Chi sono e che cosa chiedono i 72 milioni di elettori di Donald Trump

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di Davide Rossi 

Dunque 72 milioni di donne e uomini, bianchi, neri, ispanici, giovani e anziani, hanno votato Donald Trump. Leggere i giornali oggi conferma quello che si legge da otto anni, in un rapporto simbiotico, Trump e i suoi elettori sarebbero uguali. Sprezzanti, fascisti, volgari, aggressivi, dittatoriali, xenofobi, truffatori, bugiardi, squilibrati, razzisti, golpisti e predatori sessuali, solo mettendo insieme le simpatiche definizioni espresse in quattro righe da un editorialista della Svizzera Italiana, uno dei tanti dell’universo liberal che piange e si dimena per la sconfitta della democratica e “progressista” (in che cosa progressista se lo sono inventati loro) signora Harris, familiarizzata mediaticamente come l’amica Kamala, inchiodatasi, nonostante una campagna mediatica interna e internazionale senza precedenti, al consenso di 67 milioni di statunitensi. Certamente qualche burlone senza argomenti ci racconterà che son stati gli hacker  russi.

Ora, dando anche per buono che un paio di milioni di elettori statunitensi rientrino nelle orrorifiche categorie dispiegate tutti i giorni dai liberal, rimarrebbe da analizzare chi siano gli altri 70 milioni di elettrici ed elettori, che tra l’altro son sempre più dei 67 milioni della signora Harris.

Sommariamente e sommessamente, in una prima e molto sbrigativa analisi, possiamo dire che non siamo di fronte all’America di Trump, ma siamo di fronte a donne e uomini statunitensi che hanno compiuto una scelta politica chiara e netta, chiedendo a Trump di renderla operativa. Poi come “La Repubblica” si può realizzare una prima pagina in cui si paragona Trump all’orco delle favole, ma la favola vera, simmetrica e opposta di considerare la signora Harris la fatina buona è più demenziale ancora di raccontare Trump come un mostro terrificante.

Primo punto, Trump ha detto, dopo l’elezione, che terminerà le guerre e non farà guerre, come per altro dimostrato nel suo primo mandato, questo il motivo principale per cui è stato votato, lo spettro della Terza Guerra Mondiale si allontana almeno di quattro anni, anche il presidente cinese ha salutato la sua elezione con un appello alla pace e alla cooperazione. Ora, anche nel più sperduto bar del Minnesota tutte e tutti sapevano a perfezione che la signora Harris voleva portare di corsa il mondo in guerra con Cina e Russia per provare a salvare l’impero a stelle e strisce e i suoi dollari sempre meno utilizzati sul pianeta. 

Le elettrici e gli elettori di Trump hanno detto chiaro e netto che la guerra non la vogliono, che miliardi di dollari da investire in armi per salvare l’impero non devono essere spesi. Vogliono piuttosto che vengano utilizzati per la sanità, per il lavoro, per le fabbriche. 

Il trombettiere atlantico Gianni Riotta, già mesi fa spiegava – pensate, lo spiegava pure lui – che il Partito Repubblicano non è più la fotocopia di quello Democratico, ma un partito di operai, lavoratori, disoccupati, piccoli produttori agricoli, donne e uomini che chiedono un futuro in cui ribaltare le logiche dell’impoverimento a cui la deriva liberal – liberista estremista della finanza speculativa li ha condannati. 

Ora, solo i nostri media hanno fatto finta di non sapere che cosa sia successo negli Stati Uniti tra il 2016 e il 2020, gli anni in cui per volontà di Trump i salari sono aumentati in accordo coi sindacati, pure in Messico, pensa un po’, per ridurre le delocalizzazioni, le tasse sono state ridotte per gli imprenditori che hanno riportato le aziende sul suolo statunitense, impiegando manodopera interna, sono state aumentate con pesanti dazi per chi produce all’estero e poi re – importa, recuperando anche denaro per iniziative sociali. 

Gli operai neri e ispanici, uomini e donne, questi fatti concreti del quadriennio 2016 – 2020 se li sono ricordati e li hanno trasformati in voti nelle urne. 

Invece di continuare dunque a parlare dell’orco cattivo, gli analisti liberal – atlantisti studiassero un poco di più che cosa sono gli Stati Uniti.

Forse scoprirebbero che esiste un popolo non di mostri, ma di persone che sanno che si mangia pane e salame e non pane e impero. Gli Stati Uniti non sono più quelli di venti anni fa, aspirazioni, desideri e interessi delle masse popolari non coincidono più con i piani di dominio planetario dei gruppi affaristico – politico – speculativi che cercano di mantenere il potere a Washington e con esso la sua proiezione in ogni angolo della terra. 

Certo, se questo è il passaggio epocale che si dipana all’orizzonte, esiste il rischio, anche per la grave incapacità di Trump di costruire interno a sé un gruppo dirigente coerente con il progetto preteso dagli elettori, che spinte distruttive, guerrafondaie, speculative, in cui gli interessi di quella porzione del grande capitale che si è schierato con Trump per cercare di ammorbidire se non eludere le richieste degli elettori, possa non solo mettere i bastoni tra le ruote, ma rappresentare il volano principale per cercare di impedire che quanto i cittadini si attendono e si aspettano non venga realizzato. 

Ho sempre trovato un po’ demenziale il vagheggiamento di una nuova guerra civile statunitense, ho invece certezza che la guerra tra i rappresentanti politici ed economici dei vecchi apparati imperiali statunitensi (politica – media – finanza) e i rappresentati di questa clamorosa e definitiva svolta non isolazionista, ma chiamata a reinventare la nazione sulla base di una introspezione culturale e produttiva autoriferita e non più volta a imporsi al globo terraqueo, sarà non solo feroce, ma violentissimo, nei prossimi mesi ne vedremo le modalità e le forme.

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