di Alessandra Cappelletti
Fondatrice di Cinaforum.net
Docente di Relazioni Internazionali dell’Asia Orientale presso l’American University of Rome
Intervento al convegno tenutosi a Roma il 2 ottobre 2015 ”La Cina dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008″
Il concetto di “stato di diritto” è stato affrontato come tema centrale durante la quarta sessione plenaria del diciottesimo Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, riunitosi dal 20 al 23 ottobre del 2014. Nonostante sia la prima volta, da quando il Partito è al potere, che questo principio si affronta come tema principale di una sessione plenaria del Comitato Centrale, il principio in sé non è nuovo. 依法治国yifa zhiguo, tradotto in inglese come “rule of law”, e in italiano come “stato di diritto”, significa, letteralmente, “paese governato in base alla legge”.
Non è questa la sede per parlare del concetto di “legge”, 法fa, in epoca classica, e in particolare nel pensiero della scuola legalista del filosofo politico Han Feizi, vissuto nel III secolo avanti Cristo. Però è importante ricordare che il concetto di “stato di diritto” diventò uno degli slogan standard già quasi quaranta anni fa, per contrastare il concetto di 人治renzhi. “governo dell’uomo” (uomo inteso come “gentiluomo”, un concetto dunque strettamente connesso alla classe borghese). Il concetto di yifa zhiguo fu di fatto formalmente coniato nella sua accezione attuale durante il quindicesimo Congresso del Partito nel settembre del 1997. L’allora Presidente Jiang Zemin lo spiegò in questo modo: 1. è un bisogno oggettivo per lo sviluppo di un’economia socialista di mercato; 2. è un pilastro per lo sviluppo della società e della civiltà; 3. è una garanzia importante per la stabilità politica sostenibile nel paese. Di conseguenza il principio era visto come una strategia fondamentale per ristrutturare l’ordine economico, sociale e politico.
Oggi questa stessa strategia va letta nel quadro della teoria dei “quattro comprensivi” di Xi Jinping – costruzione di una società moderatamente prospera; rafforzamento delle riforme; governo della nazione secondo la legge; rigido controllo del Partito – e della campagna anti-corruzione lanciata da Xi Jinping più di due anni fa, quando assunse il potere con l’incarico di Presidente della Repubblica (dopo quello di segretario generale del Partito). Gan Chaoying, docente di diritto all’Università di Pechino (Beida), ha dichiarato alla Reuters: “Il sistema legale in questo momento in Cina ha due problemi principali. Il primo è l’apparato giudiziario, e l’altro è il Partito/governo, nello specifico come i leader del Partito rispettano la legge”. Secondo l’agenzia stampa governativa Xinhua, “il Partito introdurrà un sistema di leggi e regolamenti completo ed efficiente, e un rigoroso sistema basato sullo stato di diritto e sulla supervisione” e “continuerà a governare il Paese secondo la legge”.
Il dibattito sui principali media di Partito si è incentrato sulla volontà di costruire un sistema giudiziario indipendente, in grado di difendersi – e difendere – dalle interferenze politiche e dagli abusi insiti nel sistema stesso, e sulle difficoltà applicative di questo principio, in un sistema in cui hanno ancora molto valore le consuetudini e i rapporti personali, e dove si chiede ai magistrati l’adesione a principi e a direttive che provengono dall’apparato politico. Ci si è così focalizzati sull’esigenza di concepire, adattare e applicare questo concetto nel contesto cinese. A questo proposito Wang Lequan, Presidente della Commissione nazionale per gli affari legislativi, ha dichiarato al bimestrale Qiushi: “Quale sia la strada più giusta da percorrere per costruire uno ‘stato di diritto’ è una questione fondamentale, complessa, e che ha radici lontane. L’emulazione acritica di modelli di ‘stato di diritto’ adottati in altri paesi non può funzionare. La strada percorsa da altri potrebbe rivelarsi non adattabile a tutti i contesti, e costituire addirittura un ostacolo per le future prospettive di sviluppo di un paese. L’unico percorso credibile ed efficace è quello radicato nella terra di una nazione, quello che ne assorbe i numerosi elementi nutrienti.” La metafora contiene un riferimento al “socialismo con caratteristiche cinesi”, espressione ricorrente nell’articolo, nel quale Wang sottolinea come esista una “via allo stato di diritto socialista” (la “terra” della nazione), e come i leader del Partito e il sistema socialista con caratteristiche cinesi ne siano l’essenza, nonché la guida teorica e operativa (gli “elementi nutrienti”).
Trovare il punto di equilibrio tra un sistema che ponga la legge al di sopra dell’apparato di governo e un sistema che ponga invece le esigenze di governo al di sopra della legge è, in un’ottica occidentale, molto complesso. Bisogna invece considerare che, pur essendo antitetici, in Cina i due sistemi risultano complementari. Bisogna dire che i principi assoluti sono sostanzialmente assenti dal sistema di pensiero cinese, a vantaggio di una realtà costituita da elementi che a noi sembrano contrapposti, ma, in quel particolare framework interpretativo e di pensiero, sono complementari e addirittura interdipendenti. Esiste una propensione millenaria a oscillare tra un sistema di governo fondato sull’educazione e la persuasione morale, e uno che invece fonda la sua legittimità e autorevolezza su misure coercitive. Si tratta di due concezioni distinte ma non del tutto alternative, che si rifanno alla tradizionale dicotomia tra wen 文, che indica l’aspetto civile della società e fonda la sua forza attrattiva sulla virtù, la cultura, l’educazione, e wu 武, che si riferisce invece all’aspetto militare, valorizzando la fierezza e la forza delle armi, il coraggio e il talento strategico, il comportamento marziale e altero. Le parole di Xi Jinping sulla necessità di “integrare il governo della legge con il governo della virtù” vanno considerate alla luce di questa particolare dialettica degli ‘opposti-complementari’ che ha condizionato per oltre duemila anni il pensiero filosofico e politico cinese.
Il riferimento alla estraneità della tradizione politico-filosofica cinese alla separazione dei poteri della teoria classica di Montesquieu si inquadra esattamente in questo contesto: la divisione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario, considerati i pilastri di uno stato di diritto, non è del tutto scontata nel pensiero e nella cultura politica della Cina. Quando si parla di uno “stato governato dal diritto con caratteristiche cinesi”, espressione che può far sorridere un lettore occidentale che non conosca la Cina, si intende proprio questo: ci sono team dedicati di funzionari e giuristi che stanno realizzando missioni ad hoc nei vari territori, che cercano di contribuire, dal punto di vista operativo, alla costruzione di uno stato governato dalla legge, senza dimenticare le specificità della cultura e della tradizione cinese. Già abbiamo visto passi avanti nell’assicurare autonomia alle istituzioni giuridiche a livello locale, dove i funzionari hanno sempre avuto molto potere nell’influenzare tribunali, avvocati e magistrati, soprattutto nelle questioni relative alle espropriazioni di terre, ma è ancora in via di definizione, e sarà il risultato di un apposito percorso politico e di anche di ricerca, l’esatto significato del concetto di “stato di diritto” in Cina.