La politica internazionale arenata sul “Genocidio” virtuale in Xinjiang

cina coronavirusdi Maria Morigi

Prevenzione e repressione del delitto di genocidio (previsto dall’Assemblea delle Nazioni Unite del 1948) hanno ormai raggiunto standard deliranti: sembra che gli Stati, senza adottare alcuna analisi storica né autocritica sul proprio passato coloniale, facciano a gara nelle accuse di non riconoscere o giustificare genocidi. E così, con il genocidio strumentalizzato come arma di intimidazione, ricatto e censura di interi Stati, vediamo in quale “vicolo cieco” si sia cacciata la politica internazionale.

Basta seguire la recente cronistoria di accuse alla RPC, partendo dall’ ultimo giorno dell’amministrazione Trump, quando il Segretario di Stato Pompeo definisce i programmi di de-radicalizzazione e sviluppo economico nello Xinjiang come genocidio e crimini contro l’umanità. Il successivo Segretario di Stato, Tony Blinken, concorda con Pompeo, dissipando ogni dubbio sulle posizioni dell’amministrazione  USA nei confronti della Cina.

Il 22 febbraio 2021 la Camera dei Comuni canadese vota confermando come genocidio le politiche cinesi nello Xinjiang, sebbene il primo ministro Trudeau e il suo gabinetto si astengano dal voto; il 25 febbraio anche il Parlamento olandese dichiara che le politiche della Cina nello Xinjiang sono genocidio, benché, come in Canada, non tutti i ministri aderiscano alla designazione e il partito del primo ministro voti contro la risoluzione; 8 marzo il Newlines Institute for Strategy and Policy in collaborazione con il Wallenberg Center for Human Rights pubblica un rapporto in cui si afferma che le politiche cinesi nella Regione Autonoma dello Xinjiang equivalgono ad un genocidio. Nel rapporto dell’8 marzo non sono presenti nuove informazioni oltre a ciò che Adrian Zenz[1]  aveva già scritto esibendo  “prove” inattendibili suggerite da attori affiliati all’ agenzia governativa National Endowment for Democracy  (NED) che si avvale di un discutibile metodo di inchiesta contro le presunte violazioni dei Diritti in Cina. Il 22 marzo USA, UE, Canada e Regno Unito annunciano sanzioni contro quattro funzionari cinesi in relazione a presunte violazioni dei diritti umani nello Xinjiang[2].

Questo quadro pianificato di intenti contro la RPC si completa il 30 marzo, quando il Dipartimento di Stato USA pubblica i suoi Rapporti nazionali 2020 in materia di Diritti umani. Nel rapporto sulla Cina vengono infatti mantenute le accuse dell’ex segretario Pompeo di genocidio e crimini contro l’umanità.

Eppure si manifestano anche delle dissonanze con la linea USA: un alto funzionario del Ministero degli Affari Esteri del Giappone riferisce di non essere d’accordo che la situazione nello Xinjiang costituisca un genocidio e dichiara: “le critiche retrogressive dei diritti umani non sono efficaci. È più corretto cooperare con i paesi interessati”.

Già il 3 febbraio 2021 nella sede ONU di Ginevra, la missione permanente ONU della Cina e il governo della Regione Xinjiang avevano organizzato un webinar con la partecipazione di diplomatici di 50 paesi, funzionari dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle NU per i diritti umani ed esperti delle NU. A seguito del webinar, il 19 febbraio Foreign Policy riferisce che l’Ufficio del consulente legale del Dipartimento di Stato americano non aveva trovato prove sufficienti per sostenere un’ accusa di genocidio, tuttavia mantiene l’accusa di crimini contro l’umanità. Questo rapporto, nonostante l’Ufficio del consulente legale ne abbia sconsigliato la pubblicazione, il 30 marzo è stato inserito tra i rapporti nazionali 2020 del Dipartimento di Stato USA sulle pratiche dei diritti umani

Il 22 febbraio il Comitato Centrale del Dipartimento Internazionale del PCC e il Comitato Regionale dello Xinjiang ospitano a Urumqi l’evento virtuale “Storie del PCC”, briefing tematico sullo Xinjiang. All’evento partecipano oltre 310 personaggi di spicco in rappresentanza di oltre 190 partiti politici e organizzazioni di oltre 80 paesi, tra cui più di 100 rappresentati di paesi islamici. Pochi giorni dopo il Ministero degli Affari Esteri RPC rivela di aver fatto molteplici inviti a funzionari dell’Unione Europea e stipulato accordi per visitare lo Xinjiang, ma che l’UE ha rimandato qualsiasi visita. 

Inoltre si registrano altre posizioni ufficiali favorevoli alla linea di Pechino, come quella dell’Assemblea Nazionale della Turchia che respinge una mozione del partito di opposizione di etichettare le politiche cinesi nello Xinjiang come genocidio. Questione che riconferma la tendenza propria dei partiti di opposizione di vari Stati di incriminare la Cina per genocidio. Anche il Senato australiano (dove il Partito Liberale al governo svolge un ruolo chiave) respinge una mozione per etichettare come genocidiole politiche cinesi in Xinjiang, facendo eco alle dinamiche parlamentari di Canada, Paesi Bassi e Turchia.

Il 12 marzo alla 46a sessione del Consiglio dei diritti umani, 64 paesi aderiscono a una dichiarazione congiunta rilasciata da Cuba a sostegno della RPC. Due giorni dopo, nella stessa sede, il Ministro degli esteri Wang Yi riferisce che più di 80 paesi hanno sostenuto la posizione della Cina sullo Xinjiang.

Infine segnalo l’episodio passato quasi in silenzio sui nostri media: 30 marzo – 2 aprile, una delegazione di oltre 30 diplomatici di 21 paesi, tra cui Iran, Nepal, Russia, Maldive, Azerbaigian, Malesia e Pakistan, visita lo Xinjiang. Alla delegazione partecipa il Segretario generale dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Fa seguito la pubblicazione da parte della CGTN di un documentario sugli interventi più complessi (ma efficaci) della lotta al terrorismo nello Xinjiang, “La guerra nell’ombra: sfide per combattere il terrorismo nello Xinjiang”.

C’è veramente da rimanere colpiti osservando quanto ipocritamente il verbo dell’Alleanza atlantica, che conta solo in Italia 111 Basi USA (US-Air Force, US-Navy, US-Army, NSA) e NATO, possa ancora non solo condizionare le decisioni di Stati alleati, ma intromettersi indebitamente nel sanzionare e denigrare le politiche di chiunque non aderisca alla linea pre-confezionata da Washington o si discosti, in parte, dai Diritti universali proclamati dell’ONU.

Note:

1. Adrian Zenz professore di teologia della Scuola europea di cultura e teologia di Korntal e dell’ organizzazione privata Columbia International University (università cristiana evangelica che considera la Bibbia come “il fondamento ultimo e la verità finale in ogni aspetto della vita”). Zenz è consigliere sulle politiche etniche presso l’Inter-Parliamentary Alliance on China. Nel 2017 partecipa al think-tank conservatore The Jamestown Foundation, per il quale continua a pubblicare articoli basati su fonti anonime, ipotesi e decontestualizzazioni. Nel 2020 è diventato un membro senior in sinologia della Victims of Communism Memorial Foundation, organizzazione anticomunista statunitense fondata nel 1993.

2. In risposta, la Cina sanziona dieci persone del Parlamento europeo e quattro entità europee per aver diffuso disinformazione, minato i legami Cina-Europa e interferito negli affari interni. Anche Adrian Zenz è  sanzionato. Pochi giorni dopo la Cina annuncia sanzioni contro nove individui britannici e quattro entità britanniche e contro due individui statunitensi, un individuo canadese e un’entità canadese.