di Luis Carapinha
da “Avante”, settimanale del Partito Comunista Portoghese
“Russia Unita” ha dominato le elezioni per la Duma del 18 settembre, strappando 343 dei 450 seggi della camera bassa del parlamento russo. Il “partito del potere” rivendica la più grande vittoria di sempre, in un momento di recessione economica in Russia, il che avviene per la seconda volta dal 2009. Si è ridotto il peso combinato dei tre rimanenti partiti dell’ “arco parlamentare”, che comprende il PCFR, nonostante l’avanzata dei liberal-democratici di Zhirinovsky, capofila del nazional-populismo e dell’anticomunismo. E’ certo che “Russia Unita” passa dalla maggioranza assoluta alla maggioranza qualificata superiore ai 2/3 della Duma. Mai, infatti, aveva conquistato tanti seggi. Il ritorno al sistema elettorale misto in vigore fino al 2003, con cui la metà della Duma è eletta in liste di partito attraverso il metodo proporzionale e il resto in 225 collegi uninominali, ha funzionato come elemento di distorsione, in gran parte a beneficio del partito presieduto dal primo ministro, Medvedev. Infatti, nonostante il fattore determinante dell’alta popolarità di Putin, “Russia Unita” perde circa 15 milioni di voti rispetto al 2007 e quasi quattro in relazione al 2011. Il suo risultato assoluto, tenendo conto dell’astensione che è salita al 52%, è appena del 26%.
Non c’è ragione di sbandierarlo e il Cremlino lo sa. Ricevendo i quattro partiti parlamentari dopo le elezioni, Putin ha messo l’accento sulla ricerca del consenso. E’ data come certa la conservazione della linea della distribuzione delle commissioni parlamentari tra il partito di governo e l’opposizione. Nel corso della riunione congiunta, Zyuganov ha fatto appello al “mantenimento della stabilità e coesione della società” e ha promesso di fare di tutto per appoggiare la “linea patriottica dello Stato” guidata da Putin, mentre ha ribadito la critica alla politica liberale sul piano economico e finanziario. Il PCFR ha chiesto le dimissioni del governo di Medvedev ma nessuno dei quattro partiti sopra lo sbarramento del 5% mette in causa il ruolo di Vladimir Putin.
La Russia si sta confrontando con tempi complessi sui piani interno ed estero. Sono visibili gli effetti del degrado economico e sociale (nel 2015 il PIL ha subito una contrazione del 4%). Le tendenze sfavorevoli e i vincoli strutturali dell’economia si sono accentuati con la caduta dei prezzi del petrolio e il regime delle sanzioni imposte dalle potenze della Triade, con gli USA in testa. Nel quadro della crisi il governo ha promosso il ritorno a misure che rientrano nello schema delle “terapie d’urto” del decennio 90 – con la deregolamentazione economica, le privatizzazioni e i tagli sociali. Non è per queste ragioni, evidentemente, che l’imperialismo lancia grottesche campagne di demonizzazione del “regime di Putin”. Per gli USA e l’UE il modello democratico per la Russia continua ad essere quello di Eltsin e del bombardamento del Soviet Supremo del 1993. Sebbene i partiti liberali e gli allievi della scuola di Gaidar rimangano largamente impopolari, la quinta colonna “filo-occidentale” continua a disporre di risorse poderose, e l’emorragia della fuga di capitali rimane.
Prima di tutto, la Russia si scontra con la linea implacabile delle pressioni e della scalata militarista degli USA e della NATO. L’evoluzione della posizione russa nell’arena internazionale corrisponde a questa realtà. Alti funzionari di Mosca sostengono che gli Stati Uniti hanno bisogno di indebolire al massimo la Russia e di impadronirsi delle sue ricchezze naturali, puntando persino alla disintegrazione del paese. Sarebbe diverso il rapporto di forze mondiale senza l’esistenza della capacità di dissuasione strategica russa, minacciata dal sistema antimissili degli USA, del ruolo di una politica estera sovrana e di cooperazione con la grande potenza economica in ascesa, la Cina. Nell’esplosivo confronto in corso, il capitalismo russo non può prescindere dall’eredità dell’epoca sovietica. Ma le contraddizioni tra la politica interna ed estera della Russia, espressione della complessità della lotta di classe, continuano a incombere pericolosamente sul futuro del paese della Rivoluzione di Ottobre nel XXI secolo.