di Fabio Nobile, Consigliere Regionale della Federazione della Sinistra, Membro della Segreteria Nazionale PdCI | da www.oltreconfine.it
Quello che segue è l’intervento integrale del Consigliere Regionale del PdCI durante la Seduta n. 48 di Mercoledì 29 Febbraio 2012 della Regione Lazio, avente per oggetto la discussione di una risoluzione presentata dai Radicali Italiani e sostenuta da tutti i gruppi ad eccezione dei comunisti italiani.
Cari colleghi,
intervengo in questo dibattito su una mozione, quella sul Tibet, che rischia di affermare senza smentita di nessuno delle verità storiche assolutamente prive di fondamento.
Mi sorprende la superficialità con cui, soprattutto a sinistra, si affronta un tema così delicato prendendo parte in una contesa senza, credo, conoscere fino in fondo la storia e l’attualità di quella realtà.
La storia del Tibet è complessa, ma semplificando ha una storia connessa strettamente con quella cinese, da vedere nel 1578 il primo Dalailama della Storia essere designato dall’imperatore mongolo della Cina e dal 1727 essere parte integrante dei territori dell’impero cinese. Da quel momento in poi il Tibet è stato governato da un sistema feudale e atrocemente autoritario in cui il Dalai Lama rappresenta il Dio-Re sempre con la tutela degli imperi cinesi.
Nel 1904 la GB mandò un contingente di forze indiane in Tibet che occupò la regione. Dopo l’occupazione gli inglesi stabilirono rapporti con l’aristocrazia schiavista e monastica. Dopo la rivoluzione cinese del 1911 che porterà la nascita della repubblica, il Dalai Lama fuggì in Inghilterra.
Nonostante i tentativi separatisti incentivati dagli inglesi, il Tibet tornò ad essere considerato parte della Cina da tutte le mappe dell’epoca, l’indipendenza del 1912 non fu riconosciuta da nessuno Stato. I Lama continuarono a governare la Cina con la legittimazione del regime reazionario del Kuomintang.
Nel 1951 i cinesi completarono con le truppe di Mao il controllo sull’intero territorio nazionale che fino a quel momento, anche per le mappe occidentali, conteneva il Tibet. Per dire di che cosa stiamo parlando a chi a sinistra ha perso la memoria l’unità di allora scriveva: “Ancora oggi dopo l’accordo del 1951, il Tibet che si estende per circa un milione di km quadrati sul più alto altopiano del mondo, è retto autoritariamente dai monaci buddisti. E’ una società feudale, organizzata rigidamente a piramide, al vertice del quale è il Dalai Lama e alla cui base sono i servi della gleba.” Nel 1951 la Cina lasciò una larga autonomia al Tibet, un’autonomia portata al punto che la casta feudale non fu toccata. Quando nel 1959 si avviò la riforma agraria nei territori tibetani, fu organizzata la rivolta armata. Ma da chi?
Dal 1957 in poi, secondo documenti ufficiali della CIA, nella base Usa di camp Dale furono addestrati almeno 300 tibetani che parteciparono e furono paracadutati in Tibet per dar vita alla rivolta contro il Governo Cinese.
Evidentemente la spinta degli Usa aveva come obiettivo l’indebolimento della Cina in funzione anticomunista di fronte all’ormai dispiegata guerra fredda.
Da quella rivolta organizzata dall’esterno e sostenuta da chi rappresentava il potere feudale in decadenza che nasce la cosiddetta occupazione cinese, che in realtà ebbe un ampio sostegno della popolazione locale che vedeva in chi organizzava la rivolta il passato che tornava. Questo che dico è confermato anche da quanto scritto nel libro nero del comunismo che proprio su quel periodo rimprovera la popolazione tibetana di “essersi colpevolmente collegata con il regime comunista”. Lo stesso numero dei morti denunciati dall’ attuale Dalai Lama è discutibile. Patrick French, inglese, mentre era direttore della Free Tibet Campaign si accorse quei dati avevano subito delle falsificazioni estremamente pesanti. Si dimise dal suo incarico affermando che se quelli denunciati dal Dalai Lama fossero stati numeri veri, la quasi intera popolazione del Tibet in quel periodo sarebbe dovuta essere scomparsa. E dopo quarant’anni sarebbe stato difficile veder raddoppiare la popolazione.
Il sistema che vigeva sotto il Dalai Lama vedeva la maggior parte della popolazione lavorare come servi della gleba per i monasteri e circa 200 famiglie nobiliari. I servi non potevano sposarsi senza il consenso del padrone. Ogni aspetto della vita era regolato da rigide forme tributarie classiche del sistema feudale. Le mutilazioni, le torture, le più atroci pratiche punitive erano riservate a chi dissentiva dal potere.
Dopo quella che viene definita occupazione fu abolita la schiavitù della servitù della gleba, furono costruiti i soli ospedali esistenti ed un nuovo sistema educativo che rompesse l’esclusività dei monasteri, su questa la laicità dei radicali dovrebbe avere almeno ascolto. Fu costruito un sistema di irrigazione e portata l’energia elettrica a Lhasa, nella capitale. Fu abolito il sistema delle flagellazioni, mutilazioni e amputazioni compiute dalle autorità religiose come strumenti punitivi.. Nelle zone della pastorizia le greggi furono affidate alle comuni povere.
Ma l’autonomia della regione è stata perseguita con grande forza che oggi vede il fatto che si tratta di una regione bilingue ed in cui i tibetani sono privilegiati nell’accesso ai servizi ed agli incarichi pubblici. Come ha affermato nel 1998, pur formulando critiche, Foreign Affairs, la rivista americana vicina al Dipartimento di Stato, con un articolo di Melvyn C. Goldstein ha affermato riconoscimenti importanti: nella Regione Autonoma Tibetana il 60-70% dei funzionari sono di etnia tibetana e vige la pratica del bilinguismo.
La crescita economica della regione è stata enorme con investimenti in infrastrutture e uno sviluppo che dalla metà degli anni ’90 ha raggiunto il 13perc ento. Bisogna anche ricordare che la speranza di vita è passata dai 35 anni dell’poca prerivoluzione ai 70 anni di oggi.
Nel 2001 la Repubblica popolare ha investito 65 miliardi di dollari in progetti che hanno portato ad un ulteriore sviluppo dell’area.
E’ lungi da me l’idea di essere avvocato difensore della Cina e anche dei grandi limiti e contraddizioni che quel Paese ha, ma non è oggi questo in discussione. Semplicemente quello che vorrei inserire nella riflessione del Consiglio sono alcuni elementi di verità.
In questo senso la presentazione ad esempio del Dalai Lama quale sorta di Papa buddista è smentito dai fatti. Dalla contestazione subita nel 1992 dalla più grande organizzazione buddista presente in Gran Bretagna e semplicemente dal fatto che esso rappresenta 1/60 del buddismo mondiale, nello specifico quella dei cosiddetti berretti gialli.
Ora tante sono le questioni che potrei trattare a sostegno di una tesi che in sostanza chiarisce quanto distante sia la battaglia per il Tibet da quella per i diritti umani. Il Sostegno occidentale è legato alla guerra fredda prima e agli interessi economici ( il Tibet ha molte materie prime e oltre ad essere la riserva d’acqua più importante del mondo visto che da li nascono i 7 fiumi più importanti dell’Asia) e geo strategici rappresentati dal tetto del mondo. E’ evidente che il terreno dell’indebolimento della potenza cinese resta lo scopo di tanto umanitarismo. Resta di difficile comprensione la difesa dell’approccio confessionale del Lama tibetano da parte di chi come i radicali fanno della laicità una loro battaglia. Laicità che ovviamente per quanto ci riguarda contiene il diritto a tutte le espressioni religiose.
Resta veramente incredibile vedere tanto unanimismo nella difesa dei lontani e santificati monaci tibetani e non riuscire a fare la stessa cosa sulla Palestina dove l’occupazione militare da parte d’Israele è talmente evidente che lo affermano risoluzioni dell’ONU e solo la menzogna sfacciata del potere la può negare. Oppure quanti bombardamenti e occupazioni militari come in Afghanistan, il Libia, in Iraq e l’elenco è lungo, vengono giustificati in nome della libertà e una questione così complessa come il Tibet viene semplificata e trattata come una lotta tra popolo oppresso e oppressore. Crediamo che le tensioni in Tibet vadano superate e aiutate a superarsi, certamente non lo si fa appendendo la bandiera di uno dei contendenti fuori dalla un istituzione importante come la Regione Lazio, questo rischia solo di approfondire i problemi. Se così si farà chiediamo sin da subito che in date precise che indicheremo sventolino le bandiere della Palestina, del Kurdistan e di tutto quei popoli dei cui destini molti di quelli che oggi sono qui si disinteressano e continueranno a farlo.