Vladimir Putin eletto per la terza volta presidente con un largo margine di consenso

di Mauro Gemma

putin vittoria 2012I sondaggi che hanno preceduto le elezioni presidenziali russe del 4 marzo lasciavano un margine di incertezza sulla rielezione di Putin al primo turno. I risultati quasi definitivi (il 99,6% delle schede) attribuiscono al premier russo, al suo terzo mandato di capo dello Stato, quasi il 64% dei voti, un po’ al disotto delle sue precedenti prestazioni elettorali, ma con un livello di consenso tale da consentire di affermare che il prestigio, di cui gode tra il suo popolo, è rimasto sostanzialmente intatto dai tempi della sua prima elezione.
 

Al secondo posto, a grande distanza, lo segue Ghennady Zjuganov, leader del Partito Comunista della Federazione Russa, che per la quarta volta ha presentato la sua candidatura, con il 17,2% dei suffragi. Un dato inferiore di qualche punto all’eccellente risultato ottenuto dai comunisti alle elezioni legislative del dicembre scorso, quando le liste del partito hanno sfiorato il 20%. Il PCFR anche questa volta conferma la sua grande forza di principale rappresentante dell’opposizione, presente in ogni angolo della Federazione.

I candidati degli altri due partiti presenti nelle aule della Duma, Zhirinovskij dell’ultra-nazionalista Partito Liberal democratico e Mironov di “Russia giusta” (una formazione di centro-sinistra che ha quasi sempre svolto una funzione di fiancheggiamento del governo e che alle precedenti presidenziali aveva sostenuto la candidatura di Medvedev), hanno ottenuto risultati deludenti: il primo non è andato oltre il 6,2% e il secondo si è addirittura fermato sotto la soglia del 4%.

Al terzo posto questa volta si è piazzato il miliardario Mikhail Prokhorov con il 7,8%. Questo candidato godeva del sostegno almeno di parte di quella “opposizione democratica” che, in particolare nell’ultimo scorcio del 2011, ha riempito le strade del centro di Mosca. Dietro Prokhorov sta in realtà il gruppo più oltranzista dello schieramento liberista direttamente legato al capitalismo oligarchico, spesso gli stessi che si sono resi responsabili delle misure più odiose di “riforma economica” che hanno caratterizzato il regime di Eltsin e che hanno ispirato e appoggiato il colpo di stato del 1993, conclusosi con il massacro dei difensori del Parlamento russo. Oggi il variegato schieramento dei sostenitori di Prokhorov, che può contare sui consensi di parte rilevante della borghesia delle grandi metropoli, è apertamente sostenuto da ambienti occidentali, in particolare statunitensi, britannici e israeliani che si stanno prodigando già in queste prime ore a presentarlo, a dispetto della logica dei numeri, come una sorta di vincitore “morale” delle elezioni, espressione degli umori della cosiddetta “società civile”.

L’esistenza di brogli e l’uso fuori misura delle “risorse amministrative” e degli strumenti di comunicazione pubblici non bastano certo a spiegare le ragioni della vittoria eclatante di Putin. Occorre dire che i commenti che hanno caratterizzato i “media” di casa nostra” (detto con franchezza, anche in certa sinistra che, spinta da una pulsione quasi masochistica, non riesce anch’essa a sottrarsi ai cliché propagandistici diffusi dalle fonti di informazione sotto controllo imperialista), più che offrire un quadro rigoroso dei reali orientamenti dell’elettorato russo, sembrano volti essenzialmente a rassicurare una certa opinione pubblica occidentale – la stessa che aveva, nel dicembre scorso, coltivato qualche illusione sul possibile ritorno in scena da protagonista di quel settore di borghesia “compradora” che, dopo avere liquidato l’esperienza sovietica e dissolto l’URSS, aveva, per un intero decennio, legato le proprie sorti a una dipendenza sempre più marcata dagli interessi dell’imperialismo occidentale.

Resta il fatto indiscutibile che i russi – che non si identificano certo con i ceti privilegiati che guardano all’amministrazione USA e alle tecnocrazie dell’Unione Europea (il cui obiettivo non è trattare la Russia come un partner alla pari nel contesto continentale, ma quello di commissariarla esattamente come avviene con alcuni paesi della comunità, compresa l’Italia) che li contraccambiano riconoscendoli come rappresentanti genuini della “società civile” – hanno rinnovato la loro fiducia a Putin.

Andrebbe finalmente riconosciuto che la chiave del successo di Putin sta nel fatto che la sua figura viene associata da molti suoi elettori al recupero di una dignità nazionale della Russia, dopo il tragico decennio eltsiniano che aveva portato il paese sull’orlo della bancarotta. Una parte consistente degli elettori di Putin non dimentica la svolta da lui impressa alla politica economica ed estera della Federazione, facendola riemergere dall’abisso di degradazione sociale e dipendenza semi-coloniale (in cui non si era neppure più in grado di pagare stipendi e pensioni e la Russia veniva fatto a pezzi da oligarchie regionali che assecondavano i piani imperialisti, di cui fu artefice in primo luogo lo stratega statunitense Brzezinki, di smembramento del paese in tanti staterelli asserviti ai suoi interessi), a cui era stata costretta dalle scelte del pugno di oligarchi che circondavano Eltsin e che imponevano le scelte più umilianti di subordinazione alle logiche espansioniste dell’imperialismo, in particolare quello statunitense. E non dimentica neppure la lotta spietata che egli, facendo propri gli argomenti della stessa propaganda comunista e riaffermando il ruolo dello Stato, ha condotto contro quei gruppi oligarchici che, per mezzo di una dissennata politica di liberalizzazioni e privatizzazioni selvagge imposta dall’Occidente, avevano spartito il bottino derivante dalla dissoluzione dell’URSS.

Tale processo si è accompagnato ad un’operazione di recupero di quei valori “patriottici”, di richiamo all’orgoglio nazionale (con frequenti riferimenti anche al passato sovietico), umiliato nel periodo che ha seguito la vittoria della controrivoluzione nel 1991 da una pratica di totale subordinazione, anche culturale, all’Occidente e all’avvio di un nuovo corso di politica internazionale (attraverso l’elaborazione, nell’estate del 2001, della cosiddetta “Dottrina della politica estera della Federazione Russa” ) che si è proposta di mettere al primo posto la difesa degli “interessi nazionali” del paese e di contribuire alla costruzione di un mondo multipolare, e che è entrata spesso in rotta di collisione con gli indirizzi strategici dell’imperialismo USA. Da tali linee guida la Russia in questi anni non si è mai sostanzialmente allontanata, come dimostrano ancora gli sviluppi più recenti che la vedono spesso contrapposta, insieme alla Cina e ad altri paesi emergenti, alle scelte più aggressive della scalata imperialista e impegnata nella ricostruzione di uno spazio politico ed economico dei paesi che formavano l’Unione Sovietica (la prima dichiarazione di Putin sulla politica internazionale dopo la sua elezione ribadisce questa priorità).

Su come si evolverà la situazione nell’immediato futuro peseranno anche le scelte dell’opposizione.

Già attorno a Prokhorov si stanno raccogliendo le spinte a riprendere le contestazioni che avevano portato al braccio di ferro con il Cremlino subito dopo le elezioni amministrative. Certo, non c’è nessuno che possa coltivare le illusioni della riproposizione di uno scenario da “rivoluzione colorata” come quello che in Ucraina, alla fine del 2004, aveva garantito il rovesciamento del verdetto elettorale, consentendo l’avvento al potere del candidato gradito all’Occidente. Probabilmente l’obiettivo di Prokhorov e degli esponenti dell’opposizione liberale e filo-occidentale è quello di premere su quei settori dello schieramento che si raccoglie attorno al presidente, per influenzarne le scelte di politica economica ed estera, mettere in discussione alcuni impegni che il presidente ha preso con il suo elettorato, con promesse di conservazione e rafforzamento di misure favorevoli agli strati più deboli (mantenimento dell’età pensionabile a 55-60 anni, aumenti salariali e investimenti di carattere sociale) e riorientare in senso più collaborativo con l’Occidente le scelte di politica estera. Non mancheranno a Prokhorov il sostegno dell’apparato mediatico occidentale e neppure quello degli strumenti di comunicazione russi che hanno contribuito in questi mesi ad enfatizzare e valorizzare gli avvenimenti di dicembre.

Spetterà allora ai comunisti effettuare scelte che potrebbero rivelarsi decisive. Le prime dichiarazioni sembrano insistere sul tasto della polemica feroce nei confronti di Putin e sulle accuse di non legittimità del risultato. Ma gli osservatori più attenti sanno bene che toni roventi il PCFR (soprattutto il suo leader Zjuganov) li ha utilizzati sempre all’indomani di ogni consultazione elettorale. Come sanno anche che l’incertezza della posizione comunista in merito alle manifestazioni del fronte anti-Putin, in bilico tra il rifiuto di ogni contaminazione con i “liberali” e le spinte di alcuni settori del partito nella capitale ad esserne parte attiva, potrebbe aver indotto una parte dell’elettorato potenziale di Zjuganov a spostarsi da un lato su Putin e, dall’altro, su Prokhorov, aggiungendosi (lo sottolineano alcuni analisti russi) in questo caso a molti consensi sottratti al non voto.

La coincidenza delle posizioni comuniste con quelle del presidente su vari aspetti della politica internazionale e l’interesse oggettivo del PCFR a favorire, in sede parlamentare, le componenti dell’apparato di potere più disponibili al confronto sulle grandi questioni sociali potrebbero riservare qualche sorpresa sui comportamenti futuri di questo partito. La prima dichiarazione post-elettorale di Putin, del resto, è tutta improntata alla richiesta dell’apertura di un confronto “con le opposizioni che ci stanno”.

La vera partita potrebbe giocarsi dunque non nei proclami propagandistici, ma nei luoghi della politica, a cominciare dalle commissioni parlamentari. Su questo forse, tra le file dei comunisti, si è già aperto in queste ore un confronto serrato.