CINA, Politiche ambientali ed “Economia verde” a partire dagli anni 2000 (II parte)

di Maria Morigi

  1. Il dibattito

Diverse interpretazioni del concetto di “civiltà ecologica” si registrano in interviste rilasciate dal 2012 dai principali membri della Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme (NDRC) e del Ministero per l’ecologia e l’ambiente (MEEN) istituito a seguito della ristrutturazione degli organi statali approvata dall’Assemblea Nazionale del Popolo nel marzo 2018. 

Xie Zhenhua, Vice ministro della NDRC nonché Rappresentante speciale della RPC alle conferenze della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) dal 2015 identifica nella “costruzione di una civiltà ecologica” il fondamento necessario alla realizzazione del “grande sogno di rinascimento della nazione cinese”. La costruzione di una civiltà ecologica è una delle componenti principali del modello di sviluppo incentrato sulla Belt and Road Initiative (BRI) con cui  Pechino intende sostenere (e dimostrare) la superiorità del sistema sociale della Cina e nel contempo denunciare il fallimento del così chiamato “ambientalismo liberista” nato dal Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992. Ma le parole di Xie Zhenhua  esprimono anche la consapevolezza che, in Cina, la costruzione di una civiltà ecologica è rimasta indietro rispetto ad altri imperativi di sviluppo socio-economico perseguiti dalla RPC fin dal periodo di riforme e apertura. Xie Zhenhua definisce la civiltà ecologica una “strategia” (zhanlüe ) e non una “politica” o una “misura”. Il termine zhanlüe, quasi scomparso dal gergo della politica estera cinese dell’ultimo decennio, è qui recuperato come più adatto all’amministrazione politica interna.  

Su Wei, Direttore generale del Dipartimento sul cambiamento climatico della NDRC si sofferma sul ruolo di responsabilizzazione del singolo individuo nel rapporto Uomo-Natura, ma anche sulla necessità di supervisione pubblica e di  valutazioni di sostenibilità ambientale decise a livello provinciale e di quadri locali impegnati nell’attuazione di politiche ambientali. Starebbe al singolo cittadino, dunque, promuovere tale processo di “civilizzazione ecologica”.

2. Dai propositi ai risultati

Riassumo i quattro i macro obiettivi su cui il sistema cinese si è impegnato dal 2000: a) Riequilibrare il sistema produttivo, attraverso il potenziamento della domanda interna e la riduzione delle esportazioni; b)

Miglioramento della qualità della vita, dell’assistenza sanitaria e dei servizi pubblici; c) Riduzione delle sperequazioni sociali e del divario tra ricchi e poveri; d) Sviluppo delle regioni occidentali, arretrate rispetto a quelle centrali e costiere.

Il primo obiettivo preme di più, poiché una crescita troppo dipendente dall’export come quella che ha conosciuto la Cina non è più in grado di garantire il raggiungimento della ”società armoniosa”. Ormai lo sviluppo sostenibile con investimenti nei nuovi settori strategici (materiali d’avanguardia, biotecnologia, informatica, energie alternative, efficienza energetica, protezione ambientale e hi-tech) testimonia che tale sviluppo non è una copertura di facciata da mostrare alla comunità internazionale per evitare critiche, quanto piuttosto una vera realtà. 

Nel 2016, durante la prima fase di applicazione delle nuove norme sulla qualità dell’aria, nelle 74 città cinesi tenute sotto controllo l’aria è stata ritenuta di buona qualità per il 74,2% dei giorni dell’anno, il 13,7% in più rispetto al 2013; la percentuale di acqua di superficie di buona qualità è cresciuta del 17,9% rispetto al 2010 e anche l’acqua dei grandi fiumi cinesi è sempre più pulita. Inoltre  i programmi di pianificazione urbanistica basati sull’economia circolare e lo sviluppo verde delle industrie sono sempre più praticati. E’ stata vigorosamente promossa una riforma strutturale dell’offerta e sono state avviate politiche finanziarie verdi. I livelli di consumo di energia stanno diminuendo e attualmente la Cina è prima al mondo per quanto riguarda gli impianti idroelettrici, eolici e solari ed è il Paese che fa più ricorso alle energie rinnovabili. 

Secondo l’agenzia ufficiale  Xinhua : “La Cina pubblica nei tempi opportuni le informazioni riguardanti la qualità dell’ambiente, le emissioni inquinanti delle imprese e la ratifica degli studi di impatto sull’ambiente. La popolazione è sempre più cosciente che deve investire nell’edificazione della civiltà ecologica”. Pechino nel 2017 ha avuto una qualità dell’aria migliore registrando più giorni di “aria sana”  ed è migliorata la qualità dell’acqua. Secondo il rapporto pubblicato dall’ufficio municipale della Protezione dell’Ambiente di Pechino “La capitale cinese ha conosciuto 226 giorni con l’aria pulita nel 2017, cioè 28 giorni in più che l’anno precedente, Il numero di giorni con un forte inquinamento è passato da 39 a 23”… “Nel 2017, la densità media del PM 2,5 a Pechino era di 58 microgrammi per metro cubo d’aria, in calo del  20,5% in rapporto al livello medio del 2016 e del 35,6% in rapporto al  2013”. E in realtà anche altri rapporti dicono che a Pechino il livello dei tre principali inquinanti: biossido di zolfo, biossido di azoto e PM 10 è calato rispettivamente  del 20%, 4,2% e 8,7% rispetto al  2016.

3. Riforestazione e parchi nazionali 

Al XIX Congresso Nazionale del PCC (ottobre 2017), l’obiettivo di costruire una “civiltà ecologica” ed integrare lo sviluppo economico-sociale con quello ecologico attraverso il risparmio di risorse, si completava con il progetto di aumentare entro il 2020 la copertura forestale oltre il 23% del territorio.

Come detto nella I parte Il XIX Congresso ha focalizzato la sua attenzione sulla costruzione di un piano globale per il “National Park System” che punta ad una strategia di sviluppo ambientale e sociale attraverso la salvaguardia di 10 parchi nazionali, la protezione di molte specie in via di estinzione e la conservazione di siti storici come la Grande Muraglia Cinese. 

In passato, le riserve naturali tendevano ad essere piccole e offrivano riparo principalmente per una singola specie o avevano un ecosistema incompleto: i parchi nazionali contribuiranno a migliorare questa situazione”, è quanto afferma Cui Guofa, Professore presso il Dipartimento di Riserva Naturale dell’Università di Pechino. L’ambientalista e Direttore del Centro di protezione ecologica, Xianghai  Wang Chunli , tra i massimi esperti di riserve naturali in Cina, esprime soddisfazione per l’impegno del PCC, ma è al tempo stesso molto cauto sulla effettiva realizzazione dei parchi nazionali, in quanto sa quale percorso ad ostacoli deve intraprendere la Cina prima di raggiungere i risultati auspicati entro la metà del secolo.

Tuttavia guardiamo ai fatti e agli obiettivi di riforestazione proposti tra 2015 e 2020.

Con una spesa totale di circa 83 miliardi di dollari negli ultimi 5 anni sono stati piantati in Cina più di 338.000 chilometri quadrati di foreste, un’area grande più della superficie dell’Italia e il programma prevede la riforestazione di altri 66.000 kmq. Entro il 2035 la Cina si è posta l’ulteriore obiettivo di aumentare la percentuale di superficie verde complessiva del paese e portarla dal 23% al 26%. 

Un progetto green per proteggere le risorse naturali e ridurre l’inquinamento nelle aree ecologicamente fragili della Cina è stato avviato dal Consiglio di Stato che ha annunciato l’istituzione di “Ecological red lines”, linee rosse ecologiche per delimitare e proteggere da ulteriori sviluppi urbani le aree in cui sono presenti parchi nazionali, foreste e fiumi. Alcune regioni, inclusa la provincia di Jiangsu, hanno già implementato un tale sistema, ma il piano comprende anche fondi e progetti per la protezione delle aree naturali della provincia di Gansu, delle sorgenti dei fiumi Yangtze  (fiume Azzurro), Yellow  (fiume Giallo) e Mekong nella riserva nazionale di  Sanjiangyuan (provincia del  Qinghai).

Inoltre l’antico progetto di “Trasformare il deserto in un’area verde” è ben rappresentato dai risultati ottenuti nel Deserto di Maowusu (provincia dello Shaanxi) dove oggi il 93,24% della superficie è un’area ricca di vegetazione. L’area di 42.000 chilometri quadrati ha visto le dune sabbiose trasformarsi in terre coltivate, grazie al lavoro incessante degli abitanti della provincia, che diversi decenni fa (dal 1959), hanno iniziato una fitta piantumazione di alberi, rallentando l’avanzata del deserto. Ciò nasce dalla necessità della popolazione di vivere in un’area non soggetta a tempeste di sabbia, un fenomeno che nei secoli scorsi ha costretto la città a trasferirsi per ben tre volte più a sud. Decenni dopo la vegetazione è riuscita ad estendersi per 400 chilometri a nord, così il deserto si è trasformato in un’area fertile. Oggi la produttività di queste terre supera la tonnellata per ettaro: una cifra impensabile rispetto al passato.

4. I pioppi del Bacino del Tarim

Cambiando scenario, andiamo nella Regione Autonoma dello Xinjiang, dove il Deserto del Taklamakan, il più grande della Cina e il secondo più grande al mondo, occupa il maggiore bacino interno, il Bacino del Tarim. Un ambiente estremo in cui i movimenti della sabbia sono frequenti e intensi durante tutto l’anno, i giorni di tempeste di sabbia rappresentano un terzo dell’anno, provocando l’estensione del deserto per circa 100 km verso sud negli ultimi mille anni. Per di più da 50 anni, a causa dell’ intenso utilizzo delle risorse idriche, la desertificazione è accelerata, la biodiversità minacciata, le barriere ecologiche contro il deserto sono state indebolite e le tempeste di polvere sono diventate più frequenti. 

Fin dal 1990, sono stati presi provvedimenti per affrontare questi problemi con una maggiore consapevolezza della necessità di protezione ambientale, l’istituzione di riserve naturali e l’attuazione di una migliore gestione delle risorse idriche del Fiume Tarim e dei suoi affluenti. 

Proprio il Tarim è noto per i grandi banchi di pioppi dell’Eufrate (Populus euphratica). Veri e propri “fossili viventi” che risalgono al periodo terziario. Gli alberi di pioppo nelle vicinanze del Tarim sono i più antichi al mondo, emersi con lo sconvolgimento dell’altopiano del Qinghai-Tibet ed esistenti da oltre 60 milioni di anni. Fossili di questo tipo di pioppo (circa 3-6 milioni di anni) sono stati scoperti negli strati dell’oligocene terziario situato presse le Grotte buddhiste dell’Oasi di  Kuqa  e presso le Grotte Mogao a Dunhuang. Questi alberi hanno caratteristiche fisiologiche che li rendono molto resistenti sia ad inverni ghiacciati che ad estati roventi, aridità, ristagni idrici ed alte concentrazioni saline. 

Sono piante dioiche (auto-propaganti) che producono pollini globulari che mettono radici quando incontrano l’acqua. Hanno anche eteromorfismo (il carattere delle foglie cambia con l’età dell’albero) e una rete di radici che raggiungono profondità di 6-8 m. e si possono estendere orizzontalmente per decine di metri. La radice assorbe il sale dal terreno aumentando la pressione osmotica attraverso la parete cellulare, il che impedisce la salinizzazione del terreno. I pioppi crescono rapidamente quando c’è abbastanza acqua, e il tasso di crescita decelera quando la risorsa idrica è scarsa. Anche se il tronco principale è completamente appassito, la radice può afferrare saldamente il terreno e la sabbia. Pertanto, i pioppi possiedono una potente capacità ecologica di mantenere l’acqua e il suolo, oltre a fissare dune di sabbia. C’è un vecchio detto che gli alberi di pioppo possono prosperare per 1000 anni, resistere saldamente per 1000 anni dopo la loro morte e non marcire dopo essere caduti. Gli specialisti di genetica forestale della FAO considerano questi pioppi come la risorsa che richiede la maggiore conservazione nelle zone aride e semi-aride del globo. Le foreste di pioppi forniscono inoltre habitat e risorse alimentari favorevoli per i microrganismi,  animali selvatici e migratori. Pertanto migliorano la struttura delle catene alimentari e contribuiscono alla stabilità degli ecosistemi di oasi, svolgendo anche un ruolo importante nel trattenere la desertificazione, e fare da barriera ecologica contro le tempeste di polvere.

 Nel 2015 è stato avviato nell’ambito dell’iniziativa Belt and Road (BRI) un grande progetto, gestito dalla Regione Autonoma dello Xinjiang, di tutela e valorizzazione delle foreste di pioppi dell’Eufrate che vengono monitorati in zone di pieno deserto, nelle oasi e lungo i corsi d’acqua, con personale addestrato a seguire i processi di evoluzione delle piante. Ogni guardia forestale ha l’incarico di coprire un’area assegnata (a cavallo, in bicicletta, in barca o a piedi) secondo una scansione temporale stabilita e di relazionare sullo stato di salute dell’ecosistema.

Salvo qualche raro servizio di amatori turistici e appassionati ecologisti, di queste cose non giunge affatto notizia a noi occidentali che siamo tanto disastrosamente disinformati e coinvolti nella propaganda anticinese di fandonie per la violazione dei diritti umani in Xinjiang.