Russia, un voto che non scalfisce lo zar

intervista a Giulietto Chiesa | su www.peacereporter.net

 

Giulietto Chiesa: “Una grossa stupidaggine leggere queste elezioni come un’indebolimento di Putin: le opposizioni gli sono leali”

chiesaQuesti i risultati ancora non definitivi delle elezioni di domenica per la Duma russa: il partito putiniano Russia Unita scende dal 64 al 49 per cento (da 315 a 238 seggi), il Partito Comunista di Gennady Zyuganov raddoppia dall’11 al 20 per cento (da 57 a 92 seggi), i socialdemocratici di Nikolai Levichev salgono dall’8 al 13% (da 38 a 64 seggi) sorpassando i nazionalisti di Vladimir Zhirinovsky, che passano comunque dall’8 al 12 per cento (da 40 a 56 seggi). Peacereporter ha chiesto un commento del voto a Giulietto Chiesa.

 

Putin perde voti ma non certo potere. Le opposizioni avanzano ma denunciano brogli. Come legge questo voto?

Queste votazioni sono state certamente pilotate in qualche misura, come lo sono sempre state in Russia. L’unico dubbio riguardava se Putin avrebbe scelto di avere più del 50 per cento o meno: stando ai dati ancora non definitivi rimarrebbe sotto la soglia della maggioranza assoluta. Ma non è ancora detto, potrebbe ancora salire. Secondo me sarebbe un errore del Cremlino quello di voler strafare. Come lo è stato quello di mantenere la soglia di ingresso alla Duma al 7 per cento, escludendo l’unica vera forza di opposizione a Putin, i liberali filoccodentali di Yabloko di Grigory Yavlinsky, che hanno preso meno del 4 per cento a livello nazionale ma con punte del 10 per cento nelle principali città.

 

Insomma, una Duma ancora docile strumento del potere putiniano?

La stampa occidentale che scrive che queste elezioni segnano una sconfitta di Putin, scrive una grossa stupidaggine. Questo voto, a prescindere dalle percentuali, conferma un parlamento russo ancora dominato dal partito di Putin, con due partiti di opposizione, ma opposizione leale, come comunisti e socialdemocratici, e uno strumento del Cremlino come sono sempre stati i nazionalisti. Le proporzioni di rappresentanza di queste forze sono state graduate secondo i desiderata dello stesso Putin: il partito comunista di Zyuganov, ad esempio, vale molto di più del 20 per cento che gli è stato assegnato sulla carta. Le forze che siedono nella Duma sono plurali ma comunque tutte accettabili per il Cremlino, in quanto producono una dialettica assolutamente ridotta e molto formale con il potere. Insomma: non costituiscono una minaccia.

 

D’altronde Putin si era già messo in tasca quel che voleva: la riforma costituzionale che gli permetterà di mantenere un potere incontrastato sulla Russia per i prossimi dodici anni.

Ma certo, è evidente! Infatti la prima dichiarazione postelettorale fatta ieri sera da un Putin sorridente, soddisfatto e perfino divertito, è stata: “Ora abbiamo garantito di fronte a noi un periodo di completa stabilità”. Il potere di Vladimir Putin rimane, come dicono gli inglesi, unchallanged, inattaccabile. Sarebbe bene che in Occidente si smetta di alimentare illusioni sul declino del potere putiniano, perché il risultato sarà quello di ottenere degli schiaffi in faccia.

 

Il rafforzamento dei due partiti di sinistra, che insieme passano da 95 a 156 seggi, non produrrà comunque una svolta ‘sociale’ della politica interna russa?

Una politica più sociale ci sarà, ma non perché c’è questa opposizione. E’ il contrario: alle opposizioni di sinistra è stato consentito di rafforzarsi in parlamento perché Putin e i suoi collaboratori, avvertono l’esigenza di una politica sociale più generosa che sarà il Cremlino stesso a promuovere. Anzi, lo sta già facendo con l’aumento dei salari e quello preannunciato delle pensioni. Provvedimenti che la Russia, in questa fase storica, può permettersi perché non è stata investita dalle crisi come lo è stato l’Occidente e perché gode della rendita delle risorse energetiche di cui è ricca. Nei prossimi anni la Russia avrà a disposizione grandi risorse finanziarie, che in minima parte verranno usate per politiche sociali più spinte che daranno maggior prestigio e maggior forza a Putin.

 

E sulla politica estera – euromissili, Siria e Iran – queste elezioni avranno qualche riflesso?

La posizione russa sulle prime due questioni è già chiara e molto ferma. La contesa con gli Usa e la Nato sul dispiegamento di missili ai confini occidentali della Russia non finirà a tarallucci e vino: su questo punto, Putin e i vertici militari russi non transigeranno e metteranno in atto tutte le contromisure a loro disposizione per impedirlo. Se gli Stati Uniti andranno avanti, addio a qualsiasi ipotesi di distensione. Stesso discorso vale per la Siria, anche se qui la veemenza russa è minore. La Russia non abbandonerà la Siria non solo per non perdere la sua base militare là, ma per mantenere la propria influenza nell’area mediorientale. I Russi non accetteranno un attacco militare occidentale contro la Siria come hanno fatto per la Libia. La questione iraniana suscita invece maggiore imbarazzo e difficoltà: “Rischiamo una possibile guerra nucleare ai nostri confini”, ha detto di recente il capo di stato maggiore delle forze armate russe, generale Makarov. Qui Mosca c’è preoccupazione ma non è chiaro quale sarà la reazione a un attacco israeliano contro le centrali nucleari iraniane.