di Laurent Brayard per DONi.Press
da lepcf.fr
Traduzione di Massimo Marcori per Marx21.it
Vitali, tre giorni di percosse e torture con elettrodi ed imbuti
Tre giorni di abominevoli torture. E’ il racconto che ho appreso dalla bocca di Vitali un abitante di Mariupol che è stato scambiato il 15 febbraio 2016, con un gruppo di sei prigionieri, con tre ucraini tra le mani dei repubblicani di Donetsk. Ecco, assieme alle molteplici simili testimonianze che raccolgo per la memoria, un racconto inaudito e duro che mi ha lasciato svuotato e triste nel pensare che nessun media francese ha ancora riferito l’orrore dei prigionieri politici ucraini. Immergiamoci nell’orrore assoluto.
Vitali è nato a Mariupol e vi ha vissuto per tutta la vita. Un buon carattere, sorridente, l’uomo mi rivela la sua storia durante una conversazione di quasi tre ore. Tre ore per riferire tre giorni di torture e più di un anno di detenzione nelle prigioni dei macellai di Kiev. Non era che un semplice operaio di una fabbrica di Mariupol sposato e divorziato, con un figlio da un primo matrimonio (23 anni), risposato con un altro figlio, un ragazzo di sette anni: “non mi interessavo assolutamente alla politica, vivevo una vita tranquilla di lavoro, in famiglia a Mariupol. Non mi sono interessato al Maidan, in nessuna circostanza sono sceso in piazza, anche contro il Maidan, non ero consapevole di ciò che succedeva. E poi i nazisti di Azov e militari sono arrivati a Mariupol ed hanno iniziato ad uccidere persone per la strada, ho sentito queste storie, ho appreso il dramma di Odessa, quello della mia città, gli arresti ed i crimini. Allora anch’io sono sceso per strada ed ho visto cose che mi hanno convinto che dovevo impegnarmi di persona”.
Sono sorpreso dal suo racconto, fino ad ora nessun prigioniero politico era stato così passivo prima dell’inizio delle violenze nel Donbass, tutti avevano reagito contro il Maidan, in privato, ben prima: “Ho visto quegli uomini, mascherati, incappucciati, armi automatiche, un giorno hanno sparato davanti ai miei occhi contro le finestre di un ospedale di Mariupol, volevano disperdere la folla, era assurdo, quel giorno non ho visto morti ma in seguito ne ho visti, persone semplicemente abbattute per strada dalle forze di Kiev. Allora mi sono impegnato nella lotta, la città era controllata ma sono potuto entrare in collegamento con lo stato maggiore della resistenza della Repubblica Popolare del Donbass che ha operato a Mariupol fino all’agosto del 2014. La città era caduta, ma noi avevamo formato dei gruppi di informazione, io avevo tre telefoni, conoscevo bene la città e potevo andare in giro tranquillamente, sono di questo posto e ho iniziato a fare degli avvistamenti, ad inviare coordinate, a contare i soldati, i veicoli, i carri, a segnalare gli spostamenti segreti di artiglieria, i punti di controllo, la composizione delle forze, il loro numero, l’armamento, le caserme, i rinforzi…”.
Mi immergo così con lui nella vita di un partigiano, potrei trovarmi nel 1943 a Londra ed ascoltare il suo racconto, le azioni sono le stesse, il nemico lo stesso, è solo trascorsa qualche decina d’anni. Mi scopro orgoglioso di quest’uomo, coraggioso e semplice che mi racconta con disinvoltura la sua lotta: “potevo passare la frontiera e anche il fronte, non erano ancora necessarie le autorizzazioni, ma solo controlli con i militari. Ho fatto il viaggio fino a Donetsk in tre riprese per portare informazioni importanti, poi in agosto molti dei miei compagni sono stati uccisi, altri imprigionati, altri fuggiti. Ma io non sono stato arrestato. Preciso che non ho mai portato un’arma, era mio dovere aiutare la RPD e gli insorti affinché potessimo liberare Mariupol dai neonazisti di Kiev, ma non ho mai nascosto o portato armi. Ho segnalato l’ubicazione del quartier generale, che ho ben dettagliato, quello di un sito segreto e sotterraneo di un lancia-missili Grad, le prigioni dove vengono torturati i prigionieri. Ho anche segnalato due siti in cui venivano gettati i cadaveri dei martiri della resistenza. Si tratta di due corsi d’acqua in cui i cadaveri venivano gettati zavorrati in profondità”.
Questa dichiarazione mi fa fremere, ma ecco che ripercorriamo il carnaio della repressione politica di Kiev, raccogliendo le informazioni di un massacro a Mariupol e di forni crematori ambulanti che operavano nelle retrovie dell’esercito ucraino. Ma l’uomo prosegue instancabilmente la sua storia che presto si concentra sulle torture e le prigioni politiche: “Nel novembre 2014, c’è stato un primo allarme, ho avvistato delle auto e uno dei miei contatti della resistenza viene arrestato, ma ha avuto il tempo di avvisarmi. Ho allora buttato via il telefono e mi sono nascosto riuscendo a raggiungere Donetsk. Ma ho deciso di ritornare malgrado il pericolo, alloggiando presso amici e per proseguire il mio lavoro di informazioni. Questo non dura a lungo, vengo alla fine arrestato il 28 gennaio 2015 da quattro agenti probabilmente della SBU mascherati e sono gettato in una macchina, ma sapevo dove venivo condotto in quanto avevo individuato la posizione di questa caserma un po’ speciale in cui, si diceva che venivano torturate e giustiziate le persone”.
Faccio silenzio e ascolto con sofferenza il racconto del seguito della sua storia: “sono stato torturato senza tregua per tre giorni da molti tipi, avevo una benda sugli occhi e non ho potuto vedere i miei carnefici, essi parlavano un russo puro e non ho inteso altre lingue. Mi hanno picchiato con sequenze di 30-40 minuti e 30 minuti di riposo, mi impedivano di dormire e mi infliggevano diverse torture. Mi colpivano tra il petto e il basso ventre, mai in testa, sempre con i loro pugni, i colpi piovevano, ero legato ad una sedia. Avveniva in una cantina, in un luogo adibito a scuola e complesso sportivo. In funzione delle torture ero legato su dei banchi, le mani davanti o dietro la schiena. Le torture divenivano più crudeli col passare delle ore, mi hanno legato le mani davanti ed hanno fatto scivolare una barra di ferro sotto i gomiti. Venivo issato e sospeso in aria da due tipi e colpito, uno di loro si aggrappava con tutto il suo peso su di me per aggravare le sofferenze, era la tortura più dolorosa. Il sangue usciva dalle mie braccia e dalle mani, mi facevano scendere per massaggiarmi e far circolare il sangue per ricominciare come prima.”
“Non si sono mai fermati, se non per fumare, sempre al mattino presto. Mi hanno in seguito inflitto la tortura con gli elettrodi, sulla pancia e sui genitali e poi come se ciò non bastasse sono stato anche coricato sulla schiena mentre mi sostenevano per farmi ingoiare con un imbuto e una bottiglia litri d’acqua, non so quante bottiglie, provavo a mettere la lingua per attenuare il flusso, mi sollevavano di tanto in tanto per rigurgitare e vomitare. Alla fine un giovanissimo soldato dalla voce fievole che potrei riconoscere, mi diceva di tanto in tanto ‘allora vecchio ti abbiamo pestato bene!’ Quando infine, un ufficiale che diceva di essere un tenente colonnello mi disse che sarebbero andati a cercare mia moglie e mio figlio per torturarli davanti a me ho fornito alcuni dati, il minimo, essi sembravano stanchi ma soddisfatti dei loro risultati”.
Per circa mezz’ora mi sono ritrovato trasportato nei periodi oscuri e maledetti dell’occupazione tedesca, dei terribili atti di tortura dei miliziani, delle SS e dei tedeschi sul suolo francese. Ascoltare una testimonianza in un documentario è una cosa, ascoltarne una dalla viva voce di un torturato nel XXI secolo in Ucraina da parte di un governo sostenuto attivamente dalla Francia con ogni mezzo, è un’altra. La vergogna e la collera mi pervasero, soprattutto quando la storia continuava nella bocca di Vitali, ormai inesauribile: “sono stato gettato con un sacco in testa nel cofano di una macchina e condotto in diversi luoghi per molti giorni. Sono stato nuovamente interrogato, nei locali ufficiali della SBU e in altri luoghi ma stavolta senza violenze. Ho potuto riposare su un giaciglio in una cella solo per tre o quattro ore, c’era un povero ragazzo, un russo nelle mie stesse condizioni. Non potevo più camminare da solo e non possedevo più l’uso delle mani, straziate, alla fine mi avevano rigirato le dita e minacciato, simulando, di tagliarmele. Mi ricordo anche che molte volte i soldati hanno finto di fucilarmi, caricando le loro armi, sentivo gli otturatori schioccare, senza munizioni, e ancora a distanza di mesi sobbalzo in presenza di simili rumori. Per firmare le mie “confessioni”, mi hanno fasciato la mano di nastro adesivo con una penna affinché potessi, sollevando il braccio, apporre la mia firma, dal momento che non potevo utilizzare le mie mani straziate”.
“Sono stato condotto in molte diverse prigioni in cui non sono mai stato curato da un infermiere o medico, malgrado il mio stato lo imponesse. Guardate i miei pugni e le mie mani un anno dopo!! E ho sempre dolore alle braccia maltrattate dalle torture.
Verso la metà di marzo, il 12 marzo 2015, ho subito un processo farsa con un avvocato ucraino d’ufficio, la procedura è stata chiusa a tambur battente dopo qualche minuto. Il mio avvocato ha solo richiesto che non fossi giudicato come terrorista rischiando molti anni di prigione, ma per associazione a delinquere. Con mia grande sorpresa mi è stato detto che ero libero ma, non appena sono uscito dal tribunale sono stato trascinato in una cantina dove mi aspettavano due sbirri mascherati. Ho subito un nuovo interrogatorio, essi volevano sapere dove avessi nascosto le armi ed altre cose che sicuramente non avevo mai fatto. Il tono è salito, mi hanno detto che ero fottuto e che stavo per essere condotto a Kharkov. Effettivamente il giorno dopo fui condotto in una prigione politica del SBU da due tizi in una macchina. Durante i tre giorni di torture aggiungo di aver mangiato solo due volte”.
L’uomo sembra rivivere le torture e le sofferenze, ascoltarlo diviene angosciante e vivo anch’io i terribili istanti che racconta. Ciò che segue è scandaloso: “Eravamo in 13 in qualche metro quadrato in una prigione che si trova a Kharkov nell’edificio della SBU e del Ministero dell’Interno. Una serie di prigioni si trovano al secondo piano, è là che mi sono trovato rinchiuso per un anno. C’erano almeno un centinaio di prigionieri, ho fatto una lista di uomini che ho conosciuto e che sono stati o che sono ancora detenuti in quelle prigioni della vergogna. I più vecchi ci hanno descritto la visita della Croce Rossa e dell’ONU in quel luogo alla fine del 2014, prigionieri si trovavano nei sotterranei, le celle erano state svuotate e pulite da cima a fondo per ingannare. Anche noi non abbiamo visto nessuno. Eravamo mal nutriti con scarse porzioni, sempre con le stesse cose due volte al giorno, per conoscenza un po’ di barbabietole crude, kacha, un quarto di fetta di pane bianco, del pane nero ammuffito che gettavamo sistematicamente nei gabinetti dopo averlo ridotto in briciole. Non abbiamo mai avuto frutta o altre cose, niente televisione, telefono, divieto di comunicare con le nostre famiglie che non hanno mai saputo dove fossimo”.
“Infine, all’inizio del 2016, la nostra situazione è un po’ migliorata, la cucina è stata chiusa e abbiamo dovuto cucinare, qualcuno tra noi si è improvvisato cuoco, ma mangiavamo di più. Avevamo un lavandino e dell’acqua fredda e un wc per tutti, l’insieme in uno stato di sporcizia inimmaginabile. Potevamo uscire per una passeggiata in corridoio due volte al mese e avevamo diritto ad una doccia una volta alla settimana, ecco le nostre condizioni e alcuni sono là da oltre un anno, detenuti senza contatti con le loro famiglie. Al momento dello scambio sono stato interrogato da un commissario dell’ONU e poi da una donna, una svizzera di nome Charline che lavora a Donetsk per la Croce Rossa, gli interrogatori hanno riguardato anche la nostra detenzione e le torture, ho raccontato tutto…”.
Abbasso la testa, Charline della Croce Rossa, la conosco, i prigionieri torturati e liberati nel mese di dicembre mi hanno parlato di lei…e ad oggi nessuna informazione è stata comunicata malgrado il tenore ed i fatti insostenibili. Sobbalzo all’evocazione del commissario dell’ONU, non avrò la possibilità di avere il suo nome, Vitali non lo ricorda… Croce Rossa e ormai ONU sono dunque perfettamente al corrente e certamente da lunga data delle torture, repressioni e omicidi politici dell’Ucraina, tacendo sono quindi complici dei macellai dell’Ucraina. Mi viene allora la nausea, decisamente non sono mai stato così sicuro di aver scelto il campo giusto. Da Shukhevych (Roman Shukhevych fu tra i principali responsabili del massacro di migliaia di ebrei durante il pogrom di Leopoli nel 1941 ndt) a Poroshenko, da Pétain ad Hollande, decisamente nulla sembra cambiato.