La lunga marcia non si ferma

bandiere campi personeRiceviamo da Norberto Natali e volentieri pubblichiamo

di Norberto Natali

Nell’epoca moderna, la Cina è il paese che ha avuto lo sviluppo e la crescita in campo economico, tecnico-scientifico, politico più intenso e rapido di ogni altro.

Con molta probabilità, in tutta la storia umana non esiste alcun altro stato che abbia registrato un incremento di potenza e ricchezza più rapido ed intenso, come quello della Repubblica Popolare Cinese negli ultimi trent’anni.

Tuttavia non è questo il tratto più significativo della Cina odierna bensì il fatto che abbia raggiunto tali risultati senza muovere guerra a nessuno, senza opprimere o sfruttare nessun altro: questo si che è veramente raro! Questo dato ci permette di comprendere meglio il senso strategico del concetto guida della “armonia” proposto dal PCC.

Come è stato per l’URSS e tanti altri paesi (da Cuba al Vietnam e -perchè no?- in un certo senso anche l’Italia) il Partito Comunista Cinese ha consentito al suo popolo di riscattarsi da un secolo di umiliazione ed oppressione imposti dalle potenze capitaliste, di raggiungere l’indipendenza e la libertà, di emanciparsi fino ad essere protagonista della propria storia e di quella di tutto il mondo. Soprattutto ha conquistato per i proletari (e sterminate masse di contadini poverissimi) la dignità, la fierezza, trasformandoli da servi considerati insignificanti in classe padrona del proprio destino, protagonista della costruzione del futuro e dirigente di una società e di uno stato all’avanguardia nel mondo.

È così che la Cina da paese semifeudale e coloniale, arretratissimo, nel giro di tre generazioni, è sul punto di divenire la più importante potenza mondiale (che ha già raggiunto il lato nascosto della Luna). Gli operai e i contadini che hanno militato nel PCC, hanno dato prova di sé, per esempio, con la “Lunga Marcia” lanciata e diretta dal compagno presidente Mao e dal gruppo dirigente del Partito; nelle sue fila vi erano tra gli altri Lin Piao (a capo dell’Accademia Militare), Zhou Enlai (in seguito capo del governo della Repubblica Popolare), Deng Xiaoping e Chu Teh.

La vita di Deng è emblematica del significato della Rivoluzione cinese e del suo Partito: da operaio (emigrato) della Renault in Francia a principale dirigente della Cina moderna.

Lo stesso vale per Chu Teh, già militare di professione in una Cina tormentata dai signori della guerra, assai abile e competente nel suo campo, il quale godeva di una popolarità (di un carisma) dovuto al fatto che la sua grande forza si era manifestata in un’impresa all’epoca più unica che rara: era riuscito a liberarsi dalla schiavitù dell’oppio. Acquisì una coscienza rivoluzionaria, entrò nel Partito e fu capo vittorioso dell’Esercito Rosso cinese.

È quasi superfluo, in questa sede, richiamare il ruolo del Presidente Mao quale dirigente storico, internazionale, del Movimento Operaio Comunista: per citare solo un piccolo esempio a noi vicino, i suoi testi hanno avuto largo spazio anche nei “seminari autogestiti” organizzati a Roma nei mesi scorsi, per discutere del possibile superamento della difficilissima situazione attuale del movimento operaio italiano.

La “Lunga Marcia” fu quella di un esercito proletario, contadino, il quale, per riorganizzarsi e rilanciare la propria lotta, attraversò a piedi (tra indicibili difficoltà e sforzi) migliaia di chilometri quasi da un capo all’altro di un paese grande all’incirca come tutta l’Europa. In quest’impresa i comunisti combatterono sempre, contro le truppe di Chiang Kai Shek e dei signori della guerra, portando la speranza e la libertà tra i poveri e i lavoratori, man mano che avanzavano.

Alcune testimonianze ricordano che -con l’avvicinarsi delle truppe comuniste- i contadini acquisivano coraggio e liberavano i propri villaggi dagli sfruttatori: una volta, un gruppo di loro andò incontro alle prime avanguardie dell’esercito di Mao per salutare e ringraziare… il signor Soviet!

Solo un decimo di quanti erano partiti raggiunse la meta, nell’estremità nord occidentale della Cina. Da lì ripartì la lotta per liberare il paese dall’invasore giapponese e poi contro il tradimento di Chiang Kai Shek (manovrato da USA e Regno Unito) per la completa liberazione e l’instaurazione di una nuova democrazia popolare.

Il 1 ottobre 1949 (esattamente nello stesso punto dal quale oggi ha parlato il Presidente Xi Jinping) il compagno Mao Zedong proclamava la nascita della Repubblica Popolare Cinese.

Qui non è il caso neanche di provare ad accennare ai suoi settant’anni di storia, tormentati e gloriosi: mi limito a ricordare due fatti.

Nel 1949, le truppe “nazionaliste” del generale Chiang Kai Shek, sbaragliate dall’Esercito Rosso, furono trasferite, dalla marina militare degli USA, nell’isola di Taiwan, la quale rappresenta quasi lo 0,4% della superficie e l’1,5% della popolazione dell’intera Cina. La tracotanza dei paesi imperialisti, la loro pregiudiziale ostilità, impose l’esclusione della RPC dall’ONU per un quarto di secolo: questo grande paese era rappresentato, perfino nel seggio permanente al Consiglio di Sicurezza, dall’ambasciatore della piccola Taiwan, governata dal generale-fantoccio.

Solo all’inizio degli anni ‘70, si concluse con successo una lunga lotta dell’Urss, del campo socialista e di tanti paesi che si erano liberati dal colonialismo, mettendo fine a quella ridicola sostituzione e riconoscendo la Cina Popolare.

Il popolo cinese si è imposto una scelta che non ha precedenti nella storia dell’umanità: circa mezzo secolo fa è stata decisa una forte limitazione delle nascite, parzialmente rivista solo recentemente. In caso diverso, con tutta probabilità, oggi i cinesi avrebbero potuto essere un miliardo in più. È una scelta di cui ha beneficiato tutto il mondo, considerato quanto incida la sovrappopolazione sui drammatici squilibri ecologici e climatici che angosciano oggi tutto il pianeta. Ancor di più ne beneficiano i lavoratori cinesi, poiché essa ha contribuito alla quadruplicazione dei loro stipendi avvenuta mediamente nell’ultimo ventennio.

Di fronte alle grandiose manifestazioni, anche di popolo, in corso oggi in tutta la Cina per il 70°, di fronte all’importanza e alla complessità delle questioni che questa ricorrenza richiama e che qui è stata solo pallidamente accennata, di cosa ci ha parlato maggiormente oggi la “libera informazione” nel nostro paese?

Degli scontri avvenuti ad Hong Kong (che rappresenta meno di mezzo centesimo dell’intera Cina) causati da una parte (probabilmente molto minoritaria) della popolazione, nostalgica dell’oppressione coloniale e nella quale potrebbero esserci potenziali (o meno?) ruffiani degli inglesi.

A questo proposito, il settimanale Panorama, proprio cinque anni fa, ha dettagliato quali diplomatici ed ufficiali delle forze armate e dei servizi segreti di sua maestà manovravano alcuni docenti universitari e studenti che promossero anche allora delle manifestazioni simili a quelle odierne.

In ogni modo, è comico il confronto tra la compiacenza mostrata dalle tv verso questi manifestanti e la presentazione allarmata e angosciosa, per esempio, delle recenti manifestazioni in Val di Susa.

Anche l’esperienza della Cina, del suo Partito Comunista e della Repubblica Popolare, dimostra che sono la classe operaia e i comunisti i veri patrioti di ogni paese, coloro che più di ogni altro possono garantire la dignità, l’indipendenza, la libertà ed il prestigio ad ogni popolo.

Dimostra altresì come sia tuttora fondata -pur con tutti gli aggiornamenti e adattamenti storicamente necessari- la linea leninista della coesistenza pacifica e della possibilità di un’economia mista che consenta -con ben precise condizioni e controlli- anche la temporanea esistenza della proprietà capitalista purché il potere politico statale sia sotto il controllo della classe operaia e del suo Partito, senza che ciò limiti la democrazia ed il suo continuo sviluppo.

Concludendo, anche in questa ricorrenza, giova considerare come i comunisti abbiano compiuto grandi imprese e affrontato gravi sconfitte, siano incorsi in errori ed insuccessi ma hanno saputo correggerli e superarli. Essi hanno consentito a moltissime persone di prendere coscienza e liberarsi, hanno suscitato sentimenti di speranza ed entusiasmo (tra gli oppressi e gli sfruttati) oppure di paura ed anche odio (tra gli sfruttatori, i prepotenti e i corrotti).

Tuttavia, mai in nessun momento e in nessun angolo del mondo, essi sono stati considerati ridicoli: per quanto possa essere un’angolazione stravagante, si potrebbe partire anche da qui per rilanciare il nostro ruolo e la nostra incisività anche in Italia.

È abbastanza chiaro?