Il governo ed il partito comunista cinese hanno elaborato, per il dodicesimo piano quinquennale (2011-2015), un progetto ambizioso teso ad innescare un decisivo salto di qualità del gigante asiatico in campo tecnologico-scientifico, passando dal “made in China” al “designed in China”.
Pechino non ha certo badato a spese ed ha deciso di investire nel settore circa 800 miliardi di dollari durante il piano quinquennale in corso, individuando inoltre settori prioritari e centrali nell’Hi-tech: energia, protezione dell’ambiente, biotecnologie, nuovi materiali, produzione di dispositivi aerospaziali, veicoli puliti a basso consumo energetico e informatico.
Il primo risultato concreto è che negli ultimi due anni sono state costruite o sviluppate enormemente ben 52 zone ad alta tecnologia, divise per segmenti di ricerca specializzati, oltre a creare interi “parchi” scientifici come poli tematici per l’innovazione cinese.[1]
In secondo luogo, grazie al gigantesco flusso di investimenti pubblici, “citando gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione della Proprietà intellettuale, l’edizione del 20 marzo del “Quotidiano del Popolo” afferma che a partire dal 2009 il numero delle richieste di brevetti internazionali da parte della Cina è aumentato velocemente, mantenendosi al primo posto nel mondo per tre anni consecutivi.
Secondo i dati, nel 2011 le richieste di brevetti cinesi sono aumentate del 33%, 12 punti percentuali in più rispetto al Giappone, che si piazza al secondo posto”.[2]
Altre novità sono venute dall’esposizione del Mobile world congress, tenutasi a Barcellona alla fine di febbraio di quest’anno: “proprio dai padiglioni dell’esposizione catalana è arrivata la rivoluzione di Huwawei e Zte. Se fino a poco tempo fa erano sconosciute alla maggior parte dei consumatori, ora le due aziende cinesi sono considerate dei leader nel settore delle telecomunicazioni ad alta tecnologia. Anche perché capaci di costruire un intero ecosistema intorno agli operatori mobili: dai data center ai telefoni, dai servizi ai software. A Barcellona poi sono stati presentati diversi prodotti innovativi che evidenziano come ci sia un cambio di tendenza: ormai le società cinesi non si occupano più solo di riproporre prodotti a costi più bassi ma cercano di sviluppare nuove tecnologie, superando così quel limite che le portava ad essere viste dagli occidentali solo come un popolo capace di copiare e contraffare.”[3]
Quarta sorpresa sul fronte dei supercomputer. Alla fine del 2011 la Cina ha creato un nuovo supercervello dalla potenza di calcolo di “1 Petaflop, fatto con microprocessori interamente progettati e costruiti in Cina.
Per l’esattezza il nuovo mostro, battezzato Sunway BlueLight MPP e iniziato a installare a settembre scorso, impiega 8704 microprocessori. In totale la potenza di calcolo di cui dispone lo colloca al quindicesimo posto nel mondo.
Lati estremamente interessanti di questo nuovo mostro sono il basso assorbimento (consuma in tutto un Megawatt, circa la metà della media e un settimo dei più grandi supercomputer a stelle e strisce) e il fatto di non comprendere assolutamente alcun componente né Intel, né AMD. A buoni intenditori, poche parole.”[4]
I “buoni intenditori” occidentali sono sicuramente preoccupati dei “fatti testardi” (Lenin) che vengono da Pechino. Del resto, la borghesia mondiale ha preso nota con attenzione che, nel 2012, l’aumento delle spese cinesi per la ricerca e lo sviluppo sarà pari a ben il 26% rispetto all’anno precedente, risultando equivalente a 5,16 miliardi di dollari ed elevando ancora maggiormente le cifre di un trend che ha visto crescere del tasso del 22% all’anno, tra il 1996 ed il 2007.
[1] “Cina, rinascita hi-tech”, 22 marzo 2012, in www.lettera43.it
[2] “Cina: al primo posto nel mondo per le richieste di brevetti internazionali”, 20 marzo 2012, in italian.cri.cn
[3] “Cina, rinascita…”, op. cit.
[4] M. V. Principato, “Cina, 1 Petaflop. Tutto fatto in casa, CPU comprese, 3/11/2011, in nbtimes.it