La situazione politica mondiale: alcune chiavi di lettura

elicotteri silhouettewdi Fausto Sorini, del direttivo di Marx Ventuno, esponente del Comitato No Guerra No Nato

Relazione al Forum “La Via Cinese e il contesto internazionale”, Roma, 15 ottobre 2016

Proviamo a rispondere a tre domande chiave.

– E’ reale oggi il pericolo di una terza guerra mondiale?

– Quali sono le forze che oggi spingono alla guerra globale e perché?

– Quali le forze che possono rappresentare un contrappeso a tale prospettiva?

Una premessa sulla “natura della guerra”

Un esperto in materia, il generale Fabio Mini (un alto ufficiale italiano già in forza alla Nato, non certo un visionario), sostiene da tempo che sarebbe un grave errore pensare che una terza guerra mondiale verrebbe oggi combattuta essenzialmente con il lancio di centinaia di testate nucleari. Esse continuano a rappresentare un deterrente, ma le nuove frontiere della guerra globale si avvalgono di una ricerca scientifica e tecnologica (e delle sue applicazioni militari, in gran parte segrete), che hanno raggiunto oggi un livello qualitativamente assai più avanzato di quelle degli anni ’60-’70, che videro nel movimento comunista e nella comunità politica e scientifica mondiale il grande dibattito sulla natura della guerra nell’era nucleare.

Parliamo di una ricerca scientifica e tecnologica nel campo dei laser, dell’informatica, delle armi spaziali, delle armi chimiche e biologiche e dei loro antidoti (volti a renderle utilizzabili in modo controllato e non autodistruttivo, e persino non verificabile); fino al caso estremo della ricerca e sperimentazione volta a provocare artificialmente eventi naturali catastrofici (terremoti, tsunami, siccità..) in questa o quell’area del mondo, con un potenziale distruttivo superiore a quello delle armi nucleari, ma più “pulito”. Senza cioè produrre radiazioni o altri effetti collaterali il cui flusso potrebbe diventare incontrollabile anche per chi le usa; e soprattutto senza che il “nemico” possa dimostrare e denunciare all’opinione pubblica mondiale il carattere non naturale di quegli eventi.

E’ evidente che qualora una grande potenza imperialista dovesse raggiungere in questo campo una schiacciante superiorità sul resto del mondo, la tentazione di utilizzarla per piegare preventivamente e impunemente i propri antagonisti diventerebbe fortissima.   

Si tratta di una nuova frontiera della lotta contro i pericoli di guerra, tutta da esplorare, che chiama in causa il ruolo primario della comunità scientifica mondiale e dell’informazione.

Da dove nasce la spinta ad una terza guerra mondiale?

La crisi e il declino della leadership mondiale degli Stati Uniti, la loro incapacità o avversione a farvi fronte sul terreno della cooperazione pacifica e multipolare,  si afferma oggi come il principale fattore di guerra.

Il tentativo, insito nell’operazione Obama, di ristabilire un primato egemonico degli Usa di natura anche etico-politica sull’opinione mondiale, è fallito.

Quella che si afferma nella classe dirigente del capitalismo e dell’imperialismo americano (oggi pericolosamente incarnata dalla candidatura di Hilary Clinton) è l’idea che solo con una superiorità militare schiacciante sul resto del mondo è possibile per gli Usa conservare la propria leadership planetaria. E i sostenitori più oltranzisti di questa linea non escludono scenari di guerra alla Russia e alla Cina.

Vi è un confronto tra posizioni diverse nell’élite Usa, che attraversa anche la Nato. Non è certo un confronto tra guerrafondai e pacifisti; ma tra chi ritiene che si debba procedere in fretta ad una resa dei conti militare, prima che sia troppo tardi. E chi invece, pur ritenendo imprescindibile la carta del rafforzamento militare e delle guerre locali, ritiene che si debba operare per dividere Russia e Cina, non affrontarle insieme né spingerle ad una alleanza strategica; ma cercare di indebolirle, dividerle, destabilizzarle al loro interno e nel loro sistema di alleanze. Come in passato si fece con l’Urss, che fu piegata senza il ricorso ad una nuova guerra globale. 

Chi non vuole la terza guerra mondiale?

Lo spettro delle forze che si oppongono alla prospettiva di un terzo conflitto mondiale è assai grande, ma anche molto differenziato (come del resto lo fu la coalizione anti-nazista nella seconda guerra mondiale).

Esso comprende:

-i Paesi ad orientamento socialista, la Russia di Putin, i Paesi non allineati: non solo quelli che esprimono governi progressisti (es. Sudafrica); ma anche quelli le cui borghesie nazionali e/o élite politico-militari al potere cercano di conquistare una posizione di autonomia e sovranità nazionale nei confronti dei poli dominanti della triade imperialista (Usa, Ue, Giappone), come ad es. l’Iran o l’India. E’ il mondo dei BRICS;

-i gruppi dominanti di alcuni Paesi capitalistici europei (Germania, Francia, Italia…) che fanno parte della Nato e sono quindi complici della sua politica aggressiva in campo internazionale; che sono protagonisti di interventi militari in guerre locali a difesa dei propri interessi (Jugoslavia, Libia); ma che non condividono la linea dei gruppi più oltranzisti che puntano alla guerra con Russia e Cina.

Essi esprimono tale riserva o avversione non per vocazione pacifista, ma perché la considerano pericolosa, o non conveniente per gli interessi dei loro Paesi, o non realistica né sicuramente vincente (e a quale prezzo?) sulla base degli attuali rapporti di forza mondiali.  

E’ naturale che nei paesi che sono nel mirino, soprattutto Russia e Cina, vi sia la massima attenzione politico-diplomatica affinché nei gruppi dirigenti dei principali paesi della Nato (i più dotati di forza economica e militare) siano le tesi meno oltranziste a prevalere. E che si dedichi tanta attenzione all’Europa e alla cooperazione euro-asiatica, persino con Paesi e regimi che certo non suscitano simpatia, come quello della Turchia.

Euro-america o Eurasia?

Provo a riassumere così:

1. il pericolo di una terza guerra mondiale non era mai emerso in modo così acuto e durevole come oggi: una fase in cui si intrecciano tre elementi fortemente destabilizzanti: la crisi internazionale del capitalismo, il declino degli Stati Uniti, lo spostamento del centro geo-politico ed economico del mondo da Occidente a Oriente;

2. la profondità della crisi sistemica del capitalismo, dopo il 2007, impone una esigenza di governo dell’economia e della finanza mondiale che non può più essere delegata all’Occidente, le cui contraddizioni e debolezze interne destabilizzano il mondo. Ciò richiede nuovi protagonisti del governo responsabile degli assetti mondiali, e qui emerge il ruolo dei BRICS e della loro essenziale componente euro-asiatica, capace di rappresentare un interlocutore affidabile per l’Africa, l’America Latina, e per l’insieme dell’Europa;

3. la Cina socialista e la Russia di Putin sono l’espressione di sistemi economici, sociali e politici diversi, ma con alcuni elementi forti di affinità (economia mista a direzione pubblica e statale, potere politico e militare autonomo dai centri mondiali dell’imperialismo, politica estera convergente, contiguità territoriale, importanti fattori comuni di memoria e identità storica, come si è visto in occasione delle celebrazioni a Mosca per l’anniversario della vittoria antifascista nella seconda guerra mondiale ..).

Questi due grandi Paesi stanno recuperando una vicinanza strategica e di prospettiva storica che potrebbe essere oggi persino più forte di quella che essi sperimentarono per un tempo assai breve nella prima metà degli anni ’50. Lo conferma il fatto che oggi, su quasi tutti i principali e più critici dossier della politica internazionale, Cina e Russia hanno posizioni pressoché identiche, come mai era accaduto prima.

Il valore di un rapporto privilegiato tra questi due Paesi non può quindi essere valutato solo in termini economici. La Russia non è una entità misurabile solo con le percentuali dell’interscambio commerciale: essa rimane anche l’unica potenza mondiale oggi in grado di impensierire gli Stati Uniti sul piano militare; quella con la più grande distesa territoriale e le maggiori riserve mondiali di fonti di energia. Si tratta di un potenziale che è del tutto complementare a quello di cui dispone oggi la Cina, che si avvia ad affermarsi come la prima potenza economica e finanziaria mondiale.

Il consolidamento di una alleanza strategica tra Cina e Russia, fondata non solo su convenienze economiche contingenti, ma anche su una visione politica e di sicurezza sempre più affine e di lungo periodo sul futuro del mondo, farebbe assumere a tale alleanza un valore di portata storica, anche per le forze che nel mondo si propongono in vario modo di costruire una società alternativa al capitalismo e un ordine mondiale non più dominato dall’imperialismo.

Non a caso si manifesta una strategia mondiale dell’imperialismo che punta scientificamente alla divisione e all’indebolimento dei Brics e dei loro alleati; che punta a sganciare Brasile, Sudafrica e India dalla partnership strategica con Russia e Cina, che sono il nocciolo duro di uno schieramento mondiale antimperialista. Una strategia che ha marcato nell’ultimo periodo alcuni risultati che non vanno sottovalutati nella loro negatività, a partire dal Brasile. 

Anche l’Unione europea – che per gli Stati Uniti è alleato atlantico prezioso, ma anche concorrente nella competizione inter-capitalistica – è oggetto di questa strategia “imperiale”: indebolire i Paesi europei per renderli più subalterni all’egemonia degli Stati Uniti, e scoraggiarne con ogni mezzo eventuali propensioni alla cooperazione euro-asiatica. Euro-america contro Eurasia.  

La crisi dei flussi migratori, che ha origine oggettiva nelle guerre e nella miseria dei Paesi che li generano, viene alimentata da chi ha interesse a destabilizzare l’Europa.

La vicenda Ucraina, che ha portato la guerra ai confini della Russia, con il ritorno di un regime filo-nazista nel cuore dell’Europa; la riabilitazione del nazismo nei Paesi Baltici (punta avanzata dell’escalation anti-russa); il sostegno al nuovo regime fascistoide che si sta affermando in Polonia; il rilancio del progetto di Scudo spaziale; il rafforzamento della presenza militare Nato nei Paesi dell’est europeo; la campagna di demonizzazione della leadership putiniana; la più recente escalation anti-russa nella guerra in Siria: sono tutte espressioni di un oltranzismo Usa che punta a coinvolgere i paesi europei della Nato in uno scontro politico-militare diretto con la Russia.

Anche la minaccia e l’utilizzo dell’Isis (che non esisterebbe senza la copertura di una parte dell’establishment Usa) serve non solo per colpire i Paesi su cui gli Usa e i loro alleati vogliono mettere le mani (Siria, Libia, Egitto, Algeria..). Ma serve anche – si pensi agli attentati terroristici di Parigi o in altre città europee – per spaventare l’opinione pubblica del continente, e in nome della guerra al “terrorismo” indurla a ricercare negli Usa e nella Nato gli unici, credibili protettori della propria “sicurezza”.

L’Isis serve anche a ricattare – con una strategia della tensione di portata mondiale – le classi dirigenti di quei Paesi europei che fossero tentate di fare passi avanti sul terreno della cooperazione euro-asiatica, a scapito del legame transatlantico e della subalternità agli Usa.    

Nei Paesi dell’Unione europea si gioca dunque una partita importante dell’equilibro mondiale: se alcuni di essi si emancipassero dalla gabbia di Euro-America (la NATO), l’oltranzismo Usa ne riceverebbe un duro colpo. Ne uscirebbe rafforzata una prospettiva di cooperazione pacifica e multipolare.

E tutto ciò rimanda ai nostri compiti, in questa parte del mondo.

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