La polveriera del Baluchistan e “China-Pakistan Economic Corridor”

Pakistan Baluchistan Marx21riceviamo e pubblichiamo

di Maria Morigi

Al nostro piccolo gruppo (interessato a siti archeologici e ben guidato) sembrava davvero eccessivo essere scortati, nel Sindh, da Polizia locale con camionetta blindata per ogni spostamento, e da militari con mitra spianato per le visite a piedi. Ma abbiamo dovuto accettare, senza discutere, quello che era stato stabilito… salvo poi comprenderne bene i motivi .

La regione del Baluchistan, tagliata in due dal confine con l’Iran, si estende in Pakistan fino a confinare con le Province del Sindh e del Punjiab; è la più vasta e meno sviluppata delle quattro regioni pakistane, dove il 70% della popolazione vive in condizioni di povertà assoluta e dove il governo non ha ancora attuato politiche efficaci per contrastare l’esclusione economica. I Baluci, una comunità emarginata ed impedita a sfruttare le ricchezze del proprio territorio (gas naturale, carbone e minerali), contestano il governo di Islamabad, chiedono una maggiore autonomia ed una forma di governo meno autoritaria, invasiva e centralizzata. 

Il Baloch Liberation Army (BLA) il più grande nella galassia di movimenti indipendentisti del Baluchistan, è la formazione militante da cui provengono spinte separatiste e jihadiste che hanno prodotto e ancora producono un pesante tributo di sangue, sia per l’Iran sia per il Pakistan (l’immensa area frontaliera tra i due Paesi è oggi una delle aree più pericolose al mondo).

Il movimento BLA, nato nel 2000, raccoglie l’eredità dei movimenti indipendentisti baluchi degli anni ’70; leader è Khair Bakhsh Marri, appartenente ad una delle due potenti tribù (Marri e Bugti). Nocciolo duro della resistenza balucha, le due tribù occupano vaste aree nel nord (Marri) vicine alle principali zone estrattive (giacimenti di petrolio, gas e minerali preziosi) e nel sud (Bugti) vicino all’ unico sbocco al mare del Pakistan, lo strategico porto di Gwadar sul Mare Arabico.

L’indipendentismo in Baluchistan ha inizio nel 1948 con il trattato di cessione al Pakistan del preesistente Stato baluchi, il Khanato di Kalat, fino ad allora dominio britannico. Il trattato, pur garantendo l’indipendenza del Khanato, rimetteva al Pakistan le funzioni di governo. Le rivendicazioni etno-nazionaliste per una maggiore autonomia dal Pakistan si sono saldate, in seguito, con le proteste relative alla distribuzione delle risorse, eccessivamente sbilanciate a favorire la maggioranza etnica Punjabi. Ma anche l’estremismo jihadista di matrice sunnita e l’irredentismo anti-indiano si stanno rafforzando e saldando.

L’11 agosto 2019 cinque operai cinesi, mentre si dirigevano al proprio cantiere, sono stati feriti nei pressi di Dalbandin, circa 200 chilometri a sud di Quetta, a dimostrazione che oggi anche i lavoratori cinesi vengono colpiti con frequenza da gruppi separatisti. Il 23 novembre 2019 tre terroristi del BLA, hanno attaccato il Consolato cinese a Karachi, uccidendo due uomini del personale di sicurezza locale. Il BLA, vede infatti nella Repubblica Popolare Cinese una nuova potenza coloniale e, di conseguenza, un pericolo. 

Allargando lo sguardo a scenari internazionali si deve sottolineare che la Cina è preoccupata per i legami tra militanti nelle frontiere pakistane e gli Uiguri del Movimento Islamico del Turkestan orientale (ETIM) nella regione autonoma dello Xinjiang, poiché dopo l’11 settembre 2001, i membri dell’ETIM insieme ad altri gruppi jihadisti hanno trovato rifugio nelle aree tribali ad amministrazione federale del Pakistan. Sotto pressione di Pechino, l’esercito pakistano con l’intervento militare nel Waziristan del Nord (2015) si era mosso contro i militanti uiguri, tanto che molti Uiguri si sono rifugiati in Afghanistan.

Negli ultimi tempi l’attività del BLA ha registrato un significativo crescendo con sanguinosi attacchi contro l’esercito di Islamabad, fino ad assaltare un albergo a Gwadar ospitante personale straniero. I militanti del BLA inoltre allargano la propria azione non solo presso i Talebani afghani, ma anche presso i Talebani pakistani che rimproverano al Governo di Islamabad corruzione ed anti-islamismo.

“China-Pakistan Economic Corridor”(CPEC)

Ma veniamo ad illustrare il Corridoio economico che rappresenta per Cina e Pakistan un investimento di strategica importanza, con vantaggi logistici per il dimezzamento delle distanze (solo 3000 km. via terra) tra Xinjiang cinese e sbocco al Mare Arabico nel porto pakistano di Gwadar in acque profonde. Nei progetti cinesi, Gwadar dovrebbe diventare il secondo hub commerciale dopo Hong Kong. Consentendo, in parte, di evitare il collo di bottiglia dello Stretto di Malacca, sarebbe la prima diramazione marittima della Belt and Road Initiative, fondamentale per l’importazione di idrocarburi dal Medio Oriente in Cina. I vantaggi del Pakistan consisterebbero in un sensibile aiuto al miglioramento del sistema energetico e di trasporto del Paese. Potrebbe anche rappresentare una spinta per relazioni economiche con le repubbliche dell’Asia centrale, specie Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan.

Immaginato a metà 2013 e lanciato nell’aprile 2015, il corridoio Cina-Pakistan si colloca nell’ambito dell’Iniziativa Belt and Road (BRI), segna una nuova epoca di legami economici e relazioni bilaterali per cooperazione e sicurezza.  Il piano a lungo termine del CPEC (2017-2030), pubblicato nel dicembre 2017, definisce il progetto come “asse di crescita e cintura di sviluppo”, “corridoio di trasporto globale che ha come asse principale la cooperazione industriale tra Pakistan e Cina “, “motore di concreta cooperazione economica e commerciale”. Nel piano sono indicate quattro priorità logistiche e di sviluppo: porto di Gwadar, energia, infrastrutture di trasporto, cooperazione industriale. Tutti elementi volti ad accelerare l’industrializzazione e l’urbanizzazione del Pakistan. Secondo le scadenze, i progetti a breve termine sarebbero completati entro il 2020; i progetti a medio termine, compreso il sistema industriale, prossimi al completamento entro il 2025; i progetti a lungo termine, già avviati, dovrebbero realizzarsi entro il 2030. 

Grazie al rilevante investimento cinese, il progetto infrastrutturale ha rifornito le casse statali pakistane di valuta estera e ha consentito il miglioramento delle centrali elettriche pakistane, gradualmente limitando i cali di corrente che hanno afflitto il Paese per anni.

Molti funzionari pakistani sostengono che il CPEC aiuterà a varare riforme economiche e a promuovere occupazione, ma il corridoio rischia anche (secondo l’opinione delle persone con cui ho parlato) di aggravare la tensione politica, allargare il divario sociale e generare nuove fonti di conflitto e contrasti con l’alleato USA e con l’India. L’opinione corrente è che il governo eletto nel luglio 2018 dovrebbe quantomeno mitigare i rischi interni, essere più trasparente sui piani CPEC, consultando cioè tutte le parti interessate, comprese le province più piccole, la comunità imprenditoriale e la società civile. Ma soprattutto dovrebbe rispondere alle forti preoccupazioni che il corridoio subordini gli interessi del Pakistan a quelli della Cina. 

Il CPEC potrebbe certamente rivitalizzare l’economia pakistana – dice la gente – ma solo se verrà portato avanti con un dibattito con le comunità locali, in caso contrario è destinato ad irritare le province trascurate come il Baluchistan che perderebbero sia la proprietà sulla terra (il governo ha programmato espropriazioni più o meno forzate), sia lo sfruttamento delle proprie risorse energetiche e minerarie. Al momento le comunità locali, lamentando di non essere state coinvolte nel progetto, si sono dichiarate contrarie in quanto la cooperazione fra Cina e Pakistan risulterebbe per loro dannosa in prospettiva: anche i lavoratori non specializzati, che potevano essere reclutati fra la manodopera locale, vengono dalla Cina o da altre zone del paese, e nessuno ha visto ancora i risultati dei capitali cinesi investiti nella provincia. 

E’ così che gruppi separatisti trovano facilmente credito presso le comunità locali ed alimentano le preoccupazioni –cinesi e pakistane- per la sicurezza del personale e delle infrastrutture. La Cina si è resa conto della necessità di collaborare con il governo locale con contractors non armati, e gli efficienti servizi di sicurezza pakistani (Inter Services Intelligence) sono attivamente impegnati nel tenere controllata la situazione. Tuttavia la questione della sicurezza e del costo in capitale umano del progetto, pur allarmando le autorità di Pechino, non sembra ancora sufficiente per spingere ad una rinegoziazione dell’accordo e/o investire i fondi, che il governo del Primo Ministro Imran Khan ha richiesto, in quelle politiche sociali tese ad ammorbidire le tensioni. Eppure, se la situazione non trovasse un punto di svolta è facile prevedere che il leitmotiv della Cina come “nuovo colonizzatore” farà sempre maggiore presa sulla popolazione locale. 

Per di più i risultati del primo anno di governo di Imran Khan non si sono rivelati a tutt’oggi particolarmente positivi perché il Pakistan non solo continua a subire gli attacchi, da nord a sud, di varie formazioni jihadiste, ma anche sul piano finanziario non si registrano miglioramenti apprezzabili. La valuta nazionale si è svalutata nel 2019 addirittura del 35%, alimentando un’inflazione preoccupante sul già misero potere d’acquisto della popolazione, tanto che l’esposizione del Pakistan al capitale finanziario internazionale sta crescendo fino a superare i livelli del 1947.

Ma chi sono i “nemici esterni” del China-Pakistan Economic Corridor? Senz’altro l’India, sostenuta dal suo alleato USA. Una evidente convergenza di obiettivi è perseguita da Washington e New Delhi: impedire che la Cina acquisisca un proprio ruolo dominante nel subcontinente asiatico con il successo della strategia “Belt and Road Initiative”. L’opposizione dell’India è dovuta anche al fatto che il Corridoio verrebbe a percorrere aree come il Kashmir, dove lo scontro tra India e Pakistan continua a riaccendersi; inoltre è interesse dell’India che il Pakistan rimanga in stato di precarietà e strutturale debolezza.

La contrarietà di Donald Trump per un possibile importante ruolo dei Talebani afghani nella formazione di un governo a Kabul contribuisce ad influenzare la contrarietà “per principio” degli USA al Corridoio. Infatti nel 2018 gli Stati Uniti, del tutto insoddisfatti dell’operato di Islamabad nella lotta al terrorismo talebano in Afghanistan, avevano sospeso gli aiuti al Pakistan. La visita del luglio 2019 del primo ministro Imre Khan negli Stati Uniti tuttavia potrebbe significare il rinnovo degli aiuti, in cambio della promessa da parte pakistana di impegnarsi alla soluzione della crisi afghana. E qui entra di nuovo in campo l’India a cui non piace affatto che l’alleato americano confidi nell’operato del suo storico nemico, il Pakistan.

Bibliografia

Angelo Travaglini “China-Pakistan Economic Corridor. Una nuova prospettiva” in CIVG (Centro di iniziative per la Verità e la Giustizia) Osservatorio italiano del Silk Road Connectivity Centre. http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1584;in-eurasia-e-oltre-la-nuova-via-della-seta-in-pakistan-e-america-del-sud&catid=2;non-categorizzato

REPORT 297 / ASIA 29 JUNE 2018: China-Pakistan Economic Corridor: Opportunities and Riskshttps://www.crisisgroup.org/asia/south-asia/pakistan/297-china-pakistan-economic-corridor-opportunities-and-risks

Antonio Scaramella, L’insorgenza nel Balochistan e i rischi per il Pakistan in CESI (Centro Studi Internazionali) 11/01/ 2019. https://www.cesi-italia.org/articoli/929/linsorgenza-nel-balochistan-e-i-rischi-per-il-pakistan.