismo di principio per proteggere gli interessi americani e far progredire l’influenza americana (Casa Bianca, 20 maggio).
Questi messaggi non hanno sorpreso gli esperti cinesi, perché di recente le relazioni sino-americane sono costantemente peggiorate, soprattutto con l’epidemia di COVID-19. Accademici legati allo Stato e altri commentatori politici autorizzati nella Repubblica Popolare Cinese (PRC) hanno recentemente offerto una serie di proprie opinioni, che gettano un po’ di luce su come il partito-stato vede il rapporto conflittuale con gli Stati Uniti e forniscono indicazioni su come la PRC potrà formulare la propria politica in futuro.
Prospettiva n. 1: Dopo Trump tutto torna alla normalità
Tra gli intellettuali cinesi che discutono delle relazioni cino-americane, una delle questioni principali è cosa accadrà alla politica statunitense nei confronti della Cina dopo le elezioni del novembre 2020. Ruan Zongze (阮宗泽), il vicepresidente dell’Istituto cinese di studi internazionali (中国国际问题研究院, Zhongguo Guoji Wenti Yanjiuyuan), afferma che il sistema politico americano è la ragione per cui l’America non si è organizzata come la Cina nel prevenire e nel combattere il COVID-19. Secondo Ruan, gli Stati Uniti sono entrati in un periodo elettorale, e i politici americani stanno facendo del loro meglio per massimizzare i loro interessi, quello che considerano ora è la competitività a breve termine e i voti, non le questioni di alta politica (Xinhua, 20 maggio).
L’esperto cinese Wang Wen (王文), preside del Chongyang Institute della Renmin University di Pechino, sostiene che la Cina non è interessata a intraprendere una nuova guerra fredda con gli Stati Uniti, perché potrebbe danneggiare lo sviluppo cinese e gli interessi globali. È anche scettico sulla capacità degli Stati Uniti di impegnarsi in questa nuova guerra fredda a causa dei problemi interni all’America. Egli definisce l’attuale conflitto Cina-USA “non una guerra fredda, ma una guerra di rimprovero” e paragona le persone che l’hanno iniziata a Don Chisciotte: “stanno raccogliendo le loro lance, correndo verso i mulini a vento agendo come guerrieri” (Global Times, 24 maggio).
Wang Wen sostiene che i precedenti attacchi alla Cina non hanno causato gravi danni: ad esempio, la guerra commerciale ha fatto sì che l’America tornasse a negoziare e l’offensiva contro Huawei ha contribuito ad aumentare il prestigio della società e la determinazione a raggiungere l’autonomia tecnologica. Secondo Wang, “da aprile quasi tutti i media cinesi hanno lanciato una battaglia contro il governo americano, soprattutto contro Pompeo”. Wang Wen esprime ottimismo sul conflitto, sostenendo che si tratta per lo più di una battaglia tra mezzi d’informazione, e che Trump ha difficoltà ad ottenere pieno sostegno anche all’interno del proprio Paese (Global Times, 24 maggio).
Prospettiva n. 2: Il conflitto cinese-americano è la nuova normalità
Altri analisti sono più pessimisti sul futuro delle relazioni sino-americane e sottolineano che le tensioni sono aumentate molto prima di Trump. Una di queste persone è Yang Xiangfeng (杨向峰), un cittadino della Repubblica Popolare Cinese della facoltà dell’Università di Yonsei in Corea del Sud. Egli fa notare che nel 2016 le analisi post-elettorali degli analisti cinesi sono state estremamente ottimistiche, persino trionfali, perché per la Cina l’elezione di Donald Trump era il male minore. [1] Poiché Trump non era legato all’ortodossia liberale della tradizione della politica estera americana, le élite cinesi pensavano che non avrebbe fatto loro lezioni sui diritti umani e sulla democrazia, come ci si aspettava che avrebbe fatto la Clinton. Questo sentimento è stato riassunto da Shen Dingli (沈丁立) della Fudan University, quando ha detto che “qualsiasi cosa è un miglioramento rispetto a Obama e Hillary” (Sydney Morning Herald, 10 novembre 2016).
Teng Jianqun (滕建群) dell’Istituto cinese di studi internazionali ritiene che attualmente la politica estera statunitense abbia una struttura “duale” (二元化, eryuanhua): da una parte l’Amministrazione Trump e dall’altra la “politica realista americana” (美国现实政治, Meiguo xianshi zhengzhi). Secondo questa visione l’Amministrazione Trump ha portato ad una contrazione globale, ha sollecitato i benefici dagli alleati e ha dato inizio a frizioni commerciali; lo scopo ultimo di queste azioni è quello di promuovere la politica “America First”. Spinta dal pensiero di potere globale e dagli interessi commerciali, la politica realista ha costretto gli Stati Uniti a mantenere la loro presenza in regioni rilevanti e a rifiutarsi di rinunciare agli interessi geopolitici globali. Anche se Trump sarà rieletto presidente nel 2020, le differenze tra la sua amministrazione e la politica realista non si fermeranno, ma il divario tra i due si ridurrà (US-China Perception Monitor, 20 maggio).
Un’altra importante controversia attuale è potenzialmente il “decoupling” economico (脱钩, tuogou) tra Cina e Stati Uniti (China Brief, 1 aprile e 1 maggio). Secondo il professor Wang Li (王黎) della Nankai University, non è necessariamente una cosa negativa. Wang sostiene che la Cina moderna possiede sia risorse umane qualificate sia le risorse finanziarie per un ulteriore sviluppo tecnologico, quindi la rottura con gli Stati Uniti non farà così male. Inoltre, egli sostiene che il “decoupling” su alcune acute questioni di sicurezza fornisce a Pechino e Washington un certo margine di manovra, rendendo la situazione simile alla “strategia di decompressione” (解压之策, jieya zhi ce) che l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti hanno spesso usato durante la guerra fredda. Wang sostiene che, anche durante un conflitto a lungo termine, c’è spazio per la cooperazione bilaterale (US-China Perception Monitor, 25 maggio).
La strategia di resistenza di Wang Haiyun contro l’egemonia americana
Una delle visioni più chiare per affrontare la competizione con l’America viene da Wang Haiyun (王海运), un generale di brigata del PLA in pensione e un ex addetto militare in Russia. Secondo Wang Haiyun, i cinesi devono rendersi conto che il governo americano cerca di inquadrare e screditare la Cina socialista e le sue politiche – con l’obiettivo finale che la Cina sarà costretta a ricompensare, sarà danneggiata nella propria posizione e perderà la capacità di competere strategicamente con gli Stati Uniti. Secondo Wang, sebbene la leadership mondiale degli Stati Uniti sia in lento declino, la Cina si trova ancora di fronte al “potere egemonico” dell’America (霸权势力的诬陷, baquan shili de wuxian) (Sohu, 5 maggio).
Wang osserva che l’America ha molti alleati e sebbene a volte mettano in discussione le azioni e la visione americana, questi alleati sono ancora pronti a sostenere gli Stati Uniti – e potrebbero potenzialmente diventare ostili alla Cina. Sarebbe quindi un errore enorme per la Cina sottovalutare sia l’hard che soft power degli Stati Uniti – come è successo ad esempio in Iraq, quando gli Stati Uniti hanno lanciato una guerra senza basi legali. Wang afferma che la Cina non può essere facilmente vittima di bullismo, ma che se la strategia “egemonica” degli Stati Uniti avesse successo, il danno alla Cina sarebbe grande, l’ascesa della Cina verrebbe interrotta e il suo potenziale destino potrebbe soffrire (Tencent, 5 maggio).
Per garantirsi gli attuali vantaggi cinesi ed affrontare i tentativi americani di fermare l’ascesa della Cina, Wang Haiyun propone cinque punti:
1. Riorganizzare il sistema di comando militare strategico della Cina, per renderlo più unito ed efficace in una potenziale lotta con gli Stati Uniti in vari campi tra cui il settore militare, l’economia, la ricerca scientifica e la politica.
2. Pubblicare un “libro bianco delle misure anti-epidemiche della Cina” (中国抗疫白皮书, Zhongguo kangyi baipishu) che chiarisca la risposta globale del governo cinese al coronavirus, includendo una lista di misure dettagliate – e soprattutto affrontando le accuse riguardanti le origini cinesi del virus – per aiutare a mantenere la reputazione della RPC. (Nota dell’editore: la PRC ha pubblicato questo libro bianco il 7 giugno).
3. Organizzare un’indagine attiva, con l’aiuto di specialisti della scienza medica e del diritto internazionale, per rivelare le origini del coronavirus e proteggere la Cina dalle accuse americane. In questo la Cina non dovrebbe seguire ciecamente la narrazione dei Paesi occidentali, ma dovrebbe invece articolare la propria versione dei fatti – ed eventualmente riorientare le accuse contro l’America.
4. Creare un fronte internazionale unito per costruire il sostegno internazionale alla Cina. In questo i partenariato principale dovrebbero essere quello fra Russia e Cina “partenariato strategico di collaborazione globale della Nuova Era”(新时代全面战略协作伙伴, Xinshidai quanmian zhanlue xiezuo banhuo), nonché i membri dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, i paesi BRICS e i paesi vicini amici della Cina.
5. Il governo cinese dovrebbe proteggere il Paese colpendo gli elementi filo-americani e anti-cinesi all’interno del Paese – specialmente quelli che hanno parenti stretti e proprietà in America – che assecondano le azioni aggressive americane e mettono in discussione gli interessi nazionali cinesi. Allo stesso tempo sarà necessario promuovere un’educazione basata sul patriottismo e sull’orgoglio nazionale. La Cina dovrebbe fare tutti gli sforzi possibili per evitare nuove “Indennità dei boxer” (庚子赔款, Gengzi Peikuan) e assicurarsi la sua ascesa dalle minacce nemiche (Tencent, 5 maggio).
Conclusioni
Da un lato, alcuni commentatori cinesi di politica estera sostengono che l’attuale scontro tra Cina e Stati Uniti si è verificato principalmente a causa dell’imprevedibile Amministrazione Trump e che, se l’America avesse un presidente diverso, migliorerebbe automaticamente le relazioni tra i due Paesi e si risolverebbero molti problemi bilaterali. D’altro lato, altri sostengono che il graduale processo di rottura tra i due Paesi è iniziato durante il secondo mandato del presidente Obama e che quindi lo scontro con gli Stati Uniti avverrebbe indipendentemente da chi siede alla Casa Bianca. Un terzo gruppo a grandi linee vede il rapporto della Cina con gli Stati Uniti e i suoi alleati principalmente in termini di minaccioso “egemonismo” statunitense, e chiede che la Repubblica Popolare Cinese concentri le sue risorse su una strategia di resistenza difensiva. I risultati delle elezioni americane di quest’anno potrebbero produrre alcuni cambiamenti nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, ma qualunque sia l’esito, i commentatori ufficiali della PRC sono in generale d’accordo sul fatto che è probabile che persistano tensioni significative tra i due paesi per tutto l’anno a venire.
Note:
[1] Yang Xianfeng, “The Great Chinese Surprise: The Rupture with the United States Is Real and Is Happening,” International Affairs, Vol. 96(2), February 2020.
Nikita Savkov è un analista del Center for Strategic and Foreign Policy Studies di Minsk, Bielorussia. Ha conseguito una laurea in Sinologia presso la Belarusian State University e un MA in International Business presso la Shandong University. Attualmente è candidato al dottorato di ricerca presso la Shandong University of Finance and Economics (Jinan, Cina), dove la sua tesi di laurea copre l’impatto dell’immigrazione cinese nei paesi europei sulle relazioni commerciali sino-europee.