La bussola del marxismo nella grande trasformazione cinese

operaio fabbrica cinadi Andrea Catone, condirettore della rivista “MarxVentuno”

Relazione presentata al convegno tenutosi a Roma il 2 ottobre 2015 ” La Cina dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008″

1. La Rivoluzione d’Ottobre porta il marxismo in Cina

Il marxismo in Cina è giunto con notevole ritardo rispetto ai paesi capitalistici. Nessun cinese partecipa ai lavori della I o della II Internazionale, né al dibattito ideologico che vi si sviluppa. Solo a fine ‘800 (1898) il nome di Marx appare sulla stampa cinese; nel 1908 si pubblica la traduzione del primo capitolo del Manifesto, e, di Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza e un estratto da L’origine della famiglia. Pochissimo, quindi.

Il marxismo entra effettivamente in Cina con la Rivoluzione d’Ottobre grazie alla fondamentale analisi dell’imperialismo fatta da Lenin, che arricchisce la parola d’ordine del Manifesto del 1848 in “Proletari e popoli oppressi di tutto il mondo unitevi!”. Superando d’un colpo tutte le posizioni presenti nella II Internazionale che non contrastavano il colonialismo e guardavano all’esportazione della “civiltà occidentale” tra i popoli “arretrati” come ad una tappa necessaria dell’evoluzione sociale, Lenin collegò strettamente “Occidente” e “Oriente”, lotta di classe nei paesi capitalistici e lotta di classe antimperialista.

In tal modo il movimento comunista internazionale forniva alla Cina la leva teorico-politica più potente per il riscatto dal “secolo delle umiliazioni” (iniziato nel 1840). Le altre filosofie, invece – dalle tradizionali autoctone a quelle liberal-democratiche importate dall’Occidente – non erano state in grado di indicare la via dell’emancipazione del popolo cinese.

Con Lenin il marxismo diviene effettivamente uno strumento teorico universale per l’emancipazione di tutti i popoli del mondo nell’epoca dell’imperialismo. In quel fondamentale ampliamento dello slogan del Manifesto vi è l’indicazione del fronte unito tra gli sfruttati delle metropoli imperialiste e quelli delle colonie e semicolonie, tra città e campagna, operai e contadini.

2. La sinizzazione del marxismo

L’universalità del marxismo è effettivamente tale se sa rapportarsi con le particolarità di ciascun paese, con la sua specifica storia sociale, culturale, politica, i cui tempi non coincidono con quelli dell’Occidente. Il marxismo nella rivoluzione cinese di indipendenza nazionale e anticoloniale di nuova democrazia – dopo aver appreso dagli errori di un’applicazione dogmatica di formule adatte ad altre situazioni – costruisce una sua propria strada. Si avvia così la “sinizzazione” del marxismo, cioè l’applicazione del metodo marxista alle concrete condizioni della formazione economico-sociale cinese. Un marxismo non “libresco” (Mao nel 1930 scrisse un articolo, spesso richiamato nel dibattito odierno, contro la “mentalità libresca”), come non “libresco” fu quello di Lenin (ben colto dal giovane Gramsci nel suo articolo “La rivoluzione contro il Capitale”), ma calato nella carne viva delle contraddizioni della società cinese. Il marxismo diviene la bussola che sa orientare l’analisi delle classi, della struttura e sovrastruttura della società cinese e indicare le modalità per tradurre in azione politica quelle analisi: la politica del fronte unito, la rivoluzione antimperialista di nuova democrazia, il percorso verso una società socialista, che, per essere tale, per non socializzare la miseria, richiede un poderoso sviluppo delle forze produttive.

La nuova società non si instaura su un foglio completamente bianco dove si possa scrivere ciò che si vuole. Essa nasce su una base storicamente determinata. Il marxismo è storicista. Ciò significa anche che esso fa i conti con la cultura e la civiltà nazionali – nel 1938, al sesto plenum del VI Congresso del Pcc, Mao invita ad assumere la grande eredità culturale cinese, da Confucio a Sun Yat Sen –non non le annulla – il marxismo è l’antitesi del nichilismo – ma le conserva e supera in una più ricca cultura e civiltà.

Il comunismo basato sul marxismo è internazionalista, ma per essere tale deve radicarsi nella storia e nella cultura nazionali, come Gramsci riconosce a Lenin e Stalin, contrapponendoli a Trockij, in un’importante pagina delle sue riflessioni dal carcere (Q. 14, § 68). Coerentemente con un’impostazione marxista i comunisti cinesi si misurano con la grande cultura tradizionale della Cina millenaria, con le sue filosofie, e si preoccupano di comprenderle entro una visione marxista della storia della nazione. La costruzione di una nuova civiltà abbraccia un’intera epoca storica.

3. Transizione al socialismo

La storia del movimento operaio e comunista del XX secolo è segnata dalla pesantissima sconfitta del 1989-1991, quando crollano l’Unione sovietica e le “democrazie popolari” in Europa. Sulle sue cause i comunisti cinesi non si stancano di indagare, cercando di individuare le radici profonde degli errori commessi e apprendere da essi. In occasione del ventesimo anniversario del crollo dell’Urss, ad esempio, la Social Sciences Academic Press (China) pubblica un corposo volume di studi, sotto la direzione di Li Shenming, che varrebbe la pena far conoscere ai lettori italiani. Grande attenzione viene rivolta alle cause del decomporsi del partito comunista sovietico, alla sua perdita di egemonia nella società, ai cedimenti ideologici.

I comunisti cinesi hanno assimilato il marxismo in modo non dogmatico, ne hanno saputo cogliere l’essenza di pensiero dialettico. Si guardi alla concezione della transizione al socialismo. Nel preambolo dell’attuale Costituzione cinese – vero e proprio manifesto politico-ideologico – si dice che “la Cina sarà ancora per lungo tempo nella fase primaria del socialismo”. Ciò implica l’idea di processualità e non di sostituzione immediata e a colpi di decreti, di una struttura economico-sociale nuova già bella e pronta al posto della vecchia. La transizione al socialismo è un processo storico lungo e complesso, caratterizzato da una lotta di classe in tutti i campi. Quello ideologico-culturale, come ci dice l’amara esperienza della catastrofica perestrojka gorbacioviana, non è assolutamente l’ultimo per importanza.

La questione del “Kto pobedit?” (chi vincerà?) posta con chiarezza da Lenin nei primi anni Venti, quando avvia l’elaborazione di una articolata concezione di transizione al socialismo come lungo e contrastato percorso di lotta e confronto tra capitalismo e socialismo, rimane aperta per un’intera epoca storica. E per comprendere le tendenze e i processi in corso nella Cina di oggi quell’elaborazione di Lenin resta un riferimento fondamentale. In Cina è in corso una vivace dialettica, sul terreno politico-giuridico, economico, ideologico-culturale, in definitiva, com’è normale in una società di transizione, una lotta di classe, come ricorda nel suo Preambolo la Costituzione cinese: “Le classi sfruttatrici in quanto tali sono state abolite nel nostro paese. Tuttavia, la lotta di classe continuerà ad esistere entro certi limiti ancora per un lungo periodo di tempo. Il popolo cinese deve combattere contro quelle forze ed elementi, sia in patria che all’estero, che sono ostili al sistema socialista cinese e cercano di minarlo”.

4. Le questioni scottanti nel dibattito teorico-politico in Cina

Si svolge oggi in Cina un vivace dibattito politico-ideologico – di cui, salvo una ristretta cerchia di specialisti, si ignora quasi tutto in Occidente e nella “sinistra assente” (come suona il titolo del libro di Losurdo) – su alcuni grandi temi:

– il “socialismo con caratteristiche cinesi”;

– la struttura economico-sociale: “economia mista” come economia di transizione socialista, col ruolo trainante delle imprese pubbliche e delle cooperative sociali o ulteriori privatizzazioni e riduzione del settore pubblico;

– lo “Stato socialista di diritto”, che, formalmente e sostanzialmente diverso dalla concezione e dalla pratica della stato liberal-democratico occidentale, mantiene la “dittatura democratica del popolo” – come recita la Costituzione cinese – e il ruolo dirigente (che non significa di gestore-amministratore) del partito comunista;

– la lotta contro il nichilismo storico, che intende sbarazzarsi dei padri fondatori della moderna Cina indipendente e volta al socialismo, Mao Zedong e Deng Hsiaoping;

– la fondazione di una nuova cultura e una nuova civiltà, il sistema di valori socialisti nella concreta realtà storico-culturale della Cina, ricca di una millenaria tradizione che i marxisti cinesi non intendono cancellare con un tratto di penna, ma valorizzare, non per guardare da conservatori al passato, ma per costruire il futuro.

5. Il fronte della lotta ideologica e la diffusione dei centri marxisti

I destini del più popoloso paese al mondo ci toccano direttamente come movimento operaio. La Cina oggi è una grande forza economica e politica che si contrappone all’imperialismo Usa e al suo sistema di guerra e propugna un mondo multipolare e una politica antiegemonica, basata sul reciproco vantaggio e la non ingerenza negli affari interni dei diversi paesi. Nella consapevolezza che, come recita la Costituzione, “i successi della rivoluzione e della costruzione della Cina sono inseparabili dall’appoggio dei popoli del mondo; l’avvenire della Cina è intimamente collegato all’avvenire del mondo”, i comunisti cinesi stanno intensificando incontri e relazioni con i marxisti e la sinistra mondiale, con discussioni aperte sui grandi temi oggi all’ordine del giorno, in particolare l’analisi della crisi capitalistica mondiale e il ruolo del movimento comunista e operaio. Tra questi, non sono di secondaria importanza i Forum mondiali, che con cadenza annuale si tengono in autunno a Pechino, organizzati dal World Socialism Research Center dell’Accademia delle Scienze Sociali, in collaborazione con altri dipartimenti. Nel 2014 si parlava di “globalizzazione liberista”, cui va contrapposta la “globalizzazione socialista”. Quest’anno il tema è quello delle “rivoluzioni colorate” e, gramscianamente, dell’egemonia.

Vi è tra i marxisti e comunisti cinesi la consapevolezza che la lotta ideologica, sul fronte culturale, è fondamentale. Ne sono un chiaro segnale le risoluzioni congressuali, i ripetuti richiami del segretario generale Xi Jinping a organizzare lo studio del marxismo. Oggi la Cina è il paese in cui vi è il più elevato numero di centri di studio ed elaborazione marxista al mondo.

Il Convegno che teniamo oggi insieme con una particolarmente ampia e rappresentativa delegazione dell’Accademia marxista, diretta dal professor Deng Chundong, testimonia questo impegno e la consapevolezza che oggi c’è tra i comunisti e marxisti cinesi del valore della lotta culturale. Ritengo che vada intensificata la collaborazione tra i centri studi e le riviste cinesi, che hanno un certo numero di pubblicazioni anche in lingua inglese, quali International Chritical Tought, Marxist Studies in China (che traduce una selezione dei testi pubblicati in cinese sulla rivista di marxismo dell’Accademia marxista), Qiushi (organo del Cc del Pcc).

Una collaborazione tra l’associazione italiana Marx XXI e l’Accademia di marxismo cinese potrebbe promuovere e intensificare il lavoro di diffusione e conoscenza in Italia delle elaborazioni marxiste in Cina (attualmente pressoché ignorate in Italia) e, reciprocamente, sviluppare un lavoro di traduzione e approfondimento dell’opera di Antonio Gramsci, la cui elaborazione rimane un pilastro fondamentale per la lotta sul fronte dell’egemonia ideologico-culturale.

La rivista “Marxventuno”, al pari del sito “Marx21.it”, continuerà a guardare con grande interesse e attenzione agli sviluppi della politica, dell’economia, della società cinese e si adopererà per pubblicare traduzioni italiane dei più rilevanti studi marxisti in Cina.