Chi ha sabotato il Nord Stream? Se troppi indizi fanno una prova…

di Alessandro Di Battista

da https://www.lindipendente.online/2022/10/04/chi-ha-sabotato-il-nord-stream-se-troppi-indizi-fanno-una-prova/

“La nuova rotta di approvvigionamento del gas per l’Europa”. Questa la scritta che campeggiava l’8 novembre del 2011 – giorno della cerimonia di apertura del Nord Stream – dietro ai volti sorridenti di alcuni dei politici europei più importanti di allora. Era raggiante la cancelliera tedesca Angela Merkel, conscia del fatto che quel progetto avrebbe sostenuto la crescita industriale tedesca per decenni. Era raggiante Dmitrij Medvedev, allora Presidente della Federazione Russa, conscio dei miliardi di euro europei che sarebbero arrivati a Mosca. Era raggiante Mark Rutte, Primo Ministro dei Paesi Bassi, conscio che lo sviluppo tedesco avrebbe consentito una robusta crescita olandese. Anche il premier francese François Fillon, seppur moderatamente, appariva soddisfatto. L’Europa – ancor convalescente per la crisi economico-finanziaria legata alla bolla dei mutui subprime – si stava rafforzando.

I francesi in verità erano concentrati soprattutto sul dossier libico. Gheddafi era stano assassinato da pochi giorni, il presidente Sarkozy tirava sospiri di sollievo e Putin provava a tenere a bada i falchi del Cremlino inviperiti per la deposizione del rais, un buon amico di Mosca, mostrando loro gli introiti che sarebbero arrivati grazie alla vendita del gas a Berlino. C’era chi esultava insomma, e, chiaramente, c’era chi si preoccupava. L’apertura del Nord Stream aveva con ogni probabilità disturbato il sonno di diversi politici ed oligarchi americani (anche i CEO delle principali imprese energetiche USA sono, di fatto oligarchi anche se nessuno osa chiamarli così). Vi era preoccupazione anche in Polonia ed Ucraina, paesi attraverso i quali, fino all’apertura del Nord Stream, passava il gas russo con destino Europa centrale e meridionale. D’altro canto i primi gasdotti vennero progettati, costruiti ed inaugurati in piena epoca sovietica. Erano gli anni ’80, dal punto di vista geopolitico un’altra era. La Polonia era parte del Patto di Varsavia e l’Ucraina una delle quindici repubbliche dell’URSS. I diritti di transito, dunque, non preoccupavano Mosca né economicamente e né politicamente. Quei gasdotti esistono ancora. Yamal porta il gas siberiano in Germania attraverso Bielorussia e Polonia. Soyuz e Brotherhood passano per l’Ucraina. Si tratta di gasdotti oggi strategicamente ancor più importanti visti i sabotaggi alle condutture del Baltico.

2011, l’inizio dei tentativi di boicottaggio

Il 2011 oltre ad essere l’anno dell’entrata in funzione del Nord Stream 1 è l’anno in cui Gazprom inizia pensare un robusto ampliamento del gasdotto baltico, ovvero inizia a pensare al Nord Stream 2. La Merkel sostiene il progetto e gli americani cominciano, davvero, a preoccuparsi. Una volta costruito e messo in funzione il nuovo gasdotto l’unione tra la Russia, potenza energetica e l’Europa, potenza economica ed industriale, sarebbe stata molto più difficile da abbattere. Per ottenere maggiori informazioni sull’asse Mosca-Berlino i servizi segreti statunitensi, sembra con il sostegno della Danimarca, intercettano la Merkel. La Merkel non era soltanto la politica più influente del Vecchio continente e neppure la cancelliera del motore economico europeo. Era (ed è) una donna capace di comprendere le esigenze russe, di tenere a bada alcune pericolose pulsioni di Mosca, di garantire una maggiore sovranità tedesca (e, in parte, europea) e di poter, lentamente, affrancare l’Europa da moderne forme di imperialismo. In pratica, era la politica più temuta a Washington.

L’ex cancelliera tedesca venne intercettata tra il 2012 ed il 2014. Gli USA conoscevano il suo rapporto privilegiato con il Cremlino. La Merkel parla russo, è nata e cresciuta nella Repubblica Democratica Tedesca, si è laureata all’Università di Lipsia, in Sassonia, lo Stato federato dove il Kgb, nel 1985, inviò a lavorare un giovane agente segreto russo, Vladimir Vladimirovič Putin. La Merkel ha sempre creduto che parte dello sviluppo europeo fosse legato al rafforzamento delle relazioni euro-asiatiche. Da qui i progetti sul gas, la via della Seta e gli innumerevoli viaggi “istituzionali” a Pechino.

Ad ogni modo nonostante le pressioni subite la Merkel tirò dritto. Nel 2015 Gazprom firmò i primi accordi per la costruzione del Nord Stream 2 con alcune aziende europee. Nel 2018 il governo tedesco concesse a Gazprom l’utilizzo delle acque tedesche per la posa dei tubi. Ad ogni km di condotto terminato cresceva l’irritazione a Washington. Dopo il colpo di Stato a Kiev che ha provocato la fuga di Viktor Janukovyč (golpe favorito da USA e GB) i russi hanno deciso di accelerare con il Nord Stream 2 per poter, il prima possibile, ridurre le fornitura all’Europa tramite i gasdotti che passano per l’Ucraina fino a chiuderli del tutto.

Quando l’Europa (e l’Italia) rivendicavano rapporti proficui con Mosca

Nel 2019, mentre l’ambasciatore USA a Berlino indirizzava lettere di fuoco alle imprese coinvolte nella costruzione del NS2 arrivando a minacciare sanzioni, Donald Tusk, già premier polacco e, allora, Presidente del Consiglio europeo, tuonava contro il gasdotto del Baltico considerando l’opera contraria agli interessi europei. Nel 2017 aveva provato a convincere Junker che il NS2 fosse un errore strategico per l’Europa. Senz’altro la sua messa in funzione avrebbe danneggiato gli interassi polacchi. È in quegli anni che la Nato pensa di istallare sistemi missilistici in Polonia capaci di arrivare in un batter d’occhio sulla piazza Rossa. E in Italia cosa accadeva? Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella visitava il Cremlino e dichiarava: «l’Unione europea e la Russia sono destinate a collaborare, è nella logica delle cose che collaborino». Sempre nel 2017, Bruno Vespa, uno dei più influenti giornalisti del mainstream italiano diceva: «Bisogna riconoscere che l’Occidente ha sbagliato con Putin. Io sono sempre dell’idea che quando vinci non devi stravincere: non devi umiliare lo sconfitto. Ma come gli è venuto in mente di mettere i missili in Polonia? Di pigliarsi… io capisco che l’Estonia, la Lettonia, la Lituania non vedevano l’ora perché Stalin se l’era prese così, come la grande manona di un cartone animato che si piglia il frugoletto, e quindi avevano voglia, ma come ti viene di farci la Nato, i missili lì dentro, in casa di Putin, in quella che è stata casa di Putin. Era meglio fare una fascia, diciamo, di apparente neutralità, filo occidentale, ma senza esagerare. E quello poi, quello poi se l’è presa eh». Per la cronaca nel 2017 la Russia si era già annessa la Crimea e sosteneva militarmente le autoproclamate Repubbliche del Donbass.

Verso i giorni nostri: le minaccie di Blinken e Biden

Nel 2021 il neo-segretario di Stato USA Blinken iniziava la sua crociata contro il Nord Stream 2. Il 23 marzo del 2021, in una conferenza stampa insieme al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg dichiarava: «il Nord Stream 2 è una pessima idea sia per l’Europa che per gli Stati Uniti» per poi aggiungere una frase gravissima: «il progetto è in contraddizione con gli obiettivi di sicurezza energetica dell’Unione europea». Le ingerenze non andavano più neppure dissimulate, al punto che il portavoce della Casa Bianca arrivò a ipotizzare pubblicamente sanzioni economiche contro l’Europa. D’altro canto le aziende energetiche USA alzavano la voce consapevoli degli affari d’oro che avrebbero potuto fare vendendo gas liquido in Europa e, soprattutto, l’era Merkel stava giungendo al tramonto.

Blinken, più volte, minacciò di sanzionare tutte le imprese europee coinvolte direttamente o indirettamente nella costruzione del gasdotto. Ma i lavori andavano comunque avanti. Mosca aveva ottenuto i permessi necessari e continuava a pagare l’opera con denaro fresco proveniente dalla vendita del gas attraverso il NS1.

Il 7 febbraio scorso, con il NS2 praticamente ultimato, alla Casa Bianca, di fronte al neo-cancelliere Olaf Scholz particolarmente incline al silenzio Biden disse: «Se la Russia invade l’Ucraina, non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a questo». A quel punto una giornalista ebbe il coraggio di porre a Biden una domanda più che legittima: «Come farete esattamente, visto che il progetto è sotto il controllo della Germania?». «Vi garantisco che saremo in grado di farlo», rispose Biden. L’edizione online di Repubblica concedendosi libertà poetica di traduzione riportò così le parole del Presidente USA: “Se Putin invade Nord Stream 2 salta”. In effetti è saltato.

Un mese prima parole simili erano state pronunciate da Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per gli affari politici USA con delega all’Ucraina: «Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro Nord Stream 2 non andrà avanti». E in un modo, o nell’altro, non è andato avanti. La Nuland era salita alla ribalta quando, nel gennaio del 2014, parlando della crisi ucraina con l’allora ambasciatore USA a Kiev Geoffrey Pyatt, riferendosi all’Europa, disse: «Fuck the Eu».

Se troppi indizi fanno una prova…

Il resto è storia recentissima. Il 27 settembre scorso, il giorno dei sabotaggi ai gasdotti del Baltico, l’europarlamentare polacco Radosław Sikorski, già Ministro degli affari esteri di Varsavia, ha pubblicato – e poi cancellato – su Twitter la foto aerea della fuoriuscita del gas del Baltico (tra l’altro un disastro ambientale) con un inequivocabile «Thank you, USA». Poco dopo, sempre su Twitter, ha aggiunto ironicamente: “adesso 20 miliardi di dollari di ferraglia giacciono in fondo al mare, un altro costo per la Russia per la sua decisione criminale di invadere l’Ucraina. Qualcuno ha fatto un’operazione di manutenzione speciale”.

Tre giorni fa, il segretario di Stato Blinken, a Washington, a margine di un incontro con Mélanie Joly, ministro degli affari esteri del Canada, rispondendo ad una domanda sulla crisi di approvvigionamento dovuta ai danni al NS1 e al NS2, ha dichiarato: «è una straordinaria opportunità per rimuovere una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e quindi togliere a Vladimir Putin l’armamento dell’energia come mezzo per far avanzare i suoi progetti imperiali».

A questo punto non possiamo ancora sapere con certezza (forse non lo sapremo mai) chi abbia sabotato o dato l’ordine di sabotare i due gasdotti del Baltico. Ma gli indizi messi in fila ci permettono certamente di stabilire a chi è convenuto. Alla Polonia, alla Norvegia, alla Danimarca, alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti. A qualcuno conviene maggiormente l’indebolimento della Russia. Ad altri quello della Germania (e la conseguente crisi industriale italiana). Sappiamo, inoltre, che la Russia, prima o poi, tornerà a vendere il proprio gas. D’altro canto è già in costruzione un nuovo immenso gasdotto che porterà il gas siberiano in Cina attraverso la Repubblica di Buriazia e la Mongolia. Non sappiamo, invece, quando e come la Germania si riprenderà dalla recessione dovuta anche alla fine dei progetti geopolitici disegnati durante l’era Merkel. La stessa Merkel che, alcuni giorni fa, ha lanciato un vero e proprio grido di dolore (e terrore): «prendere seriamente le parole di Putin, non respingerle a priori solo come un bluff, ma gestirle seriamente, non è affatto un segno di debolezza o acquiescenza, ma un segno di intelligenza politica. Una saggezza che aiuta a preservare spazio di manovra o perfino così importante che aiuta a svilupparne altri». Vedremo nei prossimi giorni se verranno prese seriamente o meno la parole di Putin. Senz’altro, negli ultimi quindici anni, dalle parti di Washington, hanno preso sul serio tutti i progetti euro-asiatici a guida tedesca (e, a volte, sostenuti anche dall’Italia). D’altronde l’obiettivo strategico nordamericano è chiaro. Impedire in ogni modo il vincolo tra Russia ed Europa. E forse, geo-politicamente parlando, i sabotaggi dei gasdotti del Baltico, più che un attacco alla Russia, appaiono un attacco all’Europa, o ad una parte di essa. Chi non l’ha ancora capito, purtroppo, lo capirà nei prossimi vent’anni.

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