di Luis Carapinha
da “Avante!”, settimanale del Partito Comunista Portoghese
Traduzione di Marx21.it
Il presidente ucraino, Poroshenko, è stato ricevuto la settimana scorsa ad Ankara dal suo omologo turco, Erdogan. Dalla visita e dalla dichiarazione congiunta emergono le questioni della cooperazione militare, tanto sul piano bilaterale, quanto in ambito NATO, di cui l’Ucraina non è membro (va ricordato che il Vertice di Bucarest della NATO, nel 2008, aveva promesso l’inclusione dell’ex repubblica sovietica). La Turchia e l’Ucraina si sono impegnate a rafforzare la sicurezza nel Mar Nero e, secondo Poroshenko, Ankara appoggerà Kiev a restaurare la sua giurisdizione sulla Crimea (!). A sua volta, l’Ucraina ha proposto la partecipazione del capitale turco al programma di privatizzazioni su larga scala annunciato per il 2016. Proprio i temi della proprietà e dell’allineamento militare – il trattato di associazione diseguale con l’UE ha relazione con entrambi – sono tra le questioni che hanno determinato il colpo di stato del 2014 e la spinta dell’Ucraina nel baratro della guerra civile. Dall’incontro emerge un misto di evidente opportunismo, di cinismo e di delirio demagogico. Uno scenario forse più adatto a un’opera buffa, ma non per questo meno funesto per gli interessi della pace e della democrazia nei due paesi e rispettive regioni.
La credibilità di Poroshenko, vincitore della sceneggiata elettorale con cui si è preteso di legalizzare il potere della giunta golpista, è bassa, nonostante la continua campagna devastante per la fabbricazione del nemico. Peggio del presidente c’è solo il primo ministro Jatseniuk – quello che ha affermato, quando ha assunto l’incarico, di andare ad assolvere il ruolo di kamikaze politico, ma che, nel frattempo ne approfittava per espandere sostanzialmente la propria fortuna – il cui esonero, in questi giorni, è annunciato come imminente a Kiev. Le promesse elettorali del presidente sono cadute nel dimenticatoio: lascerei gli affari (in meno di due anni di potere i suoi profitti si sono moltiplicati varie volte); cesserei la guerra nel giro di giorni e non settimane (il conflitto sanguinoso in Ucraina dura praticamente da due anni e Kiev insiste nel non applicare le decisioni dell’accordo di Minsk del 2015 per una soluzione politica e negoziata); non bombarderei mai [la città di] Donetsk (le città e le popolazioni del Donbass, comprese i capoluoghi Donetsk e Lugansk, sono state oggetto di bombardamenti barbari da parte dei battaglioni neonazisti e delle truppe ucraine). L’economia ucraina è a pezzi, in profonda recessione (in un paese che non ha mai recuperato il livello del PIL del 1991, ultimo anno dell’URSS), con l’industria e l’apparato produttivo in stato di accelerata distruzione e la ricchezza nazionale saccheggiata. Il grande affare è rappresentato dalla privatizzazione delle terre nere ucraine, autentico attentato contro il popolo ucraino, e manna per l’agribusiness delle multinazionali. Il paese si trova in default soggetto alle tranche e ai ricatti del FMI e alla crescente impazienza dei patrocinatori del golpe del Majdan. La lotta inter-oligarchica non si attenua e gli indici della povertà e della disuguaglianza sociale continuano a salire. La deriva fascista e il ricorso alla repressione, che si richiamano all’anticomunismo più rozzo, la modifica e la cancellazione della memoria e della verità storiche, non salvano Poroshenko e i suoi compari golpisti.
Tra l’altro, dopo l’incontro di Ankara le truppe ucraine hanno sferrato violenti attacchi nei dintorni di Donetsk. E truppe turche hanno occupato posizioni all’interno della Siria, vicino alla linea di frontiera, alla vigilia della ripresa dei colloqui di Ginevra. Gli sviluppi sul fronte militare negli ultimi mesi hanno messo in rilievo l’appoggio della Turchia all’ISIS (di nuovo evidenziando che il terrorismo islamico è essenzialmente una creatura dell’imperialismo). Ma Erdogan non desiste dalla sua crociata reazionaria neo-ottomana, nelle sue molteplici componenti (dalla asfissia antidemocratica, all’intervento in Siria e ai sinistri accordi con l’UE sui rifugiati). Anche la alleanza tra Ankara e Kiev è espressione del tempo tumultuoso dell’approfondimento della crisi generale del capitalismo.