Bahrein: instabilità politico–religiosa e viaggio del Papa

di Maria Morigi

Il 12 novembre 2022 le elezioni parlamentari in Bahrein vedono un numero record di candidati, ma non appaiono candidati d’opposizione. Nessuno dei gruppi Al-Wifaq e Wa’ad ha presentato la propria candidatura per non essere vittime delle leggi di “isolamento politico” o di altre tattiche spregiudicate mirate a tenere fuori dalla vita pubblica attivisti ed ex membri dell’opposizione. Nel frattempo i media esaltano la visita del Papa che, accolto calorosamente dal sovrano Hamad bin Isa Al Khalifa (sunnita), pare voglia dare una contributo al dialogo interreligioso.

Noto per il suo petrolio e le sue perle, Il Bahrein, alle coste occidentali del Golfo Persico, è un piccolo Stato situato su un arcipelago di 33 isole con capitale Manama, da tempo presidiata dalla Quinta Flotta degli Stati Uniti. Da Emirato, il Bahrein è diventato (solo di nome)una Monarchia costituzionale nel 2002. Di fatto è una monarchia assoluta il cui re è l’ultimo discendente della famiglia Al Khalifa, che da più di due secoli amministra lo Stato. Un totale di milione e mezzo di abitanti sono per più del 70% di fede sciita: una maggioranza localizzata principalmente nell’isola di Sitrah, che vive in condizioni di povertà, forte discriminazione sociale e nessuna rappresentatività politica. La famiglia reale, protetta dall’alleato USA, è invece di fede sunnita e sostiene la minoranza sunnita (con gli stranieri che fanno affari) costituita da benestanti borghesi e imprenditori.

In politica estera il Bahrein aderisce alla coalizione araba contro lo Stato Islamico; è alleato-chiave degli Stati Uniti per gli equilibri mediorientali e si distingue per l’azione efficace di contrasto delle presunte interferenze geopolitiche da parte dell’Iran sciita. Per semplificare, gli Sciiti del Bahrein sono appoggiati dall’Iran, i Sunniti sono appoggiati dall’Arabia Saudita. E fin qui niente di nuovo se pensiamo che, ad esempio, anche in Afghanistan gli Hazara Sciiti erano (e sono ancora) protetti dall’Iran e accolti come profughi contro le persecuzioni dei Talebani Pashtun Sunniti.

Fin dagli anni ’90 in Bahrein furono represse con la violenza rivolte sciite suscitate dal gruppo Al-Wifaq, con leader Scheikh Ali Salman, movimento che poi confluì nel principale partito sciita di opposizione. Prima dello scioglimento da parte della magistratura – rispettivamente nel 2016 e col decreto 5 marzo 2017 che ha approvato il processo contro i civili nei tribunali militari – l’opposizione al governo era formata dal Partito Al-Wifaq (Al Wifaq National Islamic Society), dal partito di sinistra Wa’ad (National Democratic Action Society) e dall’ Haq (Movement for Liberty and Democracy), formato nel 2005 da ex membri dei primi due partiti. Nel 2016 venne chiuso l’ultimo quotidiano indipendente della nazione. Comunque gli anni 2000 furono travagliati da continue manifestazioni di piazza ed elezioni manipolate.

Per avere un quadro completo, ricordiamo il 14 febbraio 2011, quando iniziarono sommosse popolari ininterrotte fino al 2014: fu la cosiddetta Rivolta delle Perle, sulla scia delle Primavere Arabe, per più libertà e diritti e per un cambiamento costituzionale. In marzo 2011, il Re dichiarò lo stato di emergenza di tre mesi. Soldati sauditi e agenti degli Emirati vennero spiegati come forza di intervento inter-araba e iniziò una repressione brutale che causò 3 morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti.

L’intervento delle forze esterne ebbe il beneplacito degli USA con la giustificazione che l’Iran avrebbe interferito appoggiando i ribelli sciiti. La questione ha interessato anche la stabilità interna stessa dell’Arabia Saudita, dove solo il 10% della popolazione di fede sciita è concentrata nella zona di confine con lo Yemen e nella regione ricca di petrolio che si affaccia sull’arcipelago del Bahrein.

Inoltre c’è da sottolineare che il cruento intervento saudita in aiuto alla monarchia Al Khalifa ha provocato una frattura all’interno del movimento di opposizione: da un lato gli Sciiti che combattono per la caduta del regime, dall’altro lato i Sunniti monarchici che vogliono ottenere moderate riforme politico-sociali. E si deve considerare che prima del pesante intervento saudita, le opposizioni sunnita e sciita erano unite nella richiesta di porre fine al sistema di privilegi e ottenere maggiori diritti per il popolo. Al contrario – in una narrazione dei nostri media del tutto riduttiva – tutto ciò viene liquidato come uno scontro settario tra religioni: Sunniti contro Sciiti.

Una ondata di repressione è coincisa con la visita in Arabia Saudita di Trump (maggio 2017) che sembrava voler migliorare le relazioni dopo gli attriti intercorsi durante l’amministrazione Obama per la questione dei diritti umani. Tuttavia, anche alle elezioni parlamentari del 2018, le leggi sull’isolamento politico, varate nei due anni precedenti, impedirono ad almeno 12 esponenti dell’opposizione di candidarsi.

Gli attivisti bahreiniti di opposizione operativi all’estero denunciano ora la recente politica economica, presentata come modello di sviluppo (“dialogo nazionale”) ma che in realtà grava pesantemente soprattutto sulla popolazione sciita e ha già portato molte fasce di cittadini alla povertà; riferiscono anche che le figure religiose sciite sono colpite con arresti arbitrari, torture, processi, revoca di cittadinanza e deportazione forzata. Il movimento al-Wefaq ha registrato più di 500 casi di arresti, convocazioni e processi, sottolineando che i verdetti (cioè multe ingenti, abolizione della nazionalità, ergastolo e pena di morte) hanno preso di mira più di 50 religiosi sciiti.

In questo quadro c’è da chiedersi: che cosa è andato a fare Papa Francesco in Bahrein? A sostenere lo sparuto gruppo di cristiani che opera nelle missioni? A farsi immortalare accolto dal sovrano assoluto sunnita? A tentare l’avvicinamento Sunniti-Sciiti che non è riuscito a datare dal 632 d.C., anno di morte del Profeta, quando i suoi seguaci si divisero sulla questione di chi avrebbe ereditato la carica religiosa e politica del fondatore dell’Islam? Non sarebbe meglio arrendersi alla Storia che lascia segni indelebili e abissi non colmabili da ricette di buona volontà?.

Infatti Fitna, “prova, tribolazione, corruzione, litigio, guerra civile”, fu il primo drammatico scontro politico e teologico all’interno dell’Islam all’epoca dei cosiddetti “Califfi ortodossi” (657 – 661). La maggioranza – coloro che divennero Sunniti – appoggiarono Abu Bakr, suocero e compagno di Maometto. Per gli altri – quelli che divennero Sciiti – il successore andava individuato tra i consanguinei di Maometto, che aveva designato ‘Ali ibn Abi Talib, suo genero e Quarto Califfo. La frattura divenne definitiva nel 680 con la battaglia di Kerbala, vinta dal Califfato Sunnita. Da allora i governanti Sunniti hanno monopolizzato il potere politico, mentre gli Sciiti, nella convinzione di essere emarginati, esclusi ed oppressi, previlegiarono la guida dei loro Imam, lontani dalla gestione politica del potere.

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