Aspettando il fallimento della Russia chiudono le banche americane

di Marco Pondrelli

Mentre continuiamo ad aspettare con ansia il promesso crollo dell’economia russa, assistiamo al fallimento di due banche statunitensi e la drammatica crisi del Credit Suisse. La questione merita una breve riflessione, sopratutto per quello che riguarda la Silicon Valley Bank (SVB).

Questa banca finanziava le start up ed è entrata in crisi, lo si può leggere sui resoconti di questi giorni, a causa del rialzo dei tassi d’interesse da parte della Fed. Questo rialzo ha colpito le start up a cui erano stati prestati soldi, gli interessi sul debito sono diventati più cari e quindi queste aziende hanno ritirato i propri risparmi dalla banca. La Silicon Valley Bank non avendo liquidità sufficiente per restituire i soldi depositati ha dovuto vendere i propri asset composti in prevalenza da titoli di Stato, che a causa dell’aumento dei tassi avevano perso valore quindi la banca ha accumulato una perdita che l’ha portata al fallimento.

I controlli nel 2018, per volontà dell’allora Presidente Trump, erano stati resi meno stringenti per cui nessuno ha avuto nulla da osservare quando SVB ha iniziato a garantire il suo patrimonio con investimenti finanziari, che per definizione sono esposti alla volatilità dei mercati. Le autorità politiche e di controllo si sono precipitate a dichiarare che non vi è alcun rischio sistemico e che il problema sarà superato senza perdite per i correntisti e senza ulteriori esborsi per i contribuenti. Vedremo nel prossimo periodo se questo ottimismo avrà un seguito, quello che mi preme sottolineare è la fragilità del sistema economico-finanziario occidentale.

Il problema è che in questi anni il denaro a basso costo ha ‘drogato’ i mercati e ad ogni minimo rialzo dei tassi il sistema ha una ‘crisi d’astinenza’, la SVB è stata vittima dell’eccessiva liquidità che l’ha portata a finanziare aziende a rischio e a investire in titoli di Stato. Torna il problema della finaziarizzazione dell’economia, oramai la finanza e l’economia manifatturiera viaggiano su binari separati.

Domandiamoci perché il 2007-08 non ha insegnato nulla, la riforma approvata dal Congresso e fortemente sostenuta da Barack Obama, la Dodd Frank, non solo non ha risolto il problema ma anzi lo ha peggiorato. La verità è che nessuno è interessato a correggere gli errori che hanno portato alla crisi dei mutui sub prime. La forza del sistema finanziario non può essere limitato e anche la politica oggi ne è diventata ancella. È per questo che una proposta di buon senso come quella di separare banche commerciali e banche d’investimento non avrà mai seguito, se riguardiamo la storia degli USA questa riforma fu possibile per Franklin Roosevelt solo perché prima c’era stata la crisi del ’29, questo mi convince che il sistema, a prescindere da quello che succederà questa volta, è incapace di autoriformarsi, un cambiamento radicale potrà esserci solo dopo una crisi sistemica.

Oramai nel mondo girano derivati per quantità enormemente superiori al PIL, è un (dis)equilibrio che non potrà durare per sempre.

Dall’altra parte va sottolineato come lo sviluppo cinese sia diverso, non voglio affermare che in Cina è stato costruito il socialismo, sono i cinesi i primi a dire che non è così, ma la struttura economica cinese vede un ruolo forte e preponderante dello Stato, solo a titolo d’esempio ricordo che le quattro maggiori banche cinese sono pubbliche. È un caso se in Italia le peggiori crisi bancarie, a partire da Monte dei Paschi, si sono sviluppate dopo le privatizzazioni? Questo non vuole dire che prima non ci siano mai state delle crisi ma non c’erano sistemiche come ora. Il modello cinese, pur con tutti i suoi problemi, è più solido e anche la crisi del settore immobiliare a differenza di quello che successe negli Stati Uniti non coinvolge tutto il sistema. Molti diplomatici raccontano di come dopo la crisi del 2008 negli incontri internazionali le delegazioni cinesi divennero più assertive. Dal 2008 il ruolo cinese si è rafforzato ulteriormente, il maggior protagonismo in campo internazionale, dal dialogo fra Iran e Arabia Saudita al tentativo di mediazione in Ucraina, è la dimostrazione di un Paese forte che può mettere il proprio peso economico e commerciale sul tavolo delle trattative.

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