
di Rodrigo Rivas
Su José Mujica, detto “Pepe”, c’è molto da raccontare e tanto da meditare.
Raccontare del fiorista venditore di calle, il fiore che – prendendo nome dal greco kalos – significa “bella” e anche del guerrigliero tupamaro; meditare sul carcerato, 12 anni, rinchiuso in una cella di 1,25 per 2 metri, costretto a pisciare per terra, e anche del presidente che liberalizzò la marihuana e legalizzò l’aborto e il matrimonio ugualitario; raccontare e meditare sul vecchio agricoltore, la sua sgangherata Maggiolino e la sua cagnetta Manuela che aveva solo tre gambe, e anche sul filosofo casalingo che ci lascia tante pillole di saggezza. “Il tempo ci abbandona, perchè buttarlo via in cazzate?, “Ho sempre detto che il migliore dirigente è quello che lascia gente giovane migliore di lui. E la mia gente lo è”, “Partecipare all’iperconsumo è aumentare la redditività del capitale”, “Rinuncio al 80% del mio stipendio perché il 20% mi basta. Ma il mio contributo non basta per aumentare la spesa ìn educazione. Penso che pure i membri del governo debbano dare qualcosa. Ma nemmeno questo basterà. Per trovare le risorse necessarie, dovremo mettere le mani nelle tasche delle 40-50.000 persone che possono dare una mano. Ma prima bisogna che ci rendiamo credibili. Altrimenti potrebbero dire che esigo da loro ciò che noi non diamo” …
Ci sarà tempo.
Oggi, mentre a Montevideo inizia la sua veglia, è tempo di rimuginare e ordinare ricordi, pensieri, applausi, contestazioni …
Volendo comunque omaggiarlo ricordo quella che, molto probabilmente, è stata la sua ultima poesia.
L’ho tradotta e pubblicata qualche mese fa dopo che l’amico uruguaiano Roberto Scordato me la fece conoscere.
Per ora basta.
Abbraccio Aurora, Tuchi ed i tanti buoni amici orientali.
La veglia suggerisce che siamo nel tempo del tacere.
Vi racconto
Sono stato guerriero tupamaro, agricoltore e politico.
Ma sono stanco.
Senza smettere di essere ciò che sono stato.
Soprattutto, guerriero.
Ma ora sto morendo
e pure il guerriero ha diritto al suo riposo,
lo impone il tumore che mi sovrasta.
Tutte le strade della mia terra portano al mio cuore e so distinguere
ciò che è passeggero da ciò che è definitivo.
Sono stato io ad aver scelto questa strada
e non mi lagno dall’essere arrivato qui, a 89 anni.
Ma ho bisogno di silenzio.
Il silenzio è la fonte dei venti
che portano via l’eco de la vita,
le pugnalate ostili,
i denti, le spille, le bare,
gli strappi delle migliaia di brividi,
i turbinii di pianti e cordogli.
Lasciatemi nel silenzio
all’ombra dei miei fichi e dei miei meli,
della lingua che resiste alle parole
che feriscono a tradimento,
delle sponde che baciano i tramonti
leccati dalle onde.
Ridatemi il silenzio,
poiché voglio curare la ferita
che mi lascio nell’anima
il dolore delle foreste devastate,
dei boschi di cemento dove crescono
la povertà insuperabile,
la giustizia non realizzata,
le libertà infrante.
Ridateml il silenzio,
poiché voglio ritornare ai miei ortaggi,
mentre, tranquillamente,
In attesa della pace inevitabile,
medito sulla bellezza della vita,
su quante volte sono caduto e su quante altre mi sono rialzato,
sui buoni amici che mi accompagnarono
e hanno persino ballato insieme a me.
Ridatemi la pace
e non chiedetemi più parole.
Ho bisogno del miracolo
delle labbra chiuse
delle bocche mute
delle ombre tiepide
dei battiti assenti.
Guerriero sono e continuerò a lottare,
senza tregua, mai sconfitto.
La vita è sempre avvenire.
La vita mi perseguita
pur se sto morendo.
Quanta vita c’è nella morte!
Quanta di più c’è nella vita!
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